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«Questo inglese non s’ha da dire», Venerdì di Repubblica

Inviato: mer, 28 ott 2015 16:13
di Ferdinand Bardamu
Nel numero del Venerdí di Repubblica dello scorso 16 ottobre è comparso un servizio sul volume della Crusca La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi, che riassume il convegno omonimo tenutosi a febbraio. Il pezzo contiene, come ci potevamo aspettare, opinioni in libertà e banalizzazioni, ma ha per lo meno il merito di far pubblicità a un’iniziativa meritevole.

Ora, siccome provo gusto a criticare, vi espongo le mie osservazioni. Nel sommario il titolista ci tiene a sottolineare che sí, lamentarsi degli anglicismi va bene, ma meglio non esporsi troppo, sennò ci si becca la taccia di fascisti. Sappiamo bene che il rischio che corriamo è questo, che, nell’opinione (superficiale) degl’italiani colti, chi difende l’italiano è quanto meno un criptofascista; ma permettetemi di rammaricarmi di questo paralogismo duro a morire. Per quanto uno si sgoli a precisare che non vuole imporre nulla a nessuno, ci sarà sempre qualcuno che adombra questo sospetto.

Nell’infografica in basso nella prima pagina, tra gli anglicismi «difficilmente sostituibili», si trova anche big. Davvero? E fra un po’ dovremmo metterci anche good?

Nel corpo del testo si legge: «[Ci sono degli anglicismi] che hanno messo radici profonde come trend (più efficace di tendenza, ammettiamolo)». Ehm, non capisco sulla base di che cosa dovremmo ammettere la maggiore efficacia di trend: non ricorda, signora Arletti, Palombella Rossa, «trend… trend negativo! Io non parlo cosí!»? E poi come si fa a dire che trend ha messo «radici profonde»? Forse si tratta di un pregiudizio (o bias?) dovuto a un uso personale?

Non poteva mancare il riferimento alla «ridicolaggine» dei traducenti proposti durante il periodo fascista. Ora, siamo tutti d’accordo nel condannare il dirigismo linguistico, soprattutto perché è inefficace. Capisco anche che, per ragioni di spazio, non si potesse articolare il discorso. Ma sulla labilità e relatività del concetto di ridicolo non credo ci siano dubbi.

A voi ulteriori considerazioni.

Inviato: mer, 28 ott 2015 18:45
di Carnby
Un tempo erano i comunisti a evitare gli anglicismi perché provenivano da nazioni «borghesi» come il Regno Unito e gli Stati Uniti, liberalconservatrici e nemiche dell'Unione Sovietica. Oggi chi combatte gli anglicismi è accusato di nostalgie fasciste. Mah. :roll:

Inviato: mer, 28 ott 2015 19:13
di Ferdinand Bardamu
A lasciarmi perplesso è proprio la politicizzazione di un argomento che dovrebbe essere trasversale. È vero che il fascismo combatté i forestierismi, ma lo fece per motivi del tutto differenti rispetto a quelli che spingono noi e i promotori di iniziative come #Dilloinitaliano. Buttandola in politica (e, di conseguenza, spesso anche in vacca), si polarizza il dibattito e s’impedisce una discussione serena.

Inviato: mer, 28 ott 2015 21:22
di Freelancer
Nel suo intervento, Perché in Italia si è tanto propensi ai forestierismi?, Claudio Marazzini fa alcune [abbastanza interessanti] considerazioni a questo riguardo, purtoppo io ho acquistato la copia cartacea e copiare quello che scrive, non ho tempo adesso. Magari qualcuno che ha comprato la versione elettronica del volume troverà il modo di riportare - o dovrei piuttosto scrivere postare? :wink: - i paragrafi pertinenti (una pagina o giù di lì in tutto).

Inviato: mer, 28 ott 2015 21:35
di Ferdinand Bardamu
L’intervento del professor Marazzini si può ascoltare su YouTube.

Inviato: mer, 28 ott 2015 22:42
di Marco1971
Grazie, caro Ferdinand, del collegamento. Non intendo commentare tutto; comincio con due considerazioni piú o meno fuori tema : 1) l’esposizione non mi è parsa d’una chiarezza cristallina e questo è anche in parte dovuto a 2) un eloquio e una pronuncia non proprio esemplari. Ma questo, naturalmente, è soggettivo.

Per quanto riguarda il contenuto, quel che mi ha ridato un raggio di speranza è quello che viene detto verso la fine: cioè che il linguista, senza imporre, potrebbe comunque consigliare. E siccome è citato di sfuggita il linguista danese Otto Jespersen, ne approfitto, a beneficio dei nuovi utenti soprattutto, per riproporre una volta ancora la citazione non letta nell’intervento del professor Marazzini, leggibile qui. E con questo ho concluso.

