Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Devoto

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Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Devoto

Intervento di Infarinato »

È stato piú volte menzionato il «terzo sistema fonologico» postulato per l’italiano da Giacomo Devoto (e che, com’è noto, non incontrò il favore del Migliorini), soprattutto in relazione all’attuale afflusso di forestierismi non adattati.

Vorrei qui fare alcune considerazioni di natura squisitamente fonomorfologica (i.e. «strutturale») per vedere se e fino a che punto si possa effettivamente parlare di «[terzo] sistema fonologico». Ringrazio Bubu7, Freelancer e Marco1971 per aver citato in piú luoghi molti dei brani utili alla discussione, risparmiandomi cosí indirettamente la fatica di ricopiarli.

Ecco i passi essenziali, tutti tratti dal Linguaggio d’Italia (Devoto 1974: cfr. anche Devoto 1953):
Devoto (1974) ha scritto:150. IL PRIMO SISTEMA FONOLOGICO ITALIANO

Parlare di un equilibrio assestato e perciò stesso di un sistema valido per tutto il territorio italiano, è impossibile. Ma, alla vigilia di consta­tare che lo scettro del comando, la validità del simbolo di italianità generale sta per essere assunto dal fiorentino, ecco che pare opportu­no fissare i tratti fondamentali del sistema consolidato in questo tem­po, intendendo con questo di fissare il «primo sistema fonologico ita­liano», di base fiorentina, quale si era venuto configurando a partire dal IX secolo. I suoi tratti consistono in svolgimenti che sono stati illu­strati in paragrafi precedenti: A) si eliminano le parole sdrucciole in tutti quei casi, in cui il risultato degli scontri fonetici non era contro­producente: SOLIDU diventa soldo, NITIDU diventa netto, di fronte a NUMERU che diventa novero, non NOMBRO. B) Le vocali E e O aperte in sillaba libera dittongano, almeno negli strati superiori: METIT di­venta miete, NOVU diventa nuovo. C) Le consonanti finali vengono eliminate, METIT diventa miete, CAPUT capo. D) I gruppi di conso­nanti si assimilano in senso regressivo: CT diventa TT, cosí PT: FACTU diventa fatto, RUPTU rotto. E) I gruppi di consonante + L ven­gono palatalizzati in forma blanda secondo gli esempi di CLAVE che diventa chiave, PLENU che diventa pieno, FLAMMA che diventa fiam­ma, GLAREA che diventa ghiaia, BLANCU che diventa bianco. Altre palatalizzazioni hanno sviluppo unitario solo in parte: PLATJA diven­ta piazza, come MEDJU diventa mezzo. Ma HODJE si ferma al livello di it. oggi, secondo un rapporto che non ha paralleli nel sistema e non è suscettibile di una interpretazione chiara neanche sul piano geografi­co (cfr. MODIU che diventa “moggio”).
Devoto (1974) ha scritto:174. 2º SISTEMA FONOLOGICO ITALIANO

Le conseguenze di queste immissioni massicce [di latinismi (NdI)] si ripercuotono sul siste­ma fonematico italiano di base fiorentina: le strutture consolidate nei secoli IX–XII (v. §150) non bastano piú. Di questo rimangono ben fermi solo due caratteri entrambi negativi: la esclusione delle consonanti in posizione finale; la esclusione della ‑U non accentata in posizione finale. In contrasto invece col sistema precedente si impongono cinque importanti novità: la accettazione indiscriminata di parole sdrucciole e cioè dei tipi solido in confronto dei tipi soldo, i soli atti messi nel precedente sistema; la accettazione dei gruppi di “consonante + L”, che prima venivano invece inesorabilmente palatalizzati in “consonante + J” p. es. il tipo plebe che si affianca al tipo pieve, il solo ammesso nel sistema precedente; la fusione della pronuncia toscana della affricata di aceto, dieci, da originario latino K, con la spirante di bacio brucia, da un antecedente SJ; la persistenza della B intervocalica, che, nelle parole di tradizione ininterrotta, era soggetta invece alla lenizione in V, come nel caso appena citato di pleBe di fronte a pieVe; infine la arbitrarietà della apertura delle vocali E e O nelle parole, introdotte dal latino o da altre lingue. La pronuncia aperta di bello, collo è dovuta a ragioni storiche, radicate nel latino, integrate nel primo sistema fonologico italiano, e come tali o accettate nel secondo. Ma la pronuncia aperta di problèma è una scelta casuale, introdotta insieme con la parola, priva di giustificazioni storiche (cfr. §239). Essa vale come modello di pronuncia normale italiana non per ragioni storiche, ma come atto di forza del modello fiorentino, non contestato dagli italiani delle altre regioni. Allo stesso modo le parole latine iustitia vitium sono state accolte come “giustizia” “vizio”, perché nessuno poteva piú ricordare che nel latino volgare quelle I erano I aperte, e quindi destinate a sfociare nel suffisso italiano ‑ezza, o nella parola italiana vezzo.
La indipendenza del secondo sistema fonologico italiano rispetto al primo è stata determinata dalla fiumana di parole latine di tradizione interrotta che, per essere accolta, HA IMPOSTO ritocchi vistosi il le strutture italiane, quali si erano assestate fra i secoli IX e XII.

