Indovinello veronese e latino volgare
Inviato: mer, 11 ott 2006 22:08
Citazione, dal volume di Gianfranco Cavallin, edicoes Est, Porto Allegre (2001) intitolato ESISTE LA LINGUA VENETA?
Nel 1969 il prof. Tagliavini nel suo "Le Origini delle Lingue Neo Latine" spiegò che il primo documento scritto in lingua volgare non era il Giuramento del Placito Capuano dell'anno 960 ma un indovinello scritto in Lingua Veneta a Verona tra gli anni 700 e gli anni 800.
Il documento capuano è un placito emesso dal giudice Arechisi nel marzo 960 per definire una contesa fra il monastero di Montecassino e Rodelgrimo d'Aquino. Il Placito è scritto in Latino ma la testimonianza dei Padri Benedettini viene riprodotta con le stesse parole della Lingua Volgare usata dai Padri: — "sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti" (So che quelle terre, per quei confini che li contiene, trenta anni le possedette parte di Santo Benedetto).
Questo era sempre stato considerato il primo documento scritto in Lingua Volgare, ma nel 1969 il Tagliavini dimostrò che il primo documento in Volgare era invece veneto e, precisamente, l'indovinello veronese: "Se pareba boves, alba prataglia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba". Oggi, dopo milleduecento anni, la Lingua è ancora la stessa e ben conservata e un bambino che parlasse in buon Veneto direbbe più o meno:— "El se parava i bo', bianchi prà el arava, bianco versor el tegneva, nera semensa el semenava" (Spingeva avanti i buoi, bianchi prati arava, bianco aratro teneva, nero seme seminava).
L'indovinello si riferisce allo scrivere su carta bianca ove i "bo" (i buoi) sono i fogli di carta che vengono girati per essere scritti (o meglio le dita), i "bianchi prati" sono i fogli bianchi che vengono "arati" ossia scritti con il pennino che, dove passa, lascia il segno esatta-mente come l'aratro che dove passa lascia un segno, l'aratro bianco" è appunto il pennino bianco che scrive, il nero seme è l'inchiostro che viene "seminato" ossia lasciato sul foglio: "Si tratta di un indovinello veronese [...] del secolo VIII o al più tardi del IX [...] indovinello si, non però di origine popolare, ma erudita, e non in latino volgare, ma in schietto volgare [...] che il nostro frammento sia veneto è assolutamente sicuro. Basterebbe per provarlo la forma «VERSORIO» che deriva da «VERSORIUM», che corrisponde al «VERSOR» (aratro) del Veneziano, Padovano, Veronese, e Bellunese (parola veneta introdottasi anche nel latino; anche il latino come daltronde ogni lingua umana, è pieno di prestiti da altre lingue). «VERSORIUM» occupa tutto il territorio veneto, veneto-ladino, e friulano, e penetra parzialmente in Emilia (in ferrarese: «VARSUR»). Per «ARATRO» in Italia nord-occidentale domina il tipo «PLOVUM» (in piemontese si dice «Plov») [...] «PARARE» nel senso di spingere i buoi è diffuso in alta Italia; la parola «ALBUS» non vive più nel Veneto sostituita dalla parola germanica «BLANK» da cui «BIANCO», «ALBUS» vive solo nella toponomastica al pari della parola «PRATAGLIA» da cui derivano Praglia in provincia di Padova, Pradaia in provincia di Trento" (C. TAGLIAVINI, Le Origini delle Lingue Neolatine, Bologna, 1969, pp. 524-9, 526 nota 130).
Qualcuno ha scritto:
Con la fine dell’organizzazione politica ed economica dell’impero romano, il latino si scinde in tante minuscole unità quanto sono le comunità. Ma tutti sono convinti di continuare a parlare latino, anche se i pochi che scrivono lo scrivono in modo sempre piú sgrammaticato. Questo stato di cose dura tre secoli, fino a Carlo Magno. La ripresa dell’insegnamento scolastico restituisce un certo ordine alla lingua scritta, ma rivela anche a tutti la distanza che la separa da quella parlata. Il Concilio di Tours (IX secolo) in Francia impone ai preti di predicare in volgare. Anche in Italia, col IX secolo, si può affermare che esiste la lingua italiana, anzi: tante lingue italiane.
