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Valore di «onde» in una poesia di Alfieri

Inviato: mar, 15 gen 2013 11:49
di Sandro1991
[…]E quanto addentro piú il mio piè s’inselva,
tanto piú calma e gioia in me si crea;
onde membrando com’io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva
[…].

Il titolo del componimeto è «tacito orror di solitaria selva»

Che valore ha qui l’avverbio evidenziato?

Inviato: mar, 15 gen 2013 11:55
di Sandro1991
Si tratta forse dell’accezione 4a del Treccani, secondo voi?

Inviato: mar, 15 gen 2013 19:57
di u merlu rucà
Io direi per cui.

Inviato: lun, 18 mar 2013 20:58
di Don Lisander
Ovvio: per cui.

Senza aprire un altro filone, vi chiedo di leggere il seguente sonetto alfieriano:

Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte ,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.

Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?

Tu sei quel desso; e la natia grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.

Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?


Ci sono tre cose che mi incuriosiscono della lingua usata in questa poesia, forse non una delle sue migliori (ma non è questo il punto):
1) Come si spiega linguisticamente quell'«il» al v. 3?
2) Qualcuno mi sa dire il significato del v. 12? Il «qual» sta per "che"?
3) Gli ultimi due vv. bisogna intenderli forse con l'omissione di un "Dare..."? Qual è la loro parafrasi, secondo voi?

Inviato: lun, 18 mar 2013 21:35
di Ferdinand Bardamu
u merlu rucà ha scritto:Io direi per cui.
Concordo.

Inviato: lun, 18 mar 2013 21:50
di Marco1971
Don Lisander ha scritto:1) Come si spiega linguisticamente quell'«il» al v. 3?
Per il/lo, ecco quel che dice Luca Serianni nel suo magnifico libro La lingua poetica italiana, Roma, Carocci, 2009, p. 175:

Stando alle testimonianze dei grammatici [...], il clitici il e lo sono stati in distribuzione complementare analoga a quella degli articoli omonimi. Solo nel secondo Ottocento il (occasionalmente adoperato dal Manzoni nella ventisettana, ma espunto dall’edizione definitiva [...]) è percepito come proprio «dell’uso poetico» [...].

È frequentissimo nell’opera lirica, specie in il veggo e il deggio.

Inviato: lun, 18 mar 2013 21:52
di Ferdinand Bardamu
Alla prima domanda ha già risposto benissimo Marco. :)
Don Lisander ha scritto:2) Qualcuno mi sa dire il significato del v. 12? Il «qual» sta per "che"?
Riordino: «Di qual regia insania sei cieco?» (la separazione tra qual e il sintagma preposizionale costituisce un ipèrbato).
Don Lisander ha scritto:3) Gli ultimi due vv. bisogna intenderli forse con l'omissione di un "Dare..."? Qual è la loro parafrasi, secondo voi?
Parafraso (operazione che mi piace poco, quando si tratta di poesia, ma tant’è): «È gloria quella di un tiranno persiano, quando tu, invece, eri figlio di un popolo sí nobile come il greco?».

Inviato: lun, 18 mar 2013 21:57
di Don Lisander
Marco1971 ha scritto:Stando alle testimonianze dei grammatici [...], il clitici il e lo sono stati in distribuzione complementare analoga a quella degli articoli omonimi. Solo nel secondo Ottocento il (occasionalmente adoperato dal Manzoni nella ventisettana, ma espunto dall’edizione definitiva [...]) è percepito come proprio «dell’uso poetico» [...].
È frequentissimo nell’opera lirica, specie in il veggo e il deggio.
No, non è quello il problema... Forse non sono stato abbastanza chiaro nella mia domanda. Lo so, l'«il» usato per «lo» è frequentissimo nella poesia dei secoli passati (non dico che non leggerei le Rime di Alfieri, se non lo sapessi, ma insomma).
Il problema è il suo rapporto con i due versi precedenti. Si tratta di un anacoluto? O di un uso pleonastico di «il»?

Inviato: lun, 18 mar 2013 22:00
di Ferdinand Bardamu
Don Lisander ha scritto:Il problema è il suo rapporto con i due versi precedenti. Si tratta di un anacoluto? O di un uso pleonastico di «il»?
Il clitico il riprende l’oggetto tematizzato (dislocato a «sinistra») «Quel già sì fero fiammeggiante sguardo | Del Macedone invitto emul di Marte».

