Di «d» eufoniche, uso e adattamenti
Inviato: mar, 12 set 2006 19:18
Apro questo filone per rispondere a Freelancer nel posto che reputo acconcio.
, mecce.
E per finire, lascio aperta la questione relativa alla relazione tra la disattivazione del processo assimilativo e l’abuso d’anglicismi. Solo una cosa: nell’Ottocento, quando si abusava di francesismi, i termini erano adattati (to[e]letta, cadò, ecc.); ma allora chi scriveva era perlopiú letterato, con una viva coscienza della lingua. Oggi, perlopiú, chi scrive non ha questa coscienza (e spesso non per colpa propria, ma perché non ha ricevuto questa cultura), e la fretta dei nostri tempi concede poco spazio alla riflessione, specie nel mondo dei mèdia, che tanto influisce su come parla la gente.
Davvero l’ho cassata? Ho solo detto che a me non suona bene. Punto. Nessuna fantomatica regola, se non quella del buon senso e dell’orecchio, che variano da individuo a individuo. È stato lei a ingigantire una mia parentesi.Freelancer ha scritto:Continuo a non capire: se è questione di gusto, mi sa spiegare o no in base a quale criterio cassa la la d eufonica nel caso in oggetto? Stride forse? O che altro? Se invece lo fa solo per applicazione automatica di una regola appresa da un insegnante (vedi sotto) allora mi accontento di questa spiegazione.
L’ho detto sopra, non si tratta d’una regola.Freelancer ha scritto:Mi sembra che assomigli a uno di quelle tante regole senza fondamento che venivano (vengono?) insegnate: non si comincia un periodo con il gerundio, non si comincia con una E e così via.
Non sono assolutista e conosco bene gli scritti di Bruno Migliorini.Freelancer ha scritto:Non bisogna mai essere assolutisti. Migliorini non ha detto che la d eufonica non si deve mai usare, bensì ha suggerito - e concordo con lui - che sarebbe bene usarla solo nell'incontro tra vocali uguali. Ripeto, Migliorini stesso la usa ogni tanto, sembra quindi che non riuscisse a conformarsi sempre alla regola da lui stesso proposta!
La maggior parte, per quanto riguarda l’uso scritto, non s’identifica con l’uso (a meno che lei pensi che le molte persone che scrivono *Se l’avrei saputo, non sarei venuto siano rappresentative dell’uso al quale si riferisce). Manzoni tolse quasi tutte le d eufoniche nella versione definitiva dei Promessi sposi rifacendosi all’uso vivo di Firenze, in cui questo “dieggiare” non esiste, o è ridotto al minimo. Non si riferiva all’uso panitaliano, ma a quello, ben circoscritto, dei parlanti fiorentini dell’epoca.Freelancer ha scritto:Invece la maggior parte dei parlanti è senz'altro un punto di riferimento, quando la maggior parte si identifica con l'uso. Lo diceva - sono sicuro che lei lo sa - lo stesso Manzoni che lei porta a esempio.
Preferendo tendenza a moda, forse lei cerca d’alludere alla credenza secondo la quale le mode sono passeggere e le tendenze immutabili e eterne? Per quanto riguarda gli osservatori della lingua, osservino pure; per me l’osservazione dev’essere il fondamento d’una valutazione critica, e non una semplice costatazione fine a sé stessa.Freelancer ha scritto:E lo scomparsa dell'adattamento non è una moda, è una tendenza, rilevata e riconosciuta da tutti - o dovrei dire quasi tutti? - gli osservatori della lingua.
Non mi pare d’aver confuso le due cose. Sulla seconda, conosce bene il mio punto di vista e non mi ripeterò. Quanto alla «scomparsa» dell’adattamento, parlerei piuttosto di disattivazione o intorpidimento di sane reazioni naturali; basterebbe riattivarle. E in realtà i parlanti lo fanno parlando; il problema risiede nello scritto: nessuno ha il coraggio d’un Pratolini, che scriveva, ad esempioFreelancer ha scritto:Non confonda la scomparsa dell'adattamento con l'abuso degli anglismi, so che ha questo in mente, certamente tra i due esiste una relazione, ma è di causa ed effetto, di influenza reciproca o di semplice concomitanza? Ecco qualcosa che varrebbe la pena di studiare, anziché lanciarsi in geremiadi sulla povertà linguistica e spirituale dei parlanti.

E per finire, lascio aperta la questione relativa alla relazione tra la disattivazione del processo assimilativo e l’abuso d’anglicismi. Solo una cosa: nell’Ottocento, quando si abusava di francesismi, i termini erano adattati (to[e]letta, cadò, ecc.); ma allora chi scriveva era perlopiú letterato, con una viva coscienza della lingua. Oggi, perlopiú, chi scrive non ha questa coscienza (e spesso non per colpa propria, ma perché non ha ricevuto questa cultura), e la fretta dei nostri tempi concede poco spazio alla riflessione, specie nel mondo dei mèdia, che tanto influisce su come parla la gente.