Pagina 1 di 1
[SDN] «Non sappiamo come scriverlo, perciò non lo parliamo»
Inviato: mar, 20 ott 2015 10:31
di Infarinato
Inviato: mar, 20 ott 2015 14:19
di Pugnator
Il problema della scrittura non è un problema limitato solo alla lingua sarda ma anche al napoletano. Purtroppo pur se in misura limitata rispetto al francese od all'inglese la scrittura differisce leggermente dal parlato e questo porta certe persone, ahimè ignoranti sulla materia ma non per colpa loro, a scrivere abominii ed a pensare che scrivere in napoletano equivale a scrivere in italiano non scrivendole lettere finali e qualche lettera in mezzo. Per ovviare a questo problema a mio avviso si dovrebbe usare la grafia che si è sempre usata in letteratura fino al primo '900(Ovvero usare "De" "Lo" "la" "li" "le" etc. al posto dei barbarici e ambigui " 'o " " 'e " " 'a " etc. che causano moltissimi problemi e ambiguità sopratutto quando si incontrano. ). Questa soluzione tra l'altro è stata adottata recentemente sia per canzoni (come le canzoni originali scritte da Roberto de Simone) e varii libri.
Inviato: mar, 20 ott 2015 15:22
di AttritoLinguistico
Invidio coloro che sanno parlare il dialetto.

Avevo l'occasione d'impararlo dalla mia prozia ma mia madre non faceva altro che prendermi per i fondelli.
Inviato: mar, 20 ott 2015 18:42
di Sixie
AttritoLinguistico ha scritto:Invidio coloro che sanno parlare il dialetto.

Avevo l'occasione d'impararlo dalla mia prozia ma mia madre non faceva altro che prendermi per i fondelli.
Addirittura.
Mi dispiace per lei, caro AttritoLinguistico e le auguro di poter recuperare, assieme all'italiano, anche la lingua della prozia.
Per mia fortuna sono sfuggita al
diktat ministeriale di cui si parla nel saggio di Loporcaro ed ora sono molto
felice della mia condizione di bilinguismo, nonostante in passato abbia avuto qualche problema ad aggiustare le lingue nella mia testa e nel mio cuore.
Ora, parafrasando Moni Ovadia, "le parlo tutte le lingue" e tutte, rigorosamente, con accento vèneto.

Inviato: mar, 20 ott 2015 19:05
di u merlu rucà
Per esperienza personale, non basta neppure parlare sistematicamente in dialetto con i figli, perché diventi la loro lingua materna. Io l'ho fatto, mia figlia lo capisce perfettamente ma non lo parla. Perché? Perché se un solo genitore parla una lingua o un dialetto che non è dominante, quel genitore deve essere la madre, che, per ovvi motivi, è quello più presente con il figlio. Ricordo un episodio. Mia figlia avrà avuto tre anni, eravamo ai giardinetti e, come ho già detto, parlavo in dialetto con mia figlia. Una signora mi si avvicina e mi dice: "Non teme che sua figlia non impari l'italiano?". Io le rispondo: "No, temo che non impari il dialetto...".
Inviato: mer, 21 ott 2015 18:59
di AttritoLinguistico
Sixie ha scritto:AttritoLinguistico ha scritto:Invidio coloro che sanno parlare il dialetto.

Avevo l'occasione d'impararlo dalla mia prozia ma mia madre non faceva altro che prendermi per i fondelli.
Addirittura.
Mi dispiace per lei, caro AttritoLinguistico e le auguro di poter recuperare, assieme all'italiano, anche la lingua della prozia.
Per mia fortuna sono sfuggita al
diktat ministeriale di cui si parla nel saggio di Loporcaro ed ora sono molto
felice della mia condizione di bilinguismo, nonostante in passato abbia avuto qualche problema ad aggiustare le lingue nella mia testa e nel mio cuore.
Ora, parafrasando Moni Ovadia, "le parlo tutte le lingue" e tutte, rigorosamente, con accento vèneto.