[…]
Devoto (1974) ha scritto:240. [3º SISTEMA FONOLOGICO:] I GRUPPI DI CONSONANTI

[Le caratteristiche generali del terzo sistema fonologico possono essere reperite in un qualsiasi manuale di (fonetica) e fonologia (italiana). Il riferimento classico è Muljačić (1972): cfr. anche Mioni (1993) e Canepàri (1999) (NdI).]

XI) Tuttavia la caratteristica principale del 3º sistema fonologico italiano sta nella regolamentazione delle finali consonantiche di parole straniere che si vedono accettate quando si tratti di consonanti isolate come in baR, gaS, gaP; oppure in gruppi di consonanti, di cui la prima sia continua e la seconda momentanea; oppure «piú» continua della precedente. sport film sono perfettamente inseriti, mentre sarebbero impensabili gli adattamenti dei francesi act(e) o t(h)eatr(e).
XII) Per quanto riguarda i gruppi di consonanti, l’assetto è lungi dall’esser raggiunto. Non si può parlare solo di gruppi ammessi e di gruppi esclusi, ma bisogna riconoscerne anche di parziali, intermedi, facoltativi: ammessi in determinati settori tecnici, ma non dappertutto, e non in modo definitivo.
Incompatibilità persistenti sono i gruppi di nasale piú liquida (aNLa), i gruppi VL, DL (aVLa, aDLa), i gruppi di sorda piú sonora (aPBa) o di sonora piú sorda (aBPa). Ma nel lessico tecnico si trovano serie non assimilate di sorda piú sorda come PTerodattilo o CTonio; di sonora piú sonora come BDellio. Non ha possibilità di espansione un gruppo come pn eppure compare in una parola fondamentale come PNeumatico. Casi estremi, sempre tecnici sono suBSTRato, feLDSPato, tuNGSTeno, ma sarebbe grottesco affermare che il sistema italiano tollera i gruppi BSTR, LDSP, NGST.
Certo, una maggiore elasticità si diffonde, e l’abbandono della vocale protetica facoltativa nei tipi in (I)spagna, in (i)scuola ne è una prova. Ma soprattutto si deve vedere qui un altro aspetto del processo (che si vedrà di nuovo a proposito dei procedimenti di derivazione) per il quale si tende a passare da un sistema linguistico «chiuso» a uno «aperto», cosí nel campo fonetico, come in quello morfologico della derivazione delle parole (§242 [le considerazioni ivi contenute sono senz’altro interessanti e, secondo l’opinione di chi scrive, piú condivisibili di quelle fonologiche, ma ininfluenti ai fini della presente discussione (NdI).]).
Seguono alcune osservazioni. (Nel prosieguo per «terzo sistema fonologico» intendo i tratti specifici che lo differenziano dal secondo, ovvero l’insieme dei vocaboli appartenenti al terzo, ma non al secondo. Si tratterebbe quindi piú precisamente di un «terzo sistema fonotattico» [l’inventario dei fonemi non cambia].)
  1. Devoto, fine glottologo, non era però un fonetista nel senso proprio del termine, per cui non possiamo pretendere da lui l’accuratezza terminologica o classificatoria d’un Canepàri: in particolare, nei saggi in esame, si trovano spesso considerazioni grafematiche miste ad altre piú propriamente fonematiche, e ora considera l’«italiano normale» (o «standard»), ora l’insieme dei vari italiani regionali (il «linguaggio d’Italia», appunto)… Nulla di grave in tutto ciò, ma il lettore meno esperto di fatti fonetici farà bene a tenerne conto.
  2. Riguardo al «primo sistema fonologico» e al passaggio da questo al «secondo», stupisce la mancanza di qualsiasi riferimento alla tendenza dell’italiano antico a evitare, oltre alle sdrucciole, anche le parole tronche (relativamente poche, specialmente in mancanza di quelle [poi sistematicamente] prodottesi per apocope aplologica) mediante epitesi di -e o -ne (che arriva fino a Dante): e.g., síe (= ), nòe (= no), cosíe (= cosí), piúe (= piú), virtúe (= virtú, accanto all’allora piú usuale virtute/-de), trovòe (= trovò), salíne (= salí), vane (= va), fane (= fa: cfr., e.g., Patota 2002).
  3. L’affermazione evidenziata qui sotto merita un breve commento.
    Devoto (1974) ha scritto:Le conseguenze di queste immissioni massicce [di latinismi (NdI)] si ripercuotono sul siste­ma fonematico italiano di base fiorentina: le strutture consolidate nei secoli IX–XII (v. §150) non bastano piú. Di questo rimangono ben fermi solo due caratteri entrambi negativi: la esclusione delle consonanti in posizione finale; la esclusione della ‑U non accentata in posizione finale.
    1. Innanzitutto, essa costituisce un indiretto riconoscimento (né potrebbe essere altrimenti) del profondo radicamento del «vincolo» in questione nella fonotassi italiana;
