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La voce di New York, intervista a Claudio Marazzini

Inviato: lun, 21 set 2015 10:37
di Ferdinand Bardamu
Il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini ha concesso un’intervista al giornale americano in lingua italiana La voce di New York. Nella conversazione, il professor Marazzini è parecchio esplicito sullo stato della nostra lingua e della nostra cultura.

Tre passi, in particolare, mi hanno colpito, per la franchezza con cui il presidente esprime le sue opinioni:
  • Lei ha condotto degli studi sull’uso dei forestierismi nella lingua italiana. Quali lingue influenzano maggiormente l’italiano?
    Ovviamente l'inglese, un po' perché la cultura americana è dominante, un po' perché una certa quantità di italiani ha la testa in America e non capisce più niente che non sia americano. Una reazione che a volte sembra degna di individui sottosviluppati e senza una propria storia.
L’intervistatrice gli chiede poi come si possa evitare l’oltranzismo fascista nel porre un argine ai forestierismi (come se un rigurgito fascista, per quanto riguarda la situazione linguistica, fosse un problema imminente!). Marazzini risponde brillantemente:
  • Credo che la lezione migliore sia guardare agli altri europei neolatini. Possiamo confrontarci con Francia, Spagna e Portogallo. Così potremo superare il complesso di essere stati fascisti dal 1922 al 1943. In questo modo, forse, ci renderemo conto che sentire la dignità della propria lingua non vuol dire necessariamente essere fascisti, anzi il contrario.
Infine, ecco una gagliarda bastonatura della classe dirigente italiana:
  • Oggi, però, la nostra classe dirigente mi pare qualitativamente assai modesta, culturalmente povera, e fra l'altro subisce con una passività esasperante l'egemonia della cultura americana e anglosassone in generale, dimostrando non solo di non saper difendere la propria lingua e la propria cultura (che spesso non ama e poco conosce), ma anche dimostrando di non saper apprezzare grandi conquiste europee, come le idee illuministe e lo stato sociale. Sinceramente, la classe dirigente italiana è spesso manchevole, poco colta, bigotta, esterofila in modo superficiale e allo stesso tempo radicata nel suo provincialismo.
Personalmente, condivido il giudizio in toto, e comprendo che sia difficile parlare cosí apertamente a un giornale italiano: s’innescherebbe la solita noiosa polemica, con le solite noiose strumentalizzazioni.

Inviato: lun, 21 set 2015 12:14
di Lizard
Davvero molto interessante, ne condivido la maggior parte, ma non tutto; non sono d'accordo quando dice che "..l'immigrazione non abbia alcun rapporto con i cambiamenti dell'italiano".
Può essere vero visto su scala nazionale, nella (quasi) totalità dei parlanti, ma in contesti più piccoli, forse no.
Per mia esperienza diretta (sono impiegato presso una cooperativa sociale di piccole/medie dimensioni, con alta presenza di immigrati non comunitari delle più svariate provenienze), vedo che non c'è una grande volontà di imparare l'italiano: ognuno di essi rimane fedele portatore della propria lingua, e pare interessato ad apprendere il solo minimo indispensabile, senza curarsi di correggere alcunché, nonostante, in via amichevole, faccia loro notare almeno gli errori più evidenti.
La mia impressione è che, non correggi ora, non correggi domani, vista la presenza sempre crescente di parlanti stranieri, pian piano prendano piede le più svariate storture lessicali.
Questo, ripeto, riportato al solo contesto che mi vede coinvolto.

Inviato: lun, 21 set 2015 14:32
di Ferdinand Bardamu
La ringrazio della testimonianza. Bisogna però dire che gl’immigrati che stanno imparando l’italiano ora sono la prima generazione. I loro figli, se decideranno di prender dimora in Italia, parleranno italiano da madrelingua, perché l’apprenderanno a scuola fin da bambini, in tivvú, per radio, in Rete e lo parleranno e lo scriveranno con i compagni e con gli amici.

Marazzini, riguardo alla possibile influenza linguistica degli immigrati, sottolinea che queste persone parlano una miriade di lingue diverse, e che queste lingue non hanno il prestigio necessario a provocare un cambiamento nella lingua. Un’influenza, limitata, ci può essere al livello superficiale del lessico, con qualche forestierismo culinario per esempio, ma dubito che possa approfondirsi fino ai livelli morfologico e sintattico.

Inviato: lun, 21 set 2015 14:43
di valerio_vanni
Ferdinand Bardamu ha scritto:Bisogna però dire che gl’immigrati che stanno imparando l’italiano ora sono la prima generazione. I loro figli, se decideranno di prender dimora in Italia, parleranno italiano da madrelingua, perché l’apprenderanno a scuola fin da bambini, in tivvú, per radio, in Rete e lo parleranno e lo scriveranno con i compagni e con gli amici.
Forse una generazione non basta.

Inviato: lun, 21 set 2015 17:26
di u merlu rucà
Anch'io condivido, in particolare i giudizi sulla nostra classe politica. Per quanto riguarda l'immigrazione, la generazione che nasce o cresce fin da piccola in Italia, almeno dal punto di vista linguistico sarà integrata. Molti addirittura si integrano prima con il dialetto e poi con l'italiano.

