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Sulla «democrazia linguistica»
Inviato: ven, 14 nov 2014 2:40
di Scilens
Lo so che c'è tanto rumore, ma agl'Italiani serve una guida, che non è la democrazia (ché non c'è democrazia nella nostra lingua e non ci deve essere) e non è la scienza, perché così com'è comunemente intesa non è in grado di comprendere l'oggetto di studio (l'Italiano), figuriamoci di normarlo.
Inviato: ven, 14 nov 2014 8:33
di domna charola
Perplessa sulla democrazia della lingua, che non va confusa con "anarchia".
Ma, se i dizionari di cento anni fa sono in parte superati, se certi termini che si usavano correntemente al tempo di Boccaccio o di Manzoni oggi sono "desueti", "letterari", "antichi" etc., vuol dire che la lingua, sia pur lentamente, si modifica nel tempo.
E chi è l'artefice di tali modifiche? Un deus ex machina che decreta di volta in volta, monarchicamente, cosa è diventato giusto?
Oppure una vox populi, riordinata nei documenti scritti, che sottolinea come ormai certi elementi non li usi più nessuno e siano diventati, se non incomprensibili, per lo meno superati?
Non è, in qualche modo, "democrazia" anche questa, sia pure inscritta nella "lunga durata"?
Inviato: ven, 14 nov 2014 18:49
di GFR
Lo sa Scilens che lei mi fa un po' paura?

Con lei al governo rischierei di prendermi sei mesi, che so, "per vilipendio del gerundio"

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Condivido l'intervento di
domna charola.
I tradizionalisti tengono la rotta dell'Italiano, gli innovatori (o gli ignoranti) la modificano e la Lingua continua la sua strada.
Inviato: ven, 14 nov 2014 21:30
di Scilens
Non ho iniziato io questo filone. Era già successo anche in precedenza.
Inviato: lun, 17 nov 2014 8:45
di GFR
Spontaneamente parteggio per i ‟tradizionalisti‟. Ciònnonostante mi sembra che la tradizione celi in sé una componente di trasformazione continua. Si compie così quel processo di aggiornamento sintetizzato nell’intervento di domna charola; e questa mutazione finisce per coinvolgere anche la tradizione. (Ovvio il secondo me)