    2. secondariamente, va precisato che la «negatività» dei sopraccitati caratteri è da ricollegarsi al precedente paragrafo sull’«arricchimento lessicale». E, tuttavia, anche questo è un giudizio soggettivo: è senz’altro vero che è piú facile (immediato) assorbire nel proprio lessico vocaboli senza dover operare trasformazione alcuna, ma (i) lingue come lo spagnolo o i nostri dialetti centromeridionali hanno sempre adattato e continuano a adattare i forestierismi naturalmente e (ii) si pone il non facile problema (q.v. infra) di stabilire se e quando un particolare esotismo possa considerarsi —sul piano fonomorfologico— parte integrante del sistema.
  4. Aspettiamo di leggere il capitolo di Larson dedicato all’argomento, ma mi pare di poter dire che il «secondo sistema fonologico» del Devoto è in realtà il secondo (e ultimo) sistema fonologico dell’italiano antico, ma il «primo» dell’italiano. E questo se non altro perché tale sistema fa probabilmente la sua prima comparsa nel corso del XIII secolo e le Tre Corone scrivono nel XIII–XIV secolo (le Prose della volgar lingua del Bembo sono del 1525). Per inciso, si noti che rientrerebbero a pieno titolo in questo sistema anche gorgia e (in virtú di 5b) attenuazione [toscane], ché sono fenomeni fonetici, non fonologici.
  5. Parlerei invece di «secondo» sistema fonologico dell’italiano per quello che si sviluppa a partire dal Cinquecento quando si fissa la «grafia fonetica» dell’italiano (cfr. Camilli & Fiorelli 1965, p. 109) e conseguentemente si sviluppa una «lettura pedissequa» di quei nessi consonantici [perlopiú greci, a inizio o in corpo di parola] che non rientra[va]no nella fonotassi genuina della lingua(*)… tanto piú che:
    1. all’inizio del XVI secolo si verifica la neutralizzazione /VtsV~VtstsV > VtstsV/ (nazione [< natione(m)], voce dotta da base latina con -ti-, ~ azione [< actione(m)], concezione [< conceptione(m)], voci dotte da basi latine con -cti-, -pti- [sempre /VtstsV/ nelle parole di tradizione ininterrotta: e.g., pezza < *pettia(m): cfr. Serianni 1989, p. 19), e questo è senz’altro un chiaro mutamento fonologico, non puramente fonotattico;
    2. la citata [dal Devoto] «confluenza» in [S Z] (anche per le parole, cioè, in cui la presenza di [S Z] non è giustificata da ragioni di fonetica storica) è, appunto, toscana, non propriamente «italiana».
  6. Non è chiaro (da un punto di vista prettamente fonologico, non ovviamente della frequenza d’uso/disponibilità) come mai parole quali abstract, compact [disc], maître non rientrerebbero nel sistema, mentre sport e film sí. Si tratta, nel caso di ct, rt e lm, di nessi [generalmente considerati] eterosillabici, che [rimanendo all’interno del «secondo» sistema] compaiono solo in corpo di parola (ct anche all’inizio), mentre tr è tautosillabico e compare a inizio e in corpo di parola; ct ricorre solo in parole dotte, mentre rt, lm e tr in parole sia dotte sia popolari. Rimane il fatto che l’introduzione di rt e lm in un «[terzo] sistema fonologico» dev’essere giustificata né piú né meno di quella di ct e tr (…e infatti D’Achille 2003 non distingue piú fra le varie code ramificate).
  7. Ma soprattutto il «terzo» del Devoto non «fa sistema» perché non è [fonomorfologicamente] «produttivo», ché tutti i suffissi produttivi oggi in italiano (segnatamente, le desinenze verbali) rientrano nel secondo, a parte, se proprio si vuole, l’s del plurale degli anglismi non adattati, ma quest’uso è [ancora] minoritario e sconsigliato dai grammatici (cfr., e.g., Serianni 1989, §III.131: tra i dizionari moderni solo il DISC lo ammette esplicitamente, ma sempre come seconda variante [Sabatini & Coletti 2002]), e soprattutto, «perché si possa parlare di effettivo p[restito <fono>morfologico] occorrerebbe che la s si affiggesse anche a parole indigene: eventualità del tutto inverosimile» (Serianni 1989, pp. 747–8, s.v. prestito). È sostanzialmente un sistema [fonomorfologicamente, non lessicalmente] «chiuso» (altro che «aperto»!): ad esso appartengono solo alcune parole «portate di peso» nella nostra lingua e nessun’altra, nemmeno quelle da esse derivate.

Concludendo, il «terzo sistema fonologico» del Devoto si può considerare tale solo nel senso [minimalistico] d’«insieme necessario per classificare un buon numero di forestierismi non adattati correntemente in uso in italiano, nonché l’attuale tendenza dei parlanti al mancato adattamento» (delle cui motivazioni s’è discusso ampiamente su queste pagine). Esso è la formalizzazione di quest’innegabile tendenza, ma, s’un piano squisitamente strutturale, è molto piú semplicemente analizzabile come «serie di eccezioni al [secondo] sistema fonologico italiano».