Inviato: lun, 21 set 2015 19:18
di Lizard
In effetti, i parlanti nati in Italia dovrebbero integrarsi linguisticamente prima dei loro genitori, ma temo anch'io che una generazione possa non essere sufficiente.

Mi rifaccio ad alcuni casi:

ho sempre sentito un genitore (arabofono) dire mozarilla per mozzarella: entrambi i figli nati in Italia seguitano a dire i anziché e, e non scempiano la zeta solo sforzandosi.

Il figlio di un altro, sempre arabofono, interloquendo con lui, dice di essere un babino italiano, così come lo pronuncia suo padre.

Questo senza poi dire di costruzioni sintattiche a dir poco fantasiose; purtroppo, trattandosi di un contesto lavorativo estremamente povero (ex carcerati, lavoratori in semilibertà, ecc.), questo andrebbe esteso anche a parlanti madrelingua italiani, ma qui uscirei dal tema in oggetto.

Inviato: mar, 22 set 2015 10:16
di domna charola
È un discorso molto complesso, anche perché ha necessariamente dei risvolti politici.

Da un lato, ci sono gruppi linguistici in cui certi suoni non sono contemplati, e quindi nel tempo l'apparato fonatorio si è strutturato in maniera tale da non essere in grado di riprodurli. In questo caso, con tutta la buona volontà, anche a un bambino risulterà difficile inserire nel suo linguaggio il nuovo suono.

Nonostante ciò, continuo a vedere ragazzini, inseriti in un ambiente italianofono sin dalla più tenera infanzia, che hanno acquisito non solo le strutture e il modo di pensare la comunicazione nella nostra lingua, ma anche - come notato sopra - il dialetto e la sua cadenza.

Anni fa, sulle scale del condominio di Venezia c'era una famiglia con due filippinini adottati, che a cinque o sei anni parlavano perfettamente la lingua veneziana, porconi compresi, ed era uno spasso sentirli (oltre che invidia, perché a me hanno ripulito le cadenze da piccola, e proprio non ci riesco più...). Così in Val Seriana, ho sentito anche adulti parlare in bergamasco, probabilmente perché si sono inseriti direttamente in quell'ambiente linguistico.

Il problema secondo me sorgerà nel prossimo futuro, quando, a fianco degli incentivi alla privatizzazione della scuola dell'obbligo e della liberalizzazione nella scelta della didattica, si aggiungerà il massiccio afflusso di nuovi cittadini decisi a mantenere una forte connotazione identitaria. La legge, come consente e supporta le scuole private delle orsoline, dei salesiani e dei pincopallini, analogamente dovrà supportare anche scuole specificatamente dedicate e gestite da altre culture, fatto salvo dei saperi minimi comuni richiesti dai programmi ministeriali.

A quel punto, il ragazzino potrà crescere immerso nel proprio linguaggio di origine, continuando a imparare l'italiano come "lingua straniera" o seconda lingua, e a quel punto ogni possibilità di integrazione sfumerà gradatamente. Ma questo, appunto, diviene un discorso anche di scelte politiche...

Inviato: mar, 22 set 2015 13:02
di u merlu rucà
Da un lato, ci sono gruppi linguistici in cui certi suoni non sono contemplati, e quindi nel tempo l'apparato fonatorio si è strutturato in maniera tale da non essere in grado di riprodurli. In questo caso, con tutta la buona volontà, anche a un bambino risulterà difficile inserire nel suo linguaggio il nuovo suono.
Sicura? L'apparato fonatorio è lo stesso in tutti gli esseri umani e, se non ricordo male, i bambini molto piccoli sperimentano tutti i suoni, scegliendo poi quelli che fanno parte della lingua che sentono intorno a sé.

Inviato: mar, 22 set 2015 14:30
di domna charola
Sì, forse da piccoli sì. Però, boh, ai corsi di dizione ci spiegavano che certe lettere per noi normali per altri sono faticosissime. Magari è solo questione di muscoli e/o movimenti poco allenati e quindi difficili da utilizzare, non di vere e proprie modificazioni morfologiche. A me è sembrata una teoria credibile, perché anche per molte altre attività se non le si fanno normalmente si perde l'abilità spontanea.

Inviato: mar, 22 set 2015 14:58
di valerio_vanni
Per quello che so io, si tratta semplicemente di apprendimento.
Le posizioni articolatorie si imparano molto bene nei primi anni di vita. Il cervello si allena intensamente a riconoscere e a riprodurre i suoni che producono le persone vicine.

Tutte le altre articolazioni, dopo, possono diventare molto impegnative.
Articolazioni e percezioni, perché se manca la percezione (e per le lingue differenti da quella madre capita spesso) non si può arrivare a riprodurre un suono.

Che ci siano impedimenti anatomici, però, mi giunge nuova.

