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Dubbio: non vorrei che...

Inviato: mar, 27 mag 2014 22:36
di Ortex
Salve!
Ho ascoltato la seguente frase:

Non vorrei che quei terreni compromessi dallo sversamento dei rifiuti potrebbero perdere nel tempo il loro reale valore di mercato.

Volevo chiedere se la frase sia grammaticalmente corretta oppure no in relazione al quel "potrebbero" e perché.
E ancora volevo sapere se sia possibile usare altre costruzione magari utilizzando il congiuntivo, specificando al contempo le differenti sfumature tra le eventuali possibilità.

Grazie.

Inviato: mar, 27 mag 2014 23:50
di Ivan92
Salve Ortex! :)

La frase da lei menzionata è errata, ché, se nella reggente il verbo è al condizionale (in questo caso presente), nella frase secondaria il verbo deve essere al congiuntivo (in questo caso imperfetto). Perciò, si avrà la seguente frase:

Non vorrei che quei terreni compromessi dallo sversamento dei rifiuti potessero perdere nel tempo il loro reale valore di mercato.

In alternativa, potremmo anche usare il congiuntivo presente, cioè:

Non vorrei che quei terreni compromessi dallo sversamento dei rifiuti possano perdere nel tempo il loro reale valore di mercato.


La scelta tra i due tempi dipende da un diverso grado di certezza o di possibilità. Useremmo un congiuntivo presente nel caso in cui il fatto dovesse esser percepito come più probabile. Ricorreremmo a un congiuntivo imperfetto qualora il fatto dovesse apparire più improbabile.

Inviato: gio, 29 mag 2014 18:18
di Ortex
Salve Ivan92!

La ringrazio per l'esauriente risposta. :)

Inviato: gio, 29 mag 2014 18:41
di Ivan92
Di nulla! :)

Attenda comunque pareri e contributi più esaustivi dei miei, ché io son pur sempre un "neofita"! :)

Inviato: gio, 29 mag 2014 19:32
di Ortex
Sì, certo! Attendo fiducioso! :-)

La frase l'ho ascoltata mentre guardavo il video di un comizio elettorale. :)

Inviato: sab, 31 mag 2014 13:08
di Ivan92
Allora stia pure tranquillo, ché i nostri politici non sono certo l'esempio da seguire (in tutti i sensi). :)

Inviato: sab, 31 mag 2014 14:58
di PersOnLine
Ivan92 ha scritto:Allora stia pure tranquillo, ché i nostri politici non sono certo l'esempio da seguire (in tutti i sensi). :)
Ho visto che usa molto il ché, in questi casi mi sembra però un abuso: un ipercorrettismo.

Inviato: sab, 31 mag 2014 18:07
di Ivan92
Son sicuro di quello che dice e mi fido di lei, dato che - suppongo - ne sa più del sottoscritto! :) Gradirei, ad ogni modo, conoscere il motivo di tale credenza. Come mai, in questo caso, reputa il ché un ipercorrettismo?

Inviato: sab, 31 mag 2014 18:59
di Scilens
A mio avviso perchè non lo sia basta che sia eliminata la virgola.

Inviato: sab, 31 mag 2014 21:10
di PersOnLine
Sono un profano anch'io. La mia è solo un'impressione, una questione di gusto – se preferisce –, di prudenza: non usare forme [soprattutto ortografiche] inconsuete, se il contesto non lo richiede e non se ne ha una piena padronanza. Nel caso in questione il ché mi pare un ipercorrettismo, dato che il che svolge benissimo la sua funzione.

Inviato: dom, 01 giu 2014 0:21
di Ivan92
La ringrazio del suo contributo! :)

Lei sostiene che non si debbano usare forme inconsuete se il contesto non lo richiede. Ma che cosa intende precisamente?
Per esempio, nel filone (aperto dal sottoscritto) riguardante l'uso del ché, il nostro caro Ferdinand ci diceva: "il ché esprime in genere una causa nota". Ora, il fatto che la classe politica non sia un modello da seguire è palese e lapalissiano. Non v'è nulla di nuovo in questa affermazione. Per cui, stando a quel che si è detto, non mi sembra così inconsueto l'uso del ché. Vero è che il nostro Ferdinand teneva a precisare: "proprio della lingua scritta". Ma quale sarebbe questa lingua scritta? Quella dei soli scrittori? Il ché sarebbe allora appannaggio esclusivo di quelle persone che si guadagnano da vivere colla scrittura? Perché, se così fosse, saremmo costretti, noi che scrittori non siamo, a usare il solo che. Invero, a me sembra che il concetto di lingua scritta possa prestarsi a molteplici interpretazioni. La lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio non può non esser scritta, ovviamente. Ma, per quel che mi riguarda, anche la lingua usata in quel di Cruscate è un esempio lampante di lingua scritta, poiché noi si scrive in un linguaggio formale e sostenuto.

Inviato: dom, 01 giu 2014 11:43
di PersOnLine
Perché il ché, più che della lingua scritta, è dello stile letterario, per questo - a parer mio - è fuori contesto.

Inviato: dom, 01 giu 2014 20:09
di Ivan92
PersOnLine ha scritto:Perché il ché, più che della lingua scritta, è dello stile letterario
Ciò è assolutamente vero. A ogni modo, penso vi sia una differenza - seppur non così precipua - tra una frase come Allora stia pure tranquillo, ché i nostri politici non sono certo l'esempio da seguire e mangia, che si sta raffreddando. Mentre nel secondo caso il ché sarebbe inconsueto, giacché la proposizione è l'esempio palmare d'un discorso colloquiale tra - per esempio - madre e figlio, nel primo caso, per converso, ci troviamo dinnanzi a una frase che, sebbene non abbia nulla a che fare con uno stile letterario e/o poetico, denota una certa formalità, ravvisabile - quest'ultima - nel registro di lingua usato, che è lungi dall'esser familiare.