Frase con imperativo tronco e clitico
Inviato: mer, 20 mar 2013 10:43
Qual è secondo voi l'opzione più corretta tra «Vammi a comprare un giornale», «Va’ a comprarmi un giornale» e «Vai a comprarmi un giornale»? E perché?
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Va' è la forma più corretta etimologicamente (ma non so se sia effettivamente la più usata). E questo devo dire che, sì, è una buona ragione per preferirla. Senonché l’incontro tra le due a dà un’impressione di lieve sgradevolezza e scarsa fluidità. La –i aggiuntiva avrebbe allora una sua giustificazione: potrebbe essere vista come un’aggiunta, per così dire, “eufonica”. Quanto a Vammi a comprare, mi convince di meno e cerco di evitarla proprio in virtù della sua apparente “irregolarità”. Vero è che se dovessi dirlo senza pensarci, probabilmente mi verrebbe da dire spontaneamente Vammi a comprare il giornale.Animo Grato ha scritto:La prima che eliminerei è "Vai a comprarmi". Perché? Perché il vero imperativo di andare è va'; quando trovo scritto vai, se ho l'opportunità di sondare lo scrivente, spesso scopro che ha scelto quella forma per cavarsi dall'impaccio di non sapere se l'altra si scrive va', va o và. Tra le altre due, Va' a comprarmi è più regolare (ed è quella che userebbe uno straniero alle prime armi con l'italiano); per questo motivo preferisco Vammi a comprare, così deliziosamente idiomatica.
Indipendentemente dalla correttezza, è l'espressione prevalente qui da me.Animo Grato ha scritto:per questo motivo preferisco Vammi a comprare, così deliziosamente idiomatica.
Io credo che sia la più usata nel parlato, ma quando poi si tratta di mettere le cose nero su bianco si sceglie di non correre rischi ortografici e si opta per vai. Ovviamente non parlo di pubblicazioni professionali, ma dello scritto degli sms, degli interventi sulla rete, dei bigliettini attaccati al frigorifero e così via. Non mi azzardo a fornire delle percentuali, ma penso che, in un qualsiasi forum meno sorvegliato di questo, molti scriverebbero va, va' o và (e forse anche vah), senza porsi neanche il problema; molti altri se lo porrebbero ma, troppo pigri per controllare, nel dubbio ricorrerebbero alla scorciatoia del vai, e solo una minoranza andrebbe a colpo sicuro con va'. Del resto, non so se una verifica delle occorenze con Google potrebbe essere utile, perché i diversi va e vai (indicativi e imperativi) si confonderebbero.Don Lisander ha scritto:Va' è la forma più corretta etimologicamente (ma non so se sia effettivamente la più usata).
Noo-nee!Don Lisander ha scritto:Va' è la forma più corretta etimologicamente…
Ma quale «correttezza» e «correttezza»? Si tratta della normalissima «risalita del clitico»! Vammi a comprare è senz’ombra di dubbio la forma piú italiana.Carnby ha scritto:Indipendentemente dalla correttezza, è l'espressione prevalente qui da me.Animo Grato ha scritto:per questo motivo preferisco Vammi a comprare, così deliziosamente idiomatica.
Bene, problema risolto!Infarinato ha scritto:Si tratta della normalissima «risalita del clitico»! Vammi a comprare è senz’ombra di dubbio la forma piú italiana.
Va’ è apocope posvocalica — fenomeno toscano, ma non solo1 — di vai, che, come sappiamo, è la forma d’imperativo che ha preso il posto di /va*/ nel fiorentino ottocentesco; non è quindi il troncamento del lat. VADE. (Cfr. L. Serianni, Grammatica italiana, XI.129c)Don Lisander ha scritto:Va' è la forma più corretta etimologicamente (ma non so se sia effettivamente la più usata). E questo devo dire che, sì, è una buona ragione per preferirla.
Mi permetta un piccola pedantería: sarebbe meglio scrivere sennonché.Don Lisander ha scritto:Senonché…
Io non ci vedo alcuna irregolarità, nemmeno apparente. A completamento di quanto ha già detto Infarinato, le ricopio un passo della Grande grammatica italiana di consultazione (vol. I, XI.2.1.4.):Don Lisander ha scritto:Quanto a Vammi a comprare, mi convince di meno e cerco di evitarla proprio in virtù della sua apparente “irregolarità”.