Ecco perché parlare di «mutamento strutturale» è a mio avviso fuori luogo. Anche il termine «ampliamento» (che comunque è, stricto sensu, una forma di «mutamento»), sebbene tecnicamente accettabile, appare esagerato, trattandosi di un ampliamento «fonomorfologicamente sterile»(**).

E per spiegare la posizione dei «puristi strutturali» ci potremmo anche fermare qui: per le ragioni anzidette, i vocaboli appartenenti al «terzo sistema fonologico» non possono dirsi «strutturalmente italiani», neanche per l’italiano di oggi.

Tuttavia, «struttura» è anche il lessico, sicché, se i vocaboli appartenenti al «terzo sistema», ancorché rappresentanti una «classe chiusa» nel senso di cui sopra, costituissero davvero una parte cospicua del nostro vocabolario, dovremmo prendere atto che siamo effettivamente in presenza d’una qualche forma di «mutamento strutturale».

Alle statistiche gentilmente riportate da Bubu, che testimoniano la relativa scarsità [attuale] dei forestierismi in italiano, voglio aggiungere alcuni dati piú specifici, da me ottenuti tramite una serie di [elementari] ricerche nell’ultima edizione elettronica del GRADIT (o GDU, i.e. De Mauro 2003: rimando a questa pagina per la definizione delle varie «marche d’uso» e quella di «vocabolario di base»).

I vocaboli con uscita consonantica [effettiva, cioè non meramente grafica] appartenenti al vocabolario di base sono 36 (20, se si escludono quelli uscenti in nasale semplice)(***), cioè lo 0,54% (risp. 0,30%) del totale (6696 vocaboli). Di questi, i fondamentali sono 5 (risp. 4), che rappresentano lo 0,07% (risp. 0,06%) di tutto il vocabolario di base e lo 0,24% (risp. 0,19%) di tutt’i fondamentali (2075 vocaboli).

Ma allora —ci si chiederà— perché i puristi strutturali sono tanto preoccupati?

Perché la tendenza in atto è —com’è del resto sotto gli occhi di tutti— quella di una crescita lenta, ma costante, che produce il «paradosso» cui accennavo in altra occasione: l’attuale afflusso di forestierismi [non adattati] ingrossa sempre di piú una classe [chiusa] di vocaboli destinata a rimanere —magari non lessicalmente(****), ma, salvo [francamente inverosimili] sconvolgimenti, fonomorfologicamente— «marginale», e quindi sempre, in qualche modo, «estranea».


Bibliografia

Camilli, A. & Fiorelli, P. (1965): A. Camilli, Pronuncia e grafia dell’italiano. Firenze: «Sansoni», terza edizione a cura di P. Fiorelli.

Canepàri, L. (1999). Il MaPI. Manuale di Pronuncia Italiana. Bologna: «Zanichelli», seconda edizione.

D’Achille, P. (2003). L’italiano contemporaneo. Bologna: «Il Mulino».

De Mauro, T. (2003). Grande Dizionario Italiano dell’Uso, CD-ROM per pc e mac. Torino: «UTET».

Devoto, G. (1953). Profilo di storia linguistica italiana. Firenze: «La Nuova Italia».

Devoto, G. (1974). Il linguaggio d'Italia. Storia e strutture linguistiche italiane dalla preistoria ai nostri giorni. Milano: «Rizzoli».

Mioni, A.M. (1993), «Fonetica e fonologia» in: Introduzione all’italiano contemporaneo. Le strutture, a cura di A.A. Sobrero. Bari: «Laterza», pp. 101–­39.

Muljačić, Ž. (1972). Fonologia dell’Italiano. Bologna: «Il Mulino».

Patota, G. (2002). Lineamenti di grammatica storica dell'italiano. Bologna: «Il Mulino».

Sabatini, F. & Coletti, V. (2002). Dizionario Italiano Sabatini-Coletti. Firenze: «Giunti».

Serianni, L. (1989). Grammatica Italiana. Italiano comune e lingua letteraria. Torino: «UTET».

_______________________

(*) Proprio per la mancanza d’un simile vincolo, l’inglese [moderno] si può permettere di adattare tutto al proprio sistema fonologico «senza farsene accorgere» [sul piano grafico].

(**) A rigore, sul piano prettamente morfologico, i vocaboli appartenenti al terzo sistema fonologico del Devoto appartengono alla classe degl’invarianti, i quali ovviamente possiedono una loro morfologia [banale].

(***) Questi i lemmi: chic (AU); nord (AU), plaid (AD), record (AD), sud (FO); alcol (AU), festival (AD), goal (AU), motel (AD), tunnel (AD); film (FO), referendum (AU), telefilm (AU), tram (AU); amen (AU), camion (AU), cincin (AU), clan (AU), collant (AD), ipsilon (AD), pullman (AD); autostop (AD), stop (AD); bar (FO), pullover (AD); ananas (AD), autobus (AD), caos (AU), gas (FO); tennis (AU), thermos (AD); alt (AU), est (AU), ovest (AU), sport (FO), vermouth (AD).

