Poesia: Sinalefe obbligatoria.

Spazio di discussione su questioni di retorica e stile

Moderatore: Cruscanti

pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Poesia: Sinalefe obbligatoria.

Intervento di pocoyo »

Spero si possa chiedere anche di poesia, in cui mi sembrava d'aver letto Marco1971 fosse professionalmente impegnato.

Da quel che ne sapevo io, la sinalefe non può esserci se una o entrambe le vocali sono accentate, dimodoché anche nell'esempio sottolineato la scansione sia: di-mo-do-ché an-che, dando sei sillabe.

Tuttavia ho sempre nutrito forti dubbi sul valore di questa regola che faticavo a pigliare cosí com'era. I princìpi secondo cui in tali casi la sinalefe non avviene sono sempre rispettati? O meglio: quando non lo sono si tratta d'una scorrettezza?

Porto ad esempio (scusate per la povertà di fonti) un endecasillabo de i Paralipomeni della Batracomiomàchia:
Giacomo Leopardi ha scritto:Schiuso è il monte dall’una all’altra parte.
Canto III, terza ottava.

Secondo la data regola la sinalefe non avverrebbe e le sillabe diverrebbero tredici. Inutile precisare con chi mi trovo d'accordo.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Certo che è concesso, caro Pocoyo! :)

Non credo che si tratti d’una regola. Normalmente vige quella della sinalefe, si tratti o no di parola accentata; accade però che in questo come in altri casi si abbia dialefe:

Restato m’era, e non mutò _ aspetto (Inf. X, 74).

L’Elwert, nel suo manuale, dice «Non è facile dare una regola sull’uso della dialefe» e poi esamina l’uso dantesco... Questione complessa! :roll:
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

Molte grazie, m'ha rincuorato! :P

Che mi dice invece della dieresi? Nemmeno in questo caso i "due puntini" sono sempre necessari, o sbaglio?

Per non parlare degli ictus, che per me sono semplici coincidenze ritmiche dettate dal senso musicale del poeta.

Scusi se me n'approfitto: anche la riduzione d'una sillaba, in caso di parola acuta in fin di verso, e l'aggiunta invece, in caso di parola sdrucciola è possibile come no?
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

pocoyo ha scritto:Che mi dice invece della dieresi? Nemmeno in questo caso i "due puntini" sono sempre necessari, o sbaglio?
Di solito, per quanto ne so, non vengono segnati; io però li segno, come nell’incipit di questo mio antico sonetto:

Tu aggiorni, reduce da acque fulgenti,
ed è un fluïdo inarcarsi di notti
ataviche, fra le zagare e i venti...

pocoyo ha scritto:Scusi se me n'approfitto: anche la riduzione d'una sillaba, in caso di parola acuta in fin di verso, e l'aggiunta invece, in caso di parola sdrucciola è possibile come no?
Questa non l’ho capita... Mi farebbe qualche esempio?
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

Le riporto gli esempi d'un mio vecchio libretto antologico. Per altro vorrei sottolineare che leggendo non m'era mai capitato di trovare nulla di simile.
un mio vecchio libretto antologico ha scritto:Se la parola è tronca avrà una sillaba in meno, come in questi versi di Carducci:

deh per-ché fug-gi ra-pi-do co-sí (endecasillabo tronco)

Se la parola è sdrucciola, cioè ha l'accento sulla terzultima sillaba, il verso avrà una sillaba in piú, come in questi versi di Dante:

sí che dal fo-co sal-va l'ac-qua _ e li _ ar-gi-ni (endecasillabo sdrucciolo)
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Ah, sí, ora capisco. Il fatto è che non è determinante il numero di sillabe, ma l’ultimo accento tonico: per l’endecasillabo esso deve cadere sulla decima sillaba, e quel che segue non conta. :)
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

