del Rohlfs, paragrafo che riporto per intero.
Rohlfs (1968:311–2), sottolineature mie, ha scritto:566. Flessione dei perfetti forti. Alla terza persona plurale l’accento venne, nel latino volgare, ritratto dalla desinenza sulla sillaba radicale: d i x é r u n t > d í x e r u n t, e cosí f é c e r u n t, f ú e r u n t.
Nell’italiano la coniugazione forte è circoscritta alla prima e terza persona del singolare e alla terza del plurale, mentre nelle altre persone s’usano le forme deboli, accentate sulla desinenza: scrissi, scrivesti, scrisse, scrivemmo, scriveste, scrissero, e cosí féci, facésti, féce, facémmo, facéste, fécero. Si ha cioè un tipo di flessione mista, in parte forte e in parte debole, la cui origine va vista nel perfetto in -ui, ove l’u scomparve senza lasciar tracce nelle forme accentate sulla desinenza, e producendo invece allungamento della consonante precedente nelle forme accentate sul tema (abbi, caddi, volli, venni). Si produsse cosí lo schema abbi, avésti, abbe, avémmo, avéste, ábbero, ovvero vòlli, volésti, vòlle, volémmo, voléste, vòllero. Tale distribuzione di forme ‘forti’ e ‘deboli’ venne in seguito estesa ad altri verbi, anzitutto a quelli che pure terminavano con una doppia consonanza, per esempio scrissi : scrivesti, cossi : cocesti. Infine il tipo venne generalizzato a tutti i perfetti forti. Le eccezioni stètti : stésti e dièdi : désti si spiegano con l’influsso delle desinenze della coniugazione in e (facesti), tanto piú che dare e stare sono gli unici verbi della coniugazione in a con perfetto forte. Tuttavia la flessione diedi : dasti, stetti: stasti, che ci attenderemmo, è notevolmente diffusa nelle parlate popolari delle province di Lucca e di Pistoia, e nelle Marche.
Ma lo schema sopra illustrato non è penetrato dappertutto in Italia. Vi sono dialetti che usano le forme forti anche alla prima persona del plurale. Cosí è per esempio per il lucchese, cfr. dièdimo, dissimo, èbbimo, fécimo, lèssimo, spársimo, stèttimo, vídimo, mísimo, tènsimo, vòlsimo; e cosí per parti della provincia di Siena (San Gimignano viènsamo ‘venimmo’, vòrzamo ‘volemmo’) e per l’Elba (viènzemo). Cosí anche in Sicilia, per esempio áppimu, sáppimu, pòttimu, vínnimu, díssimu, víttimu, dèttimu, stèttimu, tínnimu, oltre che nella Calabria meridionale (àppimu, pòttimu, vittimu, dèzimu, vòzimu) e in parte della penisola salentina (íbbimu, scísemu). Tale schema è indubbiamente il piú antico, poiché nel latino la prima persona del plurale di questi verbi era accentata sul tema (scrípsimus, dédimus, díximus). Nell’italiano dunque avemmo, volemmo, tenemmo ecc. sarebbero forme foggiate su credemmo, perdemmo, in corrispondenza anche con cantammo, partimmo, fummo. Infine, l’estensione a tutte le persone della flessione forte, che s’incontra nel toscano popolare (Firenze, Montale, Versilia), per esempio ebbi, ebbesti, ebbe, no’ s’ebbe, ebbesti (o ebbessi), èbbano, va riguardata come un piú recente adeguamento analogico.