(****) Tuttavia si noti che —salvo sconvolgimenti, appunto— rimangono precluse a questa classe di vocaboli tutte le categorie grammaticali a eccezione di quella dei sostantivi [non alterati] e di quella degli aggettivi [non alterati].
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Intervento di bubu7 »

Ringraziamo Infarinato per questo interessante contributo e per l’impegno che vi ha, con tutta evidenza, profuso.

Vado subito a una delle conclusioni dell’intervento.
Infarinato ha scritto:…il «terzo» del Devoto non «fa sistema» perché non è [fonomorfologicamente] «produttivo»
Non vorrei che ci lasciassimo imbrigliare da definizioni opinabili.

La caratteristica principale di un sistema non necessariamente deve essere la sua produttività.

Quello che il terzo sistema enfatizzava (e sul quale fondava la sua ragion d’essere) era il fatto che erano cambiati significativamente i criteri di accettabilità di certe strutture nell’italiano.

Sono d’accordo che queste tendenze non configurano un sistema paragonabile a quello precedente, consolidato, dell’italiano ma del resto questo si poteva dire anche, nei primi tempi, per i cambiamenti conseguenti all’ingresso dei latinismi del periodo umanistico.

Non chiamerei però queste tendenze «serie di eccezioni» perché così perdiamo di vista le innegabili caratteristiche unitarie del fenomeno e ci precludiamo la strada alla sua interpretazione e agli eventuali rimedi efficaci.

Infatti se fossero tutte solo eccezioni (in quanto tali difficilmente inseribili in una teoria) il rimedio sarebbe quello di ridurle puntualmente alla norma. Il mio parere, invece, che tutti conoscete, è che non siamo di fronte ad eccezioni, ma a un fenomeno di cui conosciamo abbastanza bene le cause ed è su di esse che si dovrebbe intervenire.
Su questo ultimo punto ci siamo già espressi più di una volta e mi sembra inutile insistere.

Un aspetto invece sul quale mi riprometto di tornare in un successivo intervento, insieme a qualche puntualizzazione marginale su alcune affermazioni secondarie dell’intervento d’Infarinato, è l’eccessiva sottovalutazione dei rapporti tra lingua letteraria e lingua parlata.
Oggi questi rapporti sono cambiati e questo fatto non è l’ultima causa dei riassestamenti linguistici ai quali stiamo assistendo.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Re: Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Dev

Intervento di Freelancer »

Infarinato ha scritto:Ma soprattutto il «terzo» del Devoto non «fa sistema» perché non è [fonomorfologicamente] «produttivo», ché tutti i suffissi produttivi oggi in italiano (segnatamente, le desinenze verbali) rientrano nel secondo, a parte, se proprio si vuole, l’s del plurale degli anglismi non adattati, ma quest’uso è [ancora] minoritario e sconsigliato dai grammatici (cfr., e.g., Serianni 1989, §III.131: tra i dizionari moderni solo il DISC lo ammette esplicitamente, ma sempre come seconda variante [Sabatini & Coletti 2002]), e soprattutto, «perché si possa parlare di effettivo p[restito <fono>morfologico] occorrerebbe che la s si affiggesse anche a parole indigene: eventualità del tutto inverosimile» (Serianni 1989, pp. 747–8, s.v. prestito). È sostanzialmente un sistema [fonomorfologicamente, non lessicalmente] «chiuso» (altro che «aperto»!): ad esso appartengono solo alcune parole «portate di peso» nella nostra lingua e nessun’altra, nemmeno quelle da esse derivate.
Ringrazio Infarinato per l'articolato intervento. Per il momento mi limito a osservare che questo terzo sistema - prescidendo dal significato che si voglia attribuire alla parola sistema e al fatto che la produttività fonomorfologica debba essere requisito irrinunciabile perché si possa parlare di sistema - agisce senz'altro da catalizzatore, in quanto i suoi elementi lessicali danno luogo a parole perfettamente inserite nel secondo sistema e quindi a loro volta produttive: filmare, stressare e tanti altri casi, cosa mi sembra che non si verifichi nel caso opposto, in cui parole italiane o di altri paesi che entrano in inglese rimangono per l'appunto forestierismi puri, da usare senza modifica alcuna, e tante volte ignoti a larghi strati della popolazione, penso a parole come sprezzatura, che solo un intellettuale conoscerà o dal tedesco Sprachgefühl che verosimilmente sarà usata solo da un linguista, mentre il lessico di questo terzo sistema in tanti casi si diffonde e viene ben accolto da larghe fasce di persone; ciò che gli conferisce una caratteristica sulla quale si appuntano le nostre discussioni.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Ringraziamo Infarinato per questo interessante contributo e per l’impegno che vi ha, con tutta evidenza, profuso.
Prego.
bubu7 ha scritto:La caratteristica principale di un sistema non necessariamente deve essere la sua produttività.

Quello che il terzo sistema enfatizzava (e sul quale fondava la sua ragion d’essere) era il fatto che erano cambiati significativamente i criteri di accettabilità di certe strutture nell’italiano.
Vero, e infatti poche righe dopo esplicito meglio il mio pensiero chiarendo in quale opportuno senso il terzo «sistema fonologico» del Devoto possa essere effettivamente considerato un «sistema».