Inviato: mar, 22 set 2015 16:04
di Lizard
Come detto precedentemente, mi riferisco sempre al contesto che conosco più direttamente:
il figlio di un marocchino, quando passa in ufficio saluta la collega dicendo "ciao Baula" per Paola.
Il bambino frequenta la scuola primaria italiana, è nato in Italia, ma forse è influenzato da quanto sente in casa (famiglia molto allargata), facendo sue alcune caratteristiche dell'alfabeto arabo (assenza della p e della o, che realizza forse mutuando altri fonemi).
Non basta quindi la frequentazione a scuola, l'uso della sola lingua italiana per alcune ore al giorno, a correggere (passatemi il termine) la dizione?
Poi, d'altro canto, capita di vedere in televisione un'intervista a Balotelli, chiudere gli occhi e scambiarlo per un vero valligiano bresciano tanto forte è la cadenza della parlata (quasi peggio della mia bergamasca).

Concordo poi con quanto detto sopra da donna charola circa la possibilità che la lingua italiana possa rimanere una seconda lingua utile ai soli fini minimi di convivenza.

Inviato: mar, 22 set 2015 17:14
di valerio_vanni
Lizard ha scritto:Il bambino frequenta la scuola primaria italiana, è nato in Italia, ma forse è influenzato da quanto sente in casa (famiglia molto allargata), facendo sue alcune caratteristiche dell'alfabeto arabo (assenza della p e della o, che realizza forse mutuando altri fonemi).
Non basta quindi la frequentazione a scuola, l'uso della sola lingua italiana per alcune ore al giorno, a correggere (passatemi il termine) la dizione?
In genere, no. L'uso riesce a correggere facilmente il lessico e i costrutti.

Ma le caratteristiche fonetiche sono parecchio cocciute, dopo che si sono sviluppate nella prima infanzia. La tendenza naturale è quella di parlare la lingua straniera con la fonetica della propria lingua madre. O, più probabilmente, un ibrido tra le due: qualcosa si impara ;-) .

Pensiamo alle vocali: in teoria, lo spazio delle vocali è una grande pianura.
https://en.wikipedia.org/wiki/IPA_vowel ... with_audio
In realtà, durante i primi anni di vita si formano degli avvallamenti in corrispondenza dei suoni che caratterizzano la lingua madre (L1).

Quando si va a imparare una lingua nuova (L2), al nostro orecchio arrivano dei suoni che stanno in altri posti, a volte in punti intermedi tra quelli che conosciamo.
Come delle palline in vetta a dei pendii: la cosa più facile è farle cadere negli avvallamenti.

Insomma, l'acquisizione di una fonetica per L2 è un compito difficoltoso che richiede un impegno specifico. Non è detto che lo straniero ne abbia voglia, forse gli basta quel minimo per capire e farsi capire.

Per esempio, sento molta gente italiana cantare in inglese e vedo che si accontenta molto facilmente della fonetica italiana ;-)

Inviato: mar, 22 set 2015 19:56
di Sixie
Il giudizio del professor Marazzini è lapidario :
“In Italia manca il senso d’identità collettiva e una buona conoscenza della propria storia e della propria lingua.”
Se la lingua è la nostra identità e se lo stato della lingua italiana rappresenta lo stato del Paese ... possiamo trarne le dovute conclusioni. Tuttavia -
"le cose dovrebbero via via migliorare" - si augura il Professore.
Personalmente credo, come il Professore, che non saranno quei poveretti degli immigrati a completare l'opera di impoverimento della lingua italiana, ma penso anche che le cose non migliorino da sole, e che la classe dirigente dovrebbe, una buona volta, portare a compimento quel dovere a cui è chiamata. Una volta in centocinquanta anni, non sarebbe poi molto.

Inviato: mar, 22 set 2015 20:24
di Lizard
Vero, non saranno certo gli ultimi arrivati a dare il colpo di grazia alla lingua italiana; per quanto sento e leggo tutti i giorni, temo che buona parte della colpa sia dei nostri connazionali e che l'opera sia già ben avviata.
Se non interessa a noi, come può interessare chi giunge qui con ben altri bisogni, non certo quelli di difendere e coltivare la lingua del paese eletto (forse) a nuova patria?
Vorrei tanto poter condividere la speranza di un miglioramento del professor Marazzini...

Inviato: mer, 23 set 2015 0:50
di Ivan92
valerio_vanni ha scritto:Le posizioni articolatorie si imparano molto bene nei primi anni di vita. Il cervello si allena intensamente a riconoscere e a riprodurre i suoni che producono le persone vicine. Tutte le altre articolazioni, dopo, possono diventare molto impegnative.
Non posso che concordare, ovviamente. Si pensi all'epèntesi dell'occlusiva dentale nel nesso ns, per esempio: ogni volta che provo a pronunciarlo correttamente, faccio veramente molta difficoltà, ché fin da bambino sono abituato a sentire un'affricata in quel contesto. Questo però non significa che il mio apparato fonatorio non sia [più] in grado di riprodurre la fricativa dopo la nasale. Si tratta soltanto d'apprendimento.