Inviato: lun, 18 mar 2013 22:06
di u merlu rucà
Riprende fero fiammeggiante sguardo mi pare.
Ferdinand mi ha 'bruciato'...

Inviato: lun, 18 mar 2013 22:11
di Don Lisander
Ferdinand Bardamu ha scritto:Riordino: «Di qual regia insania sei cieco?» (la separazione tra qual e il sintagma preposizionale costituisce un ipèrbato).
Mm, ne è certo? Mi sembra una forma molto bizzarra di anastrofe. Io al contrario ero indeciso tra: «Oh, che sei, cieco della pazzia dei re?» e «Oh, sei così, eppure non riconosci una pazzia da re?»
Ferdinand Bardamu ha scritto:Parafraso (operazione che mi piace poco, quando si tratta di poesia, ma tant’è): «È gloria quella di un tiranno persiano, quando tu, invece, eri figlio di un popolo sí nobile come il greco?».
Dunque Tu «era»?

Inviato: lun, 18 mar 2013 22:40
di Ferdinand Bardamu
Don Lisander ha scritto:Mm, ne è certo? Mi sembra una forma molto bizzarra di anastrofe. Io credevo fosse più probabile interpretarlo così: «Oh, che sei, cieco della pazzia dei re?» oppure «Oh, sei così, eppure non riconosci una pazzia da re?»
Non saprei trovarle altri esempi analoghi di anastrofe (anche se non mi suona così anomala), ma a me sembra il solo modo di ordinare le parole.
Don Lisander ha scritto:Dunque Tu «era»?
Ho interpretato male la domanda al v. 12. :oops: Nella seconda terzina si ha una brusca ritrattazione di quel che si afferma nella prima terzina. Gli ultimi tre versi mi sembrano piú un pensiero a sé stesso che un’apostrofe a Alessandro; peraltro, quella seconda persona del v. 12 io la vedo piú come una domanda che il poeta rivolge a sé («Sei accecato dalla stessa pazzia che affligge i re?»). È lui stesso, Alfieri, che parla infatti di «gloria» a proposito di Alessandro, non Alessandro, in una prosopopea, a descrivere la sua vita come gloriosa.

Nella prima parte della poesia (le due quartine e la prima terzina), Alfieri dice: Tu, Alessandro, conservi da morto la gloria che guadagnasti in vita, e la morte non può cancellare le tue grandiose imprese. Nell’ultima terzina, invece, «rinsavisce» dalla «regia insania» e riconosce che non può essere gloria quella di chi si è fatto tiranno, pur essendo nato nella culla della democrazia.

Inviato: lun, 18 mar 2013 22:47
di Don Lisander
Credo di aver capito. Forse il sonetto è più intellegibile così (per quanto questo sia un intervento molto discutibile dal punto di vista filologico), con i caporali che sottolineano che le due strofe centrali riportano il discorso diretto dell'autore, il quale si rivolge ad Alessandro il Macedone:

Quel già sì fero fiammeggiante sguardo
Del Macedone invitto emul di Marte,
Pregno il veggio di morte: è vana ogni arte ,
Ogni rimedio al crudel morbo è tardo.

«Or, se’ tu quei, che l’Indo, il Perso, il Mardo,
E genti e genti hai dome, estinte, o sparte?
Quei, che credesti a onor divini alzarte,
Piantando a Grecia in cor l’ultimo dardo?

Tu sei quel desso; e la natia grandezza
Morendo serbi, qual chi in tomba seco
Porta di eterna gloria alta certezza.»

Gloria? Oh qual sei di regia insania cieco?
Gloria a Persian tiranno, ove all’altezza
Nato era pur di cittadino Greco?


In questo modo, l'ultima terzina si può leggere nel suo senso più probabile: Alfieri si rivolge a sé stesso biasimandosi per aver parlato di «gloria» a proposito di un tiranno quale fu, a suo modo di vedere, Alessandro.
Perciò l'ultima terzina andrebbe, a mio avviso, parafrasata più correttamente nel modo seguente:
Parli di gloria? Ti ha forse accecato la pazzia dei re (o una pazzia da re)? Parli di gloria a proposito di un tiranno Persiano [tecnicamente, Alessandro Magno succedette a Dario III di Persia, da lui sconfitto], quando (costui) era pur nato pari a un cittadino Greco [e dunque avrebbe potuto essere un perfetto "eroe della libertà", secondo il pensiero politico alfieriano]?

Inviato: lun, 18 mar 2013 22:59
di Ferdinand Bardamu
A me par proprio che la sua interpretazione sia corretta. :)