Grazie mille. Non vorrei sfiorare la politica ma trovo ridicolo che una lingua molto parlata come la sua non sia riconosciuta come il vernacolo di una minoranza linguistica alla pari del sardo e del friulano.
Inviato: gio, 22 ott 2015 23:54
di Carnby
AttritoLinguistico ha scritto:Non vorrei sfiorare la politica ma trovo ridicolo che una lingua molto parlata come la sua non sia riconosciuta come il vernacolo di una minoranza linguistica alla pari del sardo e del friulano.
Non è un discorso propriamente «politico»: la questione nasce dalla considerazione che il veneto, pur dotato di una storia abbastanza prestigiosa, veniva considerato dalla generazione precedente di linguisti come facente parte a tutti gli effetti del sistema italoromanzo, a causa della similitudine fonomorfologica col toscano (assenza di nessi consonante-laterale nelle parole di tradizione ininterrotta, plurali non sigmatici ecc.); da questo sistema erano tenuti parzialmente separati il sistema linguistico retoromanzo e quello sardo.
Inviato: sab, 24 ott 2015 9:30
di AttritoLinguistico
Ah, ho capito.
Secondo me a quale famiglia appartenga una lingua (o dialetto) non ha importanza. Se è molto parlata dovrebbe essere riconosciuta come patrimonio locale.
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/ ... guages.png
Inviato: ven, 20 nov 2015 6:17
di Cembalaro
Pugnator ha scritto:Il problema della scrittura non è un problema limitato solo alla lingua sarda ma anche al napoletano. Purtroppo pur se in misura limitata rispetto al francese od all'inglese la scrittura differisce leggermente dal parlato e questo porta certe persone, ahimè ignoranti sulla materia ma non per colpa loro, a scrivere abominii ed a pensare che scrivere in napoletano equivale a scrivere in italiano non scrivendole lettere finali e qualche lettera in mezzo. Per ovviare a questo problema a mio avviso si dovrebbe usare la grafia che si è sempre usata in letteratura fino al primo '900(Ovvero usare "De" "Lo" "la" "li" "le" etc. al posto dei barbarici e ambigui " 'o " " 'e " " 'a " etc. che causano moltissimi problemi e ambiguità sopratutto quando si incontrano. ). Questa soluzione tra l'altro è stata adottata recentemente sia per canzoni (come le canzoni originali scritte da Roberto de Simone) e varii libri.
Ma di quelle canzoni De Simone ha solitamente scritto solo la musica, credo. Villanelle finto-antiche mescolate a villanelle autentiche, ad arie d'opera e a qualche composizione autenticamente popolare, con scarse informazioni - o nessuna informazione - sull'origine dei singoli brani, forse per non sporcare la bandiera di "popolare".
Questo se si riferisce all'esperienza NCCP. Se ad altre fasi del lavoro di De Simone, mi scuso e non intervengo oltre perché non le conosco: deluso dalla scoperta della sostanziale inautenticità del repertorio "popolare" della NCCP non ho mai approfondito De Simone.
Sono articoli o preposizioni contratte, quelle che cita? Mi pare che faccia differenza, perché l'articolo da solo è accettabile (e inoltre fa la sua apparizione nello scritto già nei primi anni dell'ottocento, almeno); le preposizioni, più tarde, meno.
Si prenda questo esempio:
mmiez'â via «in mezzo alla strada». Nel XVII e XVIII secolo si sarebbe scritto
mmiezo à la via (o addirittura:
'n miezo à la via; varianti:
a la, alla). Ora, il parlante non avveduto non solo contrae
a la, ma non riconosce nemmeno la natura bisillaba di
mmiezo, sicché non è più in grado di scrivere razionalmente quel che alle sue orecchie è una sola vocale tra
mmiez' e
via, cioè semplicemente
a. Si tratta contemporaneamente di due fenomeni distinti, credo: la contrazione a la —> a 'a —> a (che ho reso con â); e un'usuale pronuncia legata.
Impossibile ristabilire una pronuncia che, se pure è esistita, è scomparsa da secoli: i napoletani continueranno ad adoperare gli articoli con l'aferesi: e come biasimarli se persino la canzone più famosa ha titolo
'O sole mio?
Ma è possibile almeno restituire loro una maggior consapevolezza almeno sulla
schwa che mi pare rappresenti l'origine di quasi tutti gli errori che si vedono sugli inguardabili cartelli, graffiti, manifesti. Avrà visto anche lei perfino il nome della città (o della squadra di calcio) scritta
Napl.
Come ridare consapevolezza? Non serve molto, basta che un buon insegnante di grammatica italiana apra di tanto in tanto una parentesi di trenta secondi per mostrare come, oltre all'italiano, il tal fenomeno interessi anche il napoletano.
Inviato: ven, 20 nov 2015 15:14
di Pugnator