Quando si tratta d'una parola piana, quindi come lei dice, coll'accento sulla penultima sillaba, se si tratta d'endecasillabo endecasillabo rimane, ma nel caso non fosse cosí? Voglio dire, se il verso termina, ad esempio con àncora?
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Dal momento che l’accento cade sulla decima sillaba, abbiamo un endecasillabo, sia che questa decima sillaba sia quella finale (endecasillabo tronco, 10 sill.), sia che sia la penultima (endecasillabo piano, 11 sill.), sia che sia l’antepenultima (endecasillabo sdrucciolo, 12 sillabe), ecc. Se il verso dovesse terminare con telèfonagli, e -lè- fosse la decima sillaba, avremmo ancora un endecasillabo, di 13 sillabe. :D
pocoyo
Interventi: 151
Iscritto in data: mer, 07 giu 2006 16:51

Intervento di pocoyo »

E questo non istona colla musicalità del verso? Un tema troppo vario rischia di appesantire un poco il testo, almeno mi sembra :roll:.

Grazie comunque per la spiegazione, è sicuramente piú chiaro lei della signora Mariotti.
Avatara utente
Marco1971
Moderatore
Interventi: 10445
Iscritto in data: gio, 04 nov 2004 12:37

Intervento di Marco1971 »

Di nulla. Sí, certo, e infatti di endecasillabi bisdruccioli non ne ho alcun esempio, anche se sono teoricamente possibili. De la musique avant toute chose, et pour cela préfère... l’endecasillabo piano! :D
amicus_eius
Interventi: 131
Iscritto in data: ven, 10 giu 2005 11:33

Intervento di amicus_eius »

Teoricamente, la sinalefe non avviene fra parole che hanno le seguenti caratteristiche prosodiche, sintattiche e semantiche:

1) non sono in qualche modo inserite in catene di proclisi e di enclisi (in altre parole, il loro accento non risulta indebolito o assente perché si appoggiano a una parola che segue o precede):

esempio:

d'antica selva dal cavallo è scorta.

La è che precede il participio è morfosintatticamente fusa con il participio passato a formare un presente passivo dunque la sinalefe ci deve essere per forza.
Un'altro esempio è dato dal verso della Batracomiomachia citato da Pocoyo. Cose non dissimili accadono quando il verbo essere (anche in voci bisillabiche) va a formare giunture tipo copula + predicato; essere predicato + stato in luogo ecc.

2) sono parole che hanno una forte rilevanza enfatica all'interno del verso o per spontanei fenomeni grammaticali (teste di sintagma, soggetti logici etc.) o per questioni di carattere espressivo.

Una situazione tipica: il caso del verso dantesco:

Quel ch'i dico di me, di sé || intende.

3) La presenza di cesura può scoraggiare la sinalefe in caso di forte iato fra vocali di timbro diverso; la favorisce fra vocali di eguale timbro.

Si aggiunga inoltre che nella prosodia della poesia medievale, determinate regole sono più elastiche, e non per un caso: determinate origini franco-romanze o latino-medievali erano più vicine nella coscienza linguistica dei parlanti e poetanti. Altrettanto elastici appaiono essere i trattamenti di sinalefe e dialefe nella versificazione teatrale, se si esclude la breve parentesi rappresentata dal rigoroso classicismo cinquecentesco. Anche ciò non è casuale: si tratta di mimesi degli iati naturali del parlato colloquiale.

Tale elasticità di trattamento è ripresa nella poesia moderna, per questioni derivanti dall'atteggiamento novecentesco di liberalizzazione, ironizzazione, rottura delle forme e dei moduli tradizionali. I sonetti di Raboni, per cui si è parlato di atonalismo dell'endecasillabo, di trattamento atonale del verso endecasillabo (con rottura della legge di Bembo, ridefinizione espressionistica dei sandhi vocalici) ne sono un esempio. L'antico sonetto di Marco1971 è un altro esempio di atonalismo novecentesco dell'endecasillabo. L'infiltrazione dell'atonalismo nella metrica tradizionale è una caratteristica delle fasi postavanguardistiche della metrica contemporanea, anche se se ne vedono antesignani e precorrimenti.

Quanto alla questione delle ultime sillabe, il discorso va approfondito.
Le sillabe dopo l'ultima accentata, nella versificazione italiana e ibero-romanza, vengono considerate soprannumerarie, per convenzione prosodica ereditata dalla poesia in lingua d'oc e d'oil, la prima a esprimersi in volgare.

Per quanto riguarda la clausola dell'endecasillabo le cose sono piuttosto complicate.

