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A rischio

Inviato: lun, 13 mag 2013 15:36
di Manutio
Domanda: qualcuno ha già osservato come nel lessico giornalese rischio abbia quasi completamente sopraffatto pericolo, diventato poco meno che raro? Piú precisamente, quella che trionfa incontrastata è la locuzione a rischio. Una ditta sta per fallire: i posti di lavoro dei dipendenti sono in pericolo? No certamente, sono a rischio. Un politico vuole rassicurarci sulla stabilità del governo? Dirà che esso non è a rischio, o almeno cosí gli farà dire sicuramente il cronista parlamentare. Io ho l’impressione, solo l’impressione, che questa irresistibile evoluzione risalga a quando si cominciò a parlare di Aids, di virus HIV e delle relative categorie di persone a rischio di contagio. L’espressione acquistò cosí un colorito tecnico, fattore di grande prestigio, e di certo l’impiego dell’inglese at risk in contesti paragonabili dovette aiutarne la diffusione. E c’è da aggiungere che l’italiano classico, stando agli esempi che rintraccio, non usava a rischio in costruzione assoluta come oggi si fa invariabilmente, ma aggiungeva a rischio di che cosa: «a rischio di buscarsi una buona sgridata» (Manzoni). Un’espressione cristallizzata era poi a suo rischio (e pericolo). Ancora una volta, l’avvento di una moda cosí prepotente ha comportato la rinuncia alla possibilità di scegliere fra due sinonimi ugualmente corretti, o di usare un’espressione costruita diversamente.

Inviato: lun, 13 mag 2013 15:59
di Ferdinand Bardamu
Aggiungerei anche la locuzione a rischio + sostantivo, che mostra il consueto, diffusissimo (nell’italiano odierno) costrutto appositivo: es. abitazione a rischio crollo, laddove un piú tradizionale a rischio di crollo parrebbe, dal punto di vista del giornalese, quasi meno spontaneo.

Bisogna notare altresí che l’abuso della locuzione a rischio appiattisce la lingua, impedendo l’uso di sinonimi piú appropriati. Il Dizionario dei sinonimi del Tommaseo (§ 4266) distingue tra il pericolo, che «è, sovente, più urgente, più grave … un male che sovrasta … tale da farci perire» e il risico, che, invece, «dice uno stato ove c’è da sperare e da temere» e implica un po’ piú sovente «la volontà diretta o indiretta dell’uomo».

Inviato: lun, 13 mag 2013 16:37
di Zabob
Quest'uso della locuzione "a rischio" fu stigmatizzato anche da Guido Ceronetti, oltre vent'anni fa, sul quotidiano La Stampa. Pubblicherò l'intero articolo nella sezione "Generale".

AGGIORNAMENTO: Fatto.

Inviato: mar, 14 mag 2013 13:56
di Animo Grato
Ferdinand Bardamu ha scritto:Bisogna notare altresí che l’abuso della locuzione a rischio appiattisce la lingua, impedendo l’uso di sinonimi piú appropriati.
Come, in alcune circostanze, il meraviglioso repentaglio.

Inviato: mar, 14 mag 2013 13:56
di domna charola
Il governo si trova in una situazione di pericolo (es.: crisi economica, insoddisfazione degli elettori, spaccature interne etc.), è debole in sé(vulnerabile), quindi è a rischio di cadere.
Anche in questo caso, che esula dagli usi più tecnici, la scelta fra i vari vocaboli funziona.

Non sono sinonimi. Il "pericolo" è la situazione all'intorno, di per sé pericolosa, ma il rischio è modulato sulla effetttiva possibilità di subire un danno, ossia sulla vulnerabilità individuale.

Anche nel settore assicurativo, ad esempio, valuto il rischio, e non il pericolo: lasciare in strada un'auto la espone al pericolo di un furto; da questo punto di vista, una Ferrari è più vulnerabile di una Panda euro2; quindi una Ferrari è più a rischio di furto della Panda, infatti il premio asicurativo viene calcolato più alto.

