Fausto Raso ha scritto:Il motivo della doppia “c” – a mio avviso – va ricercato nel fatto che la lingua italiana è, in un certo senso, un miscuglio di dialetti e “libriccino” ha subíto, nella grafia, l’influenza della parlata meridionale che, al contrario di quella settentrionale, la veneta in particolare, tende al raddoppiamento delle consonanti.
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Questo filone sarebbe piú appropriato in "grafematica".
No, i dialetti qui non c’entrano, caro Fausto, e la sezione è quella giusta.
In realtà, a ben guardare (ma proprio bene, eh!) la spiegazione si trova [
nascosta] nella sopraccitata risposta della «Redazione Consulenza Linguistica» dell’Accademia della Crusca, che da un po’ di tempo in qua (cioè da quando rispondono loro invece d’interpellare gli Accademici) si dà a interminabili semistoriche disquisizioni senza mai venire (o venendo solo molto raramente, e sempre con grande travaglio) al «punto».
Insomma, come ci ricorda (per esempio) il
GRADIT, il suffisso
-icino proviene dall’unione del segmento
–ic– di
–icello (< lat.
-ICĔLLU[M]) e del suffisso diminutivo per eccellenza
–ino (<
-ĪNU[M]): «aggiunto produttivamente a sostantivi, ha valore diminutivo, a volte con connotazione affettiva o attenuativa:
lumicino,
ossicino,
posticino»; è presente inoltre «in un ristretto numero di aggettivi di relazione:
carnicino».
In
libriccino (che è —ricordiamolo— la forma tradizionale) figura invece l’unione [
occasionale] del suffisso denominale limitativo/peggiorativo
-iccio (esito
regolare del suffisso latino
-ĪCĬU[M], che ritroviamo in parole quali
chiacchiericcio,
laniccio,
muriccio) e del solito
–ino.
La conservazione di quest’alterato occasionale in
-iccino dev’essere stata favorita, come ci ricorda finalmente la Setti, dall’accostamento a
libricci(
u)
olo, un tempo il piú comune diminutivo di
libro.