Un testo questo che segnala, più che una grande e comprensibile ignoranza, idiozia pura!
Nel 1969 il prof. Tagliavini nel suo "Le Origini delle Lingue Neo Latine" spiegò che il primo documento scritto in lingua volgare non era il Giuramento del Placito Capuano dell'anno 960 ma un indovinello scritto in Lingua Veneta a Verona tra gli anni 700 e gli anni 800.
Il documento capuano è un placito emesso dal giudice Arechisi nel marzo 960 per definire una contesa fra il monastero di Montecassino e Rodelgrimo d'Aquino. Il Placito è scritto in Latino ma la testimonianza dei Padri Benedettini viene riprodotta con le stesse parole della Lingua Volgare usata dai Padri: — "sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti" (So che quelle terre, per quei confini che li contiene, trenta anni le possedette parte di Santo Benedetto).
Questo era sempre stato considerato il primo documento scritto in Lingua Volgare, ma nel 1969 il Tagliavini dimostrò che il primo documento in Volgare era invece veneto e, precisamente, l'indovinello veronese: "Se pareba boves, alba prataglia araba, albo versorio teneba, negro semen seminaba". Oggi, dopo milleduecento anni, la Lingua è ancora la stessa e ben conservata e un bambino che parlasse in buon Veneto direbbe più o meno:— "El se parava i bo', bianchi prà el arava, bianco versor el tegneva, nera semensa el semenava" (Spingeva avanti i buoi, bianchi prati arava, bianco aratro teneva, nero seme seminava).
L'indovinello si riferisce allo scrivere su carta bianca ove i "bo" (i buoi) sono i fogli di carta che vengono girati per essere scritti (o meglio le dita), i "bianchi prati" sono i fogli bianchi che vengono "arati" ossia scritti con il pennino che, dove passa, lascia il segno esatta-mente come l'aratro che dove passa lascia un segno, l'aratro bianco" è appunto il pennino bianco che scrive, il nero seme è l'inchiostro che viene "seminato" ossia lasciato sul foglio: "Si tratta di un indovinello veronese [...] del secolo VIII o al più tardi del IX [...] indovinello si, non però di origine popolare, ma erudita, e non in latino volgare, ma in schietto volgare [...] che il nostro frammento sia veneto è assolutamente sicuro. Basterebbe per provarlo la forma «VERSORIO» che deriva da «VERSORIUM», che corrisponde al «VERSOR» (aratro) del Veneziano, Padovano, Veronese, e Bellunese (parola veneta introdottasi anche nel latino; anche il latino come daltronde ogni lingua umana, è pieno di prestiti da altre lingue). «VERSORIUM» occupa tutto il territorio veneto, veneto-ladino, e friulano, e penetra parzialmente in Emilia (in ferrarese: «VARSUR»). Per «ARATRO» in Italia nord-occidentale domina il tipo «PLOVUM» (in piemontese si dice «Plov») [...] «PARARE» nel senso di spingere i buoi è diffuso in alta Italia; la parola «ALBUS» non vive più nel Veneto sostituita dalla parola germanica «BLANK» da cui «BIANCO», «ALBUS» vive solo nella toponomastica al pari della parola «PRATAGLIA» da cui derivano Praglia in provincia di Padova, Pradaia in provincia di Trento" (C. TAGLIAVINI, Le Origini delle Lingue Neolatine, Bologna, 1969, pp. 524-9, 526 nota 130).
Qualcuno ha scritto:
Con la fine dell’organizzazione politica ed economica dell’impero romano, il latino si scinde in tante minuscole unità quanto sono le comunità. Ma tutti sono convinti di continuare a parlare latino, anche se i pochi che scrivono lo scrivono in modo sempre piú sgrammaticato. Questo stato di cose dura tre secoli, fino a Carlo Magno. La ripresa dell’insegnamento scolastico restituisce un certo ordine alla lingua scritta, ma rivela anche a tutti la distanza che la separa da quella parlata. Il Concilio di Tours (IX secolo) in Francia impone ai preti di predicare in volgare. Anche in Italia, col IX secolo, si può affermare che esiste la lingua italiana, anzi: tante lingue italiane.
Un testo questo che segnala, più che una grande e comprensibile ignoranza, idiozia pura!