Secondo me, nel contesto del discorso, viene facile poi sottintendere il tipo di rischio. Se sto parlando di dissesto idrogeologico, le "abitazioni a rischio" sono ovviamente quelle che possono venir danneggiate, se parlo di affari parlamentari, il "governo a rischio" sottintende "di caduta".

Al solito, occorre poi andare a guardare i singoli casi, perché sicuramente i giornalisti usano un termine per l'altro senza pensarci, e molte volte non correttamente.

http://www.treccani.it/vocabolario/rischio/

http://www.treccani.it/vocabolario/pericolo/

Inviato: mer, 15 mag 2013 9:59
di Manutio
Piccola precisazione terminologica, rivelatasi opportuna. Pericolo e rischio non sono sinonimi se si prende il termine nel suo senso piú banale, quello di parole presunte identiche, fra cui si può scegliere a capriccio come fanno i cattivi scrittori. Lo sono invece nel senso della sinonimica (questo è il termine corrente), lo studio delle sfumature piú o meno sottili di significato che distinguono parole molto vicine, dello stesso campo semantico. Cosí fece Niccolò Tommaseo nel suo famoso Dizionario dei sinonimi, che non è un prontuario di parole identiche, già citato da Ferdinand Bardamu (v. sopra). La pagina relativa, § 3009 nella mia edizione, aveva in parte stimolato anche il mio primo intervento.

Inviato: mer, 15 mag 2013 10:38
di Ferdinand Bardamu
Per completezza, giacché Animo Grato l’ha citato, riporto quel che dice il Tommaseo su repentaglio (Niccolò Tommaseo, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana, Milano: «Bietti & Reggiani», 1913, § 4268 «RISICO, REPENTAGLIO, SBARAGLIO):

Repentaglio è risico, per lo più volontario a cui l’uomo si pone; mezzo tra il risico e il pericolo, e piuttosto imminente che no. Dicendo: risicare la vita per la gloria, intendo che possa riuscire a bene; dicendo: metterla a repentaglio, intendo più del pericolo prossimo che del bene sperato: c’è meno prudenza. E così: mettersi a repentaglio, vale: mettersi a litigare, a risico d’offese e di danni. Mettersi allo sbaraglio, è peggio: attaccar brighe senza riguardo al decoro, non che cura degli opportuni vantaggi. Le anime volgari, o dalla passione infoscate si mettono allo sbaraglio. Un ardimento non senza dignità, o almeno non senza scuse e pretesti di bene, può mettere a repentaglio. L’uomo mette allo sbaraglio sè stesso; mette a repentaglio sè e altri; la vita, l’onore, gli averi, la patria e le sue sorti.

[La punteggiatura e la grafia sono nel testo originale.]

Naturalmente, solo chi ha una conoscenza ingenua, scolastica della lingua può pensare che esistano sinonimi perfettamente equivalenti e intercambiabili. E il fatto che la scuola spesso insegni che questa o quella parola pari siano spiega molte sciatteríe.

Si potrebbe dilettevolmente elucubrare sulle ragioni di questa insistenza giornalistica sul rischio, ma tale elucubrazione sarebbe inane: temo che la scelta sia il frutto d’una miscela di superficialità e snobbismo (con snobbismo intendo il desiderio di conformarsi agli usi linguistici d’una ristretta cerchia — oggi si direbbe «casta» — che si ritiene dotata d’un certo prestigio).

Inviato: mer, 15 mag 2013 11:16
di domna charola
Dipende dove si mette il limite fra "sinonimo" e "significato diverso", secondo me, e anche dalle risemantizzazioni successive che possono aver subito i termini.

Negli ambiti tecnici correnti con "pericolo" si indica la situazione potenziale, cioè generica, esistente di per sè. Il rischio invece è la probabilità che il pericolo colpisca qualcuno/qualcosa, probabilità che è calcolata in base alla vulnerabilità della cosa considerata.
Il pericolo è una condizione "cosmica", il "rischio" la sua proiezione sul singolo, per così dire.