Non essendo io esperto di sintassi, non osavo esprimermi su quale forma fosse la più corretta.Infarinato ha scritto:Ma quale «correttezza» e «correttezza»? Si tratta della normalissima «risalita del clitico»!
Salvo il fatto che ho scelto quella forma con cognizione di causa: sia perché il mio Zingarelli non la bolla come meno corretta, sia perché nella mia pronuncia non produco il raddoppiamento fonosintattico (dico Se-non-che). Da ultimo, ho "univerbato" le parole coinvolte perché è la tendenza prevalente che adotto in casi come questo (espressioni che terminano con che).Ferdinand Bardamu ha scritto:Mi permetta un piccola pedantería: sarebbe meglio scrivere sennonché.Don Lisander ha scritto:Senonché…![]()
Se è per questo non bolla neanche sopratutto, mi chiedo, anzi, se nello Zingarelli ci sia una qualche forma bollata come «meno corretta».Don Lisander ha scritto:Salvo il fatto che ho scelto quella forma con cognizione di causa: sia perché il mio Zingarelli non la bolla come meno corretta, sia perché nella mia pronuncia non produco il raddoppiamento fonosintattico (dico Se-non-che).
In questo caso sono in buona compagnia nell'errare: Ippolito Pindemonte, Niccolò Tommaseo, Giulio Cesare Abba, Edmondo De Amicis, Luigi Pirandello, Giuseppe Prezzolini, Dino Buzzati, Umberto Eco, Norberto Bobbio, Goffredo Parise, Enrico Deaglio, Giovanni Getto, Giovanni Reale, Guido Piovene, Andrea Camilleri e fior di traduttori hanno usato senonché. C'è da chiedersi se sia davvero meno corretto, o se non sia soltanto meno comune. Presumo sia entrambe le cose, nevvero?PersOnLine ha scritto:Se è per questo non bolla neanche sopratutto, mi chiedo, anzi, se nello Zingarelli ci sia una qualche forma bollata come «meno corretta».Don Lisander ha scritto:Salvo il fatto che ho scelto quella forma con cognizione di causa: sia perché il mio Zingarelli non la bolla come meno corretta, sia perché nella mia pronuncia non produco il raddoppiamento fonosintattico (dico Se-non-che).
Il discorso sulla pronuncia personale non mi convince molto come scusa.
sennonché, questa è la grafia giusta; eppure molti scrivono, sbagliando, «senonché». Il se infatti, nei composti, richiede sempre il raddoppiamento: sennò, sebbene, seppure, ecc.
Non metto in dubbio la cognizione di causa, ma la norma italiana richiede il raddoppiamento sintattico dopo la congiunzione se. Anch’io, essendo veneto, non produco nessuna cogeminazione, nella mia pronuncia quotidiana. Anzi, naturalmente non mi verrebbe da produrre nessuna geminazione, addirittura. Ma questo non significa che, scrivendo in italiano, non ne rispetti le regole.Don Lisander ha scritto:Salvo il fatto che ho scelto quella forma con cognizione di causa…
La maggior parte di questi autori è di origine settentrionale. Non istupisce l’assenza di cogeminazione, riprodotta dalla grafia. In ogni caso, il ricorso all’autorità serve a poco, quando contrasta apertamente con la norma, e con una norma piuttosto chiara, per giunta. Vede, si può scrivere anche sopratutto o dacapo, o finanche piuttosto che per oppure, chiamando a testimonio una manciata di nomi illustri; ma l’errore rimane.Don Lisander ha scritto:In questo caso sono in buona compagnia nell'errare: Ippolito Pindemonte, Niccolò Tommaseo, Giulio Cesare Abba, Edmondo De Amicis, Luigi Pirandello, Giuseppe Prezzolini, Dino Buzzati, Umberto Eco, Goffredo Parise, Enrico Deaglio, Giovanni Getto, Giovanni Reale, Guido Piovene e Andrea Camilleri hanno usato senonché.