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Aferesi

Inviato: gio, 25 dic 2014 16:32
di Ivan92
Nel verso petrarchesco Amor, che ’ncende il cor d’ardente zelo, la vocale iniziale (la i d'incende) viene soppressa ('ncende). Mi chiedo: il fatto che il Nostro —e come lui molti altri— abbia scelto di ricorrere all'aferesi piuttosto che elidere il pronome relativo (ch'incende ), ha che fare con una scelta personale, libera del poeta o dettata da precise esigenze metrico-ritmiche? Il numero delle sillabe rimane invariato sia che si scriva che 'ncende sia che si scriva ch'incende. È soltanto una questione di gusto, di stile o v'è dell'altro?

Inviato: mer, 07 gen 2015 14:03
di GFR
Secondo me‚ intanto che legge un verso deve anche ascoltarlo: ne afferrerà la cadenza. Questa potrebbe rivelarsi diversa anche con delle minime variazioni che non incidono sull’endecasillabo‚ come lei ha già rilevato.
Ascoltare Amor‚ chincende … è tutto diverso da sentire Amor, che ’ncende... Questo mi ricorda altri suoni come Amor che move…

Un’ ipotesi più vicina all’idea dell’Autore potrebbe essere Amor‚ che incende … (non potrebbe venir sentito nel verso come *chincende). Però c’è la sinalefe e non vale la pena di risalire alla sua liceità (nelle regole del Poeta) se il Petrarca non l’ha usata.

Inviato: mer, 07 gen 2015 19:15
di Scilens
Nella mia vasta ignoranza credo che Cecco cercasse riprodurre il parlato. Quel verso lo leggo "amor chencendelcor dardentezzelo". L'elisione della i di incende mi par normale, è la parte più debole e la "e" di che si conserva più facilmente. L'esempio famoso "ch'i'odo" in "natura" non esisterebbe, si direbbe "ch'odo", codo; ma era bruttino...