Si è molto dibattuto dello
status fonemico di [j] e [w]. Il Canepàri parla di «semifonemi [
stilistici]» (uso per comodità una trascrizione «simil-
SAMPA»):
Luciano Canepàri (MaPI², p. 95, grassetto mio) ha scritto:…la differenza tra gli approssimanti /j w/ e i vocoidi corrispondenti /i u/ non è sempre cosí evidente, né cosí salda. Infatti, quando si parla lentamente, o si vuole essere precisi o enfatici, è senz’altro possibile che /j w/ si realizzino <come> [
i u] (e in certe parole, si hanno regolarmente entrambe le varianti):
- piano, quando; fiala
/'pjano, pi'ano; 'kwando, ku'ando/; /'fjala, fi'ala/.
Ugualmente, è piú che possibile che, parlando spontaneamente o velocemente, molti /i u/ si realizzino come [j w], e viceversa; infatti, per molte forme del
DiPI sono indicate due possibilità:
- piolo, d’ieri, arcuato, attenuo
/pi'Olo, 'pjO-; di'Eri, 'djE-; arku'ato, -'kwa-; at'tEnuo, -nwo/.
In effetti, dal punto di vista comunicativo, anche per /j w, i u/ si potrebbe abbastanza tranquillamente parlare di
semifonemi stilistici, piú che di veri e propri fonemi,
nonostante casi, teorici piú che pratici, come
- piano (di Pio), spianti (che spiano); arcuata, lacuale
/pi'ano, spi'anti; arku'ata (-'kwa-), laku'ale (-kwa-)/
piano (lentamente), (tu) spianti; Arcuata, la quale
/'pjano, s'pjanti; ar'kwata (-ku"a-), la'kwale (-ku"a-)/.
Comunque, è in ogni caso decisamente piú conveniente mantenere, anche a livello di trascrizione fonematica, i quattro simboli /j w, i u/…
…Ovviamente, ai «fonologi» del
GRADIT dev’essere sfuggita quest’ultima frase

, come anche il paragrafo sui dittonghi [«discendenti» e {le «sequenze eterofoniche» note come «dittonghi»} «ascendenti»] del Mioni (A. M. Mioni, «Fonetica e fonologia» in
Introduzione all’italiano contemporaneo – Le strutture, a cura di A. A. Sobrero, «Laterza», Bari 1993), al termine del quale si può leggere:
Alberto Mioni (op. cit., grassetto mio) ha scritto:Si è molto discusso se semiconsonanti {[j w]} e semivocali {[i u] asillabiche} siano fonemi separati dalla V{ocale} di cui sono la variante sillabica. Le regole che rendono conto della perdita di sillabicità di taluni suoni vocalici in italiano non sono totalmente appurate. Quello che è certo è che coppie come spianti [spi.'anti] “che spiano” ~ (tu) spianti ['spjanti] “voce del v. spiantare” o li odio [li 'O:djo] ~ l’iodio ['ljodio] sono vere coppie minime solo se non si tiene conto delle frontiere morfologiche (spi+ant+i, s+piant+i; li+odi+o, <l’>+iodi+o), e cioè se si adotta una concezione molto concreta di fonologia, vicina ai fatti fonetici.
(…In realtà basterebbe adottare una concezione puramente
fonologica e non «morfofonologica» di fonologia.

)
Per concludere, due parole sul fatto che le coppie minime citate non sarebbero in realtà tali perché in uno dei due elementi i foni sono separati da una differenza accentuale o appartengono a sillabe diverse: l’argomento è semplicemente «non pertinente».
I due criteri [complementari] per l’individuazione dei fonemi d’una data lingua sono la
commutazione (se io commuto, in un dato contesto, un fono con un altro e il significato della frase viene mutato o reso irriconoscibile, questo significa che i due foni appartengono a due fonemi diversi) e la
distribuzione (se due o piú foni sono in distribuzione complementare, e quindi totalmente determinata dal contesto, possono appartenere allo stesso fonema [e ne sono allora dei «tassofoni» o «allofoni combinatòri»]; altrimenti [«distribuzione distintiva»], devono appartenere a due fonemi diversi). Come si vede, esula da questa indagine l’analisi d’ogni tratto «soprasegmentale» o «prosodico».
Del resto, se adottassimo un «approccio sillabico», non potremmo ad esempio dire che la durata consonantica è distintiva in italiano, ché,
e.g., /tt/ non ricorre mai all’interno d’un’unica sillaba, per cui non può mai opporsi a /t/, e
fatto /'fat.to/ ['fat:.to] e
fato /'fa.to/ ['fa:.to] non potrebbero costituire una coppia minima né per durata consonantica né per durata vocalica.
Inoltre, trattandosi qui di opposizione fra contoidi [j w] e vocoidi [
i u], è praticamente inevitabile che la sillabazione [e l’accentazione] sia diversa nella stragrande maggioranza dei casi. Comunque, anche a dispetto di ciò, beccatevi la seguente coppia subminima:
nocque /'nOk.kwe/ ['nOk:.kwe] e
nocue («nocive») /'nO.kue/ /'nO:.kue/, dove non interviene alcuna differenza accentuale e il numero di sillabe [
fonetiche] è lo stesso.