Il mio intento era quello di fornire un parametro oggettivo (la «produttività fonomorfologica») col quale misurare, soprattutto nell’ottica del purismo strutturale, l’effettiva «[non] strutturalità» del sistema e giustificare cosí, esplicitandola, l’affermazione del Migliorini.
Freelancer ha scritto:Per il momento mi limito a osservare che questo terzo sistema […] agisce senz'altro da catalizzatore, in quanto i suoi elementi lessicali danno luogo a parole perfettamente inserite nel secondo sistema e quindi a loro volta produttive…
Appunto. ;) Questo da una parte dimostra quanto saldamente ancorato sia a tutt’oggi l’italiano al suo «secondo sistema fonologico» e, dall’altra, come i vocaboli appartenenti al terzo sistema violino la «coerenza interna» del [secondo] sistema (*), parametro che —intendiamoci— si può bellamente ignorare, ma che non si può negare affermando che sia vero il contrario.
bubu7 ha scritto:Un aspetto invece sul quale mi riprometto di tornare in un successivo intervento, insieme a qualche puntualizzazione marginale su alcune affermazioni secondarie dell’intervento d’Infarinato, è l’eccessiva sottovalutazione dei rapporti tra lingua letteraria e lingua parlata.
Oggi questi rapporti sono cambiati e questo fatto non è l’ultima causa dei riassestamenti linguistici ai quali stiamo assistendo.
Aspetto ovviamente di leggere le sue riflessioni, ma, già che intende riferirsi alla «lingua parlata», la prego di tenere in considerazione (se già non ci avesse pensato) anche le effettive realizzazioni centromeridionali (non solo nei dialetti, ma anche nei rispettivi «italiani regionali») dei nessi consonantici finali (cfr., e.g., Canepàri 1999, p. 143), cui accennava anche Marco qui, sennò si rischia di disquisire s’un «sistema» che, nella realtà dei fatti, non esiste per una larga fetta di parlanti italofoni (inclusi quelli appartenenti alle «regioni standardizzanti del Centro d’Italia»).

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(*) Per questo, e solo per questo, ho parlato di «eccezioni».
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:
Freelancer ha scritto:Per il momento mi limito a osservare che questo terzo sistema […] agisce senz'altro da catalizzatore, in quanto i suoi elementi lessicali danno luogo a parole perfettamente inserite nel secondo sistema e quindi a loro volta produttive…
Appunto. ;) Questo da una parte dimostra quanto saldamente ancorato sia a tutt’oggi l’italiano al suo «secondo sistema fonologico» e, dall’altra, come i vocaboli appartenenti al terzo sistema violino la «coerenza interna» del [secondo] sistema, parametro che —intendiamoci— si può bellamente ignorare, ma che non si può negare affermando che sia vero il contrario.
Qui ha completamente ragione, anche a proposito della coerenza interna.
Secondo me Roberto dovrebbe chiarire meglio questo punto.
Infarinato ha scritto:...e giustificare cosí, esplicitandola, l’affermazione del Migliorini.
Sull'esegesi del pensiero miglioriniano sarei più cauto.
A parte il fatto che Migliorini diceva «tuttora» negli anni trenta (ma la frase fu lasciata anche nell'edizione degli anni sessanta), dalla lettura della nota miglioriniana sembra che esso faccia coincidere il terzo sistema fonologico con quanto riportato nella citazione che ne fa Infarinato e nella sua premessa limitativa:
Infarinato ha scritto:Nel prosieguo per «terzo sistema fonologico» intendo i tratti specifici che lo differenziano dal secondo, ovvero l’insieme dei vocaboli appartenenti al terzo, ma non al secondo. Si tratterebbe quindi piú precisamente di un «terzo sistema fonotattico» [l’inventario dei fonemi non cambia].)
Riguardo ai tratti specifici del terzo sistema fonologico bisogna sottolineare che essi non si riducono a quelli riportati nella citazione d’Infarinato.

Va almeno citato il tratto ripreso da Berruto (soprattutto, per la nostra discussione, il primo punto) e che conferma (insieme ai punti 2 e 4 della citazione dal Berruto) l’attualità di molte previsioni che Devoto fece cinquant’anni fa (già nel suo Profilo di storia linguistica italiana).

La somma di questi tratti o tendenze, insieme a diversi altri esplicitati dal Devoto nel suo Linguaggio d’Italia, che hanno trovato minore o punta realizzazione ai giorni nostri, rendono meno «minimalistica», e non legata esclusivamente ai forestierismi, la proposta del Devoto e rendono forse più accettabile la sua definizione come sistema.

