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Leopardi e l’«absence»

Inviato: sab, 22 nov 2014 16:36
di Zabob
In una lettera a Giovan Pietro Vieusseux datata 4 marzo 1826 il ventottenne Leopardi scrive:
Giacomo Leopardi ha scritto:La mia vita, prima per necessità di circostanze e contro mia voglia, poi per inclinazione nata dall'abito convertito in natura e divenuto indelebile, è stata sempre, ed è, e sarà perpetuamente solitaria, anche in mezzo alla conversazione, nella quale, per dirlo all'inglese, io sono più absent di quel che sarebbe un cieco e sordo. Questo vizio dell'absence è in me incorreggibile e disperato.
Mi chiedo che significato abbiano qui i termini inglesi absent e absence (peraltro presenti pari pari in francese, lingua senz'altro familiare a Vieusseux, ginevrino d'origine), al punto che lo stesso poeta li abbia sentiti più precisi di altri vocaboli nella nostra lingua. Io ho pensato a estraniato e estraniazione.

Inviato: sab, 22 nov 2014 17:27
di Scilens
Il concetto di estraneità, ed estraniamento, come l'intendiamo oggi credo che sia tutto novecentesco, anche se la parola pare, da una breve ricerca che ho fatto, che risalga alla fine del 1800 e per questo non era disponibile al tempo di Giacomo.
Un dubbio m'aveva colto: che c'entrasse qualcosa l'assenzio, ma ora non ho tempo di controllare e forse è un'ipotesi del tutto peregrina.

Inviato: sab, 22 nov 2014 19:01
di Marco1971
Assenzio è absinthe. ;)

Leopardi adoperava occasionalmente francesismi crudi, come anche rêverie.