In pratica:

pericolo + vulnerabilità = rischio

I termini considerati sono sinonimi quanto edificio-tempio-chiesa, più o meno.
Appartengono allo stesso campo semnatico del "lasciarci le penne" (o delle costruzioni, nell'esempio sopra), ma ormai oggi vogliono dire cose ben precise e diverse fra loro, non intercambiabili e non "sfumature".

Anche per le casalinghe, in teoria, visto che essendo noi territorio a elevato "rischio" sismico e idrogeologico, queste cose rientrano nei programmi di prevenzione svolti nelle scuole.

Una volta tanto che la lingua italaina riesce a difendere la propria ricchezza, mantenendo i propri termini, cerchiamo di sostenerla, bacchettando eventualmente chi ne fa un uso improprio!

...dietro l'angolo c'è sempre il terrifico "hazard", che i tecnici duri e puri usano, ma non ha ancora invaso il campo della divulgazione, per fortuna... lì si dice ancora "pericolo" e "pericolosità".

Inviato: mer, 15 mag 2013 16:40
di Animo Grato
Anziché inaugurare un filone apposito, approfitto di questo per segnalare il successo - altrettanto infestante - dell'espressione antonimica: in sicurezza. Meglio ancora, mettere in sicurezza.
Da una veloce gugolata, risultano messe (o da mettere) in sicurezza:
- le aule dell'istituto scolastico "Tortorelle" ad Agrigento;
- le casse regionali (Messaggero Veneto);
- un po' di strade nel casertano.
Compito del neoeletto segretario del PD sarà "mettere in sicurezza" il partito, ed è notizia di pochi giorni fa che parecchie mamme bolognesi guardano con sospetto alla decisione di "mettere in sicurezza" (da un punto di vista finanziario, non edilizio) la scuola dei loro figli attraverso l'ASP (non chiedetemi cosa sia). Dai capannoni lesionati dal terremoto al Monte dei Paschi dissanguato dai faccendieri, tutto va "messo in sicurezza".
Si "metta in sicurezza" chi può!

Inviato: gio, 16 mag 2013 1:12
di Zabob
Urge messa in sicurezza della lingua italiana! :wink:

Inviato: gio, 16 mag 2013 2:51
di Souchou-sama
Animo Grato ha scritto:l'ASP (non chiedetemi cosa sia)
Azienda [Pubblica] di Servizi alla Persona, se non erro. :) In effetti è tutto fuorché trasparente, come sigla.

Inviato: gio, 16 mag 2013 7:46
di Jonathan
Approfitto di questo filone per una piccola divagazione: come giudicate l'espressione rischia di vincere, ovvero 'ha delle reali, sorprendenti possibilità di vincere'? La s'incontra sia nel parlato [da decenni, probabilmente] sia nello scritto, come attestato dalle numerose presenze in rete. Chi ne avverte l'incoerenza mette rischio tra virgolette, ma di solito la frase si presenta nuda e cruda. L'ho sempre trovata al tempo stesso fastidiosa ed efficace.

Inviato: gio, 16 mag 2013 8:29
di PersOnLine
Probabilmente è usato in senso antifrastico con un intento (semi)umoristico, dato l'ossimoro che crea: la sfortuna che si avveri un evento fortunato.

Inviato: gio, 16 mag 2013 9:44
di Jonathan
PersOnLine ha scritto:Probabilmente è usato in senso antifrastico con un intento (semi)umoristico, dato l'ossimoro che crea: la sfortuna che si avveri un evento fortunato.
Un intento umoristico è certo possibile, ma la mia domanda riguardava le frequenti occasioni nelle quali rischia di vincere equivale a 'può farcela davvero', 'se la può giocare sul serio', senza alcuna vena ironica. Vedasi qui, per esempio.

Inviato: gio, 16 mag 2013 9:53
di Ferdinand Bardamu
Io, in «Rischiamo di vincere», ci vedo una cert’ansia, quasi che ci fosse una domanda sottintesa: «E dopo che faremo?».

Nel «‹Rischia› di vincere» della cronaca sportiva, invece, mi pare di scorgere un riferimento al colpaccio d’una vittoria in trasferta (e allo speculare rischio di sconfitta della squadra di casa).