Fermo restando che esso ingloba la maggior parte delle caratteristiche del secondo sistema, nei confronti del quale si pone quindi come integrazione/modifica e non come sostituzione.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Re: Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Dev

Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: Non è chiaro (da un punto di vista prettamente fonologico, non ovviamente della frequenza d’uso/disponibilità) come mai parole quali abstract, compact [disc], maître non rientrerebbero nel sistema, mentre sport e film sí.
Ma io penso che Devoto prendesse proprio la frequenza d’uso, più che l’aspetto teorico, come punto di riferimento. Infatti egli scriveva:
Per quanto riguarda i gruppi di consonanti, l’assetto è lungi dall’esser raggiunto. Non si può parlare solo di gruppi ammessi e di gruppi esclusi, ma bisogna riconoscerne anche di parziali, intermedi, facoltativi: ammessi in determinati settori tecnici, ma non dappertutto, e non in modo definitivo.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto:...è senz’altro vero che è piú facile (immediato) assorbire nel proprio lessico vocaboli senza dover operare trasformazione alcuna, ma (i) lingue come lo spagnolo o i nostri dialetti centromeridionali hanno sempre adattato e continuano a adattare i forestierismi naturalmente…
Il caso dello spagnolo mi sembra diverso da quello dei dialetti.
Questi ultimi si trovano in una posizione simile all’italiano antico: trasmissione orale e minori vincoli dovuti alla lettura/scrittura dei termini.
In Spagna, come in Francia, è in atto invece una politica linguistica attiva. L’adattamento attuale dei forestierismi in quelle lingue è, in parte, forzato non naturale.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Infarinato
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Re: Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Dev

Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:Ma io penso che Devoto prendesse proprio la frequenza d’uso, più che l’aspetto teorico, come punto di riferimento.
Appunto, ma la mia era una critica «strutturale» (rivolta —come le ho già scritto in privato— non tanto al Devoto, ma a chi [non Lei] vorrebbe fare passare il suo terzo sistema per quello che non è), e con questo rispondo implicitamente anche alle sue altre obiezioni, sulle quali non ho nulla da ridire [da un punto di vista «non strutturale»].

(D’accordo sullo spagnolo —e infatti a me dispiace che in Italia non vi sia un’analoga «politica linguistica attiva»—, però questa politica non fa che ufficializzare una tendenza naturale, che è la stessa dei nostri dialetti centromeridionali.)
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

A mio avviso, tutta la questione dei vari sistemi dell’italiano va presa con un po’ di cautela. Per esempio, ha stupito anche me che Devoto non citi tra i dati consolidati del primo sistema la tendenza a evitare le tronche, oltre alle sdrucciole: questo dovrebbe essere un segnale che i cinque fenomeni indicati non è detto siano tutti e soli i principali e caratterizzanti.
In secondo luogo, sempre rimanendo nel terreno di Devoto, parrebbe che, magari in parte, il secondo sistema sia stata in fondo una parziale riduzione del primo: mi riferisco all’abbondante riaccoglimento delle sdrucciole, che contrasta con a; l’attenuamento del fenomeno della palatalizzazione, che contrasta con e.
Stante questa (presunta?) evoluzione, il secondo sistema non sarebbe il primo dell’italiano o il secondo dell’italiano antico, ma il primo bis dell’italiano.

Oltre a ciò, vorrei capire meglio da Infarinato due cose.
La prima riguarda il riferimento alla gorgia come rientrante nel sistema.
La seconda è, piú che altro, una curiosità: i cinque vocaboli in neretto sarebbero i fondamentali tra quelli in uscita consonantica, se non ho capito male. Quindi: film, bar, sport e sud: e perché escludere nord, ovest e est?
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bubu7
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Re: Ancora sul «terzo sistema fonologico italiano» di G. Dev

Intervento di bubu7 »

Infarinato ha scritto: ...e infatti a me dispiace che in Italia non vi sia un’analoga «politica linguistica attiva»...
Anche a me dispiace, e molto.
Infarinato ha scritto:...però questa politica non fa che ufficializzare una tendenza naturale, che è la stessa dei nostri dialetti centromeridionali.
E sarebbe una tendenza anche della lingua italiana.
Tendenza strutturale ma non culturale, purtroppo. :(
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V. M. Illič-Svitič
Ladim
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Intervento di Ladim »

La distinzione tra «struttura» e «uso» (mi perdoni se brutalizzo così il suo molto ben articolato pensiero) sembra 'funzionare' egregiamente, caro Infarinato. Nel mio piccolo, direi che mi persuade appieno l'ipotesi di considerare in atto un tipico mutamento d'abito linguistico, tenendo buona la tradizionale struttura della nostra lingua, per cui, infine, il prestito (non acclimato) resterebbe un forestierismo senz'altro.

Ciò che se ne deduce è che oggi stiamo ancora vivendo una «sincronia» così come lei l'ha descritta, per cui sarebbe improprio parlare di terzo sistema fonologico (semmai si parlerebbe di un 'nuovo', ma circoscritto, abito fonetico); e valutare la produttività di un meccanismo fonomorfologico è ancora un metodo d'analisi efficace, adatto e trasparente (utile per non confondere il fenomeno del prestito con quello della rifonologizzazione).