De Simone scrisse anche la colonna sonora della pellicola "Quanto è bello lu morire acciso" (l'album si chiama come la pellicola, in più credo che l'album contenga tracce non usate nella pellicola ma non sono sicuro riguardo a questo) dove usa gli allomorfi completi degli articoli e di "de". Gli articoli "contratti" non comparvero all'inizio dell'800 ma bensì verso la fine ma si continuò comunque in linea di massa ad usare la forma piena, forma che sopravvisse nello scritto almeno all'inizio del '900. Il napoletano ha sempre avuto un certo "amore" per le unioni, infatti l'apostrofo è consentito per l'incontro di qualsiasi vocali e per molti casi sembra quasi una lingua agglutinante; ad esempio ncoppa è la fusione di "'n" + "Coppa" e molto spesso si trova ncopp'a in quanto usata principalmente colla preposizione "a". Oppure troviamo "ammare" per indicare "a mmare"e così posso continuare. Anche la contrazione si trova spesso nel napoletano, ad esempio "adda" è la contrazione di "aggia da", costruzione napoletana che sostituisce l'italiano "dovere" (Adda è usabile solamente per la seconda e terza persona singolare) aggia (contrazione di aggi'a) mannaggia (contrazione di "mal ne aggia") ed altro. Detto questo non trovo giustificazioni per continuare l'orrendo uso di scrivere "'a" invece di "la" e così via. Per la pronuncia non credo ci siano problemi a ricuperare quella con "la" e "de", fatto dimostrato sia dalle canzoni di "Roberto de Simone" e sia dal fatto che la maggior parte delle canzoni popolari (compresa la famosissima e stupenda "Era de maggio") usano la grafia "classica" e vengono cantate seguendo quell'uso. In più la quasi totalità della letteratura napoletana che arriva ai primi del 1900 è scritta in quella grafia, molto meno ambigua e di più facile comprensione. Io credo che il declino della lingua napoletana sia nato con la conquista delle Due Sicilie (Piccola curiosità, secondo voi "Due Sicilie" andrebbe scritto con le iniziali maiuscole o no?) . Durante le Due Sicilie la lingua napoletana era viva non solo tra il popolo ma anche tra le classi altolocate (Infatti molte commedie dell'800 son dedicate a qualche nobile o sono scritte su commissione di essi) mentre invece colla conquista italiana si iniziò a considerare il napoletano come un vile dialetto adatto solamente per buffonate e cose rozze. (Infatti allo stesso periodo corrisponde il declino massiccio del futuro, che oramai in napoletano è raramente utilizzato.)
Inviato: sab, 21 nov 2015 9:41
di Cembalaro
... e del condizionale sostituito dal congiuntivo imperfetto (il congiuntivo presente - pur esistente - non ebbe mai molto spazio).
Ma guardi che io concordo con lei: l'uso estensivo, nello scritto, degli articoli e delle preposizioni aferizzate conduce a grafie irrazionali e irrispettose del senso e della funzione grammaticale.
Un esempio è proprio quello che fa lei: adda (seconda e terza pers.) o aggia (prima pers.)
Per quanto riguarda adda, viene da haie da —> adda, con l'ulteriore contrazione, nel parlato di molte zone, in haie da —> haie 'a —> hê 'a —> hê: si sente infatti (e si legge): hê fà «devi fare».
Per la terza persona è più semplice: ha da —> adda.
Infine aggio da fà —> aggio 'a fà. È corretto poi passare da quest'ultima forma a aggia fà? Non direi: queste forme oscurano la struttura sottostante.
Certo la vitalità letteraria del napoletano ha permesso e forse nobilitato grafie simili: teatro, canzoni, poesia; quindi forse sbaglio io a combatterle.
Non sono d'accordo invece con la postdatazione dell'ingresso nello scritto degli articoli aferizzati: proprio in questa sezione ho in passato citato un caso di articolo aferizzato in una cantata c. 1730: Se tratta 'o pover'ommo. Né è un caso isolato: ad esempio, tra i molti che si potrebbero fare, Quanno nascette Ninno in cui le due forme convivono l'una accanto all'altra:
Non c’erano nnemmice pe la terra,
La pecora pasceva c'o lione;
C’o caprette se vedette
'O liupardo pazzeà;
L’urzo e 'o vitiello
E co lo lupo ‘npace 'o pecoriello.
Indubbiamente in questi casi è la metrica a comandare: ma nel secolo precedente non si vedono casi simili, e sembra improbabile che tali forme non fossero in uso nel parlato prima di essere acquisite dai poeti.
Inviato: dom, 22 nov 2015 11:22
di Pugnator
Riguardo al condizionale presente hai ragione, sarebbe d'uopo usarlo più spesso ma l'uso del congiuntivo imperfetto ha convissuto per secoli col condizionale presente spesso finanche nello stesso testo, quindi io opterei per mantenerle tutte e due ed usarle equamente. Riguardo ad aggia l'ho trovato pure in testi dove è usata la grafia tradizionale, in più è una contrazione usata da secoli quindi credo derivi direttamente da "aggio da" senza passare per la forma "aggio a" o quantomeno accettata anche da chi scrive la forma completa con "a". Riguardo alla datazione delle forme aferizzate vi debbo ringraziare, non avevo idea che fossero già usate prima dell'800.