Per una questione statistica, la tendenza insita è quella di preferire i versi piani: le sdrucciole in italiano sono frequenti, ma certo non quanto le piane. Le bisdrucciole sono rare, e inoltre, la presenza di un debole accento di supporto finale permette per esse un duplice trattamento: un verbo come gravitano, in fine di verso, può essere considerato come se fosse accentato gràvitanò. Ed è quello che accade in Pascoli, non solo nelle traduzioni neoclassiche delle elegie di Tibullo: una ipotetica sequenza come "ecco scivolano" può essere considerata, specie nella poesia contemporanea dalla fine dell'Ottocento in poi equivalente a un quaternario sdrucciolo, ma anche a un settenario tronco, se la struttura ritmica predefinita dal poeta lo impone (influssi della metrica moderna delle lingue germaniche). L'ambiguità del possibile trattamento prosodico delle bisdrucciole le rende oggetto di una sorta di proscrizione implicita. Le tronche in italiano sono tipologicamente rare.

Per quanto riguarda l'impiego espressivo delle clausole dell'endecasillabo, esso non è affatto neutrale. Il caso più semplice è quello dell'endecasillabo sciolto. L'uso di endecasillabi sciolti sdruccioli in serie continua dà luogo a un vero e proprio metro "barbaro" alternativo al semplice endecasillabo sciolto, cioè a una resa accentuativa di un metro latino: il senario (o trimetro) giambico. Si tratta di una trovata antica: è nientemeno che il metro delle commedie di Ludovico Ariosto (particolarmente riuscito sul piano tecnico ne è l'impiego nella Lena), in precedenza redatte in prosa. L'uso, nell'ambito di un testo in endecasillabi sciolti piani, di una lunga sequenza o lassa di endecasillabi sdruccioli, risponde invece all'esigenza espressiva di concitazione o velocità: si veda ad esempio, nell'Eneide di Annibal Caro, la descrizione della tempesta scatenata da Giunone o la similitudine fra i Cartaginesi e le api, nel I libro).

Questo è (più o meno) tutto. Scusate la pedanteria.
Don Lisander
Interventi: 63
Iscritto in data: sab, 16 mar 2013 15:43
Località: Roma

Intervento di Don Lisander »

Riesumo questo filone per far presente che nel caso di Dante sinalefe e dialefe si alternano con una frequenza maggiore rispetto alla tradizione lirica da Petrarca in poi. In altri termini, in Dante, così come in tutta la poesia prepetrarchesca, la dialefe è molto più usata.
Si legga a tal proposito il completo e illuminante articolo Dialefe dell'Enciclopedia dantesca sul sito Treccani.it.
Marco1971 ha scritto:Tu aggiorni, reduce da acque fulgenti,
ed è un fluïdo inarcarsi di notti
ataviche, fra le zagare e i venti...
Interessante. Se è lecito chiederlo, mi piacerebbe leggerne anche il resto.
Avatara utente
GFR
Interventi: 310
Iscritto in data: ven, 10 ott 2014 21:39

Saluti di un nuovo iscritto

Intervento di GFR »

Buonasera a tutti. Sono arrivati qui cercando di approfondire la questione dialefe-sinalefe. Per ora mi limito a leggere e a provare se il mio collegamento funziona; mi sono appena iscritto. GFR
Avatara utente
Scilens
Interventi: 1097
Iscritto in data: dom, 28 ott 2012 15:31

Intervento di Scilens »

Benvenuto GFR, come vede tutto funziona bene. A presto!
Saluto gli amici, mi sono dimesso. Non posso tollerare le contraffazioni.
Avatara utente
GFR
Interventi: 310
Iscritto in data: ven, 10 ott 2014 21:39

Intervento di GFR »

Confesso: questa mattina sono corso a controllare se avessi mai ricevuto una risposta. Grazie del benvenuto.
Una salvifica Legge che faccia da Cassazione per la questione dialefe-sinalefe pare che non ci sia, neppure su questo forum.
Così, andando a "suoni", il verso del Leopardi citato in apertura (risale al 2006 la discussione) mi sembra che si regga bene, estrapolato dal resto, anche senza la "è" che innesca la questione.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 0 ospiti