Insomma, riscontrerei anch'io qualche imprecisione di troppo nella pur autorevole ipotesi devotiana.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

Ladim ha scritto: ... per cui sarebbe improprio parlare di terzo sistema fonologico...
Ho l'impressione che lei riduca, impropriamente, la proposta di Devoto al sottoinsieme relativo alle terminazioni consonantiche.
Consideri, la prego, le mie precedenti obiezioni a questa visione [volutamente] riduttiva d'Infarinato.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Ladim
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Intervento di Ladim »

Insomma, lascerei ad altri il compito di ridiscutere la proposta di Devoto (le sue considerazioni, per certi versi, colgono nel segno, e ci dicono che più di recente l'italiano non adatta più, che la frequenza di alcuni nessi consonantici comincia a incidere con un 'peso' diverso, che insomma sono «cambiati significativamente» alcuni «criteri di accettabilità» etc.); trovo semmai metodologicamente esatto (coerente, ben portato etc.) l'appunto d'Infarinato. Mi chiedo: perché chiamare fonologico ciò che, tutto sommato, fonologico non è? perché attribuire all'abitudine recentissima di accogliere suoni non originari il valore di una ristrutturazione fonologica in atto? I fonemi italiani sarebbero ancora quelli del secondo sistema; e ciò che invece è cambiato è il grado di accoglienza di nuovi suoni (vede bene che Infarinato porta come esempio, per il secondo sistema fonologico, l'esito del nesso latino -ti-: questo, io credo, equivale a chiarire il senso di un'impostazione più osservata, e quindi rigorosa, impegnata a segnalare anzitutto, dov'è presente, il cambiamento strutturale di un sistema fonologico; ma la neo-consuetudine di accogliere determinati nessi consonantici in fine di parola indicherebbe soltanto, per così dire, la diffusione di una novità fonetica, non propriamente strutturale: la presenza, poniamo, di una terminazione come «grth» non potrebbe mai collidere con quelle genuinamente italiane, imponendo quindi una rifonologizzazione: avremmo soltanto dei parlanti italiani che sciaguratamente pronunciano suoni non italiani).

Ma, intendiamoci: quando applichiamo il concetto di struttura, dobbiamo tener presente che gli 'elementi' strutturali interagiscono 'per funzione' tra loro: introdurre nuovi suoni privi di proprietà «oppositiva» equivarrebbe, nel nostro caso, a intaccare la struttura lessicale, non quella fonologica...

Per le più recenti capacità di articolare nuovi suoni, da parte degl'italiani, non mi pronuncio, ché, purtroppo, mi manca il tempo.
Ultima modifica di Ladim in data ven, 27 ott 2006 1:14, modificato 1 volta in totale.
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Intervento di bubu7 »

Ladim ha scritto: Insomma, lascerei ad altri il compito di ridiscutere la proposta di Devoto...
Come vuole, ma è proprio della proposta nel suo complesso che stiamo discutendo e dell’opportunità di definirla «sistema».
Ladim ha scritto:…perché chiamare fonologico ciò che, tutto sommato, fonologico non è? perché attribuire all'abitudine recentissima di accogliere suoni non originari il valore di una ristrutturazione fonologica in atto?
Non si tratta solo (come sto cercando inutilmente di dire) dell’accoglimento di suoni non originari ma anche della modifica della distribuzione di quelli originari. Sul caso specifico delle terminazioni consonantiche e sulla denominazione del fenomeno (visto che non riusciamo a discostarci da quest’aspetto) Devoto ha il riconoscimento di almeno uno studioso italiano: Gaetano Berruto, docente di linguistica generale all’università di Torino.
In «Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo» Gaetano Berruto ha scritto:[Una delle caratteristiche principali del neo-standard fonologico è] un allargamento delle strutture fonologiche accettabili, con una progressiva accettazione di terminazioni consonantiche delle parole (anche in consonanti diverse da quelle ammissibili per troncamento nello standard m, n, l, r): sport, stop, jeans ecc. sono prestiti sempre più acclimatati. La tendenza, anch’essa già prevista da Devoto, dipende ovviamente dalla «fiumana di voci terminanti in tutte le consonanti e in gruppi consonantici inconsueti» (Cortelazzo) importata dalle lingue straniere e, congiuntamente, dalla proliferazione delle sigle, che hanno messo in crisi la normalità della terminazione vocalica delle parole;
Il grassetto è mio e serve a sottolineare che parlare di modifiche strutturali e di fonologia, in questo caso, non è poi così campato in aria.
Ma, ripeto, la proposta del Devoto non si limita a considerare le terminazioni consonantiche.
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Intervento di Infarinato »

bubu7 ha scritto:…Devoto ha il riconoscimento di almeno uno studioso italiano: Gaetano Berruto, docente di linguistica generale all’università di Torino.
In «Sociolinguistica dell'italiano contemporaneo» Gaetano Berruto ha scritto:[Una delle caratteristiche principali del neo-standard fonologico è] un allargamento delle strutture fonologiche accettabili
Sí, ma un «allargamento delle strutture fonologiche accettabili» non costituisce necessariamente un ampliamento [strutturale] del sistema del fonologico, che è il senso dell’intervento di Ladim (del mio e —ne sono quasi certo— dell’affermazione del Migliorini nonché del purismo strutturale del Castellani). ;)
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