Inviato: mer, 28 ott 2015 22:44
di Freelancer
L'articolo stampato è più coeso e quindi più facile da seguire (almeno per i miei gusti).
:wink:

Re: «Questo inglese non s’ha da dire», Venerdì di Repubblica

Inviato: mer, 28 ott 2015 23:03
di Animo Grato
Ferdinand Bardamu ha scritto:Nel sommario il titolista ci tiene a sottolineare che sí, lamentarsi degli anglicismi va bene, ma meglio non esporsi troppo, sennò ci si becca la taccia di fascisti. Sappiamo bene che il rischio che corriamo è questo, che, nell’opinione (superficiale) degl’italiani colti, chi difende l’italiano è quanto meno un criptofascista; ma permettetemi di rammaricarmi di questo paralogismo duro a morire.
È la cara, vecchia reductio ad Hitlerum ( :wink: ). In tempi recenti, il proliferare di discussioni in rete (come nei commenti sotto un video di youtube o - perché no? - nei forum come il nostro*) ha portato a una riformulazione dello stesso fenomeno in chiave più spiccatamente matematica: si tratta della nota (o ignota) legge di Godwin.


*Ovviamente volevo fare dell'ironia: non esistono altri forum come il nostro!

Inviato: mer, 28 ott 2015 23:21
di Ferdinand Bardamu
Il professore, proprio in esordio del suo intervento, dice che il traducente che l’Accademia d’Italia sostenne per sostituire cocktail, arlecchino, è citato spesso come esempio della (supposta) ridicolaggine delle proposte di surroga dei forestierismi. Eppure, ricorda Marazzini, la parola venne suggerita da Bacchelli e prima ancora da Migliorini.

Mi ha molto colpito il giudizio del professore sull’italiano d’oggi. Ve lo trascrivo:
  • L’italiano resta, a mio giudizio, una lingua d’occasione, una lingua impopolare, una lingua culturale elitaria, con spiccata propensione alla produzione artistica.
È un giudizio impietoso e, se vogliamo, anche anticonformistico, giacché contrasta con l’affrettata, e superficiale, esultanza per la diffusione dell’italiano in tutti gli strati della popolazione e il suo pieno uso come lingua di tutt’i giorni.

Gl’italiani, dice Marazzini, sono poco propensi a prendersi cura della propria lingua perché con essa hanno poca confidenza, perché manca un consenso nazionalpopolare, perché manca il senso della dignità della propria nazione, mancanza incolmabile ormai per il continuo aleggiare dello spettro del fascismo. A tutto ciò si aggiunge poi la tendenza dei politici a manipolare il linguaggio, nell’illusione che cambiando le parole si possano cambiare le cose. L’italiano, conclude il professore, non è una lingua davvero amata dai suoi parlanti.

Ha confortato anche me la chiusa del discorso, nella quale Marazzini cita Contini riguardo alla possibilità di «saltare il fosso» e cominciare a dar consigli linguistici. Poi, però, leggo su Facebook commenti superficiali, banali, semplicistici, ingenuamente filoneisti come quelli a quest’intervento della Crusca e torno a rabbuiarmi. :cry:

Inviato: mer, 28 ott 2015 23:57
di Freelancer
Ferdinand Bardamu ha scritto:Il professore, proprio in esordio del suo intervento, dice che il traducente che l’Accademia d’Italia sostenne per sostituire cocktail, arlecchino, è citato spesso come esempio della (supposta) ridicolaggine delle proposte di surroga dei forestierismi. Eppure, ricorda Marazzini, la parola venne suggerita da Bacchelli e prima ancora da Migliorini.
È interessante [ri]leggere la voce Cocktail in Barbaro dominio di Paolo Monelli, che come si sa, cercava di adattare quanto più possibile e si oppose addirittura a regista quando introdotto da Migliorini perché non lo trovava ben formato (diceva che era un vocabolo ibrido, e meglio sarebbe stato reggitore).

Ebbene, Monelli dice che era meglio che cocktail rimanesse cocktail, perché tale mistura era indiscutibilmente una creazione degli americani. (Scrive anche che chi voleva usare arlecchino per cocktail probabilmente non aveva mai non solo non bevuto, ma visto un cocktail.) Dice Monelli fra l'altro "...come ci dorrebbe vedere gli americani cercare un termine anglo-americano per spaghetti, così continuiamo pure a dire cocktail; e se è vero, come taluni opinano, che codeste siano misture barbare e dannose alla salute dell'anima e del corpo, ebbene, il nemico teniamolo vestito da nemico, non camuffiamolo da amabile bergamasco."

Che è un altro modo, più divertente, di parlare della monoreferenzialità e altre cose noiose discusse a iosa in questa piazza.
:wink:

Nel complesso l'articolo è gustoso, e consiglio anche la lettura del libro. (Si tenga presente che la maggior parte delle voci discusse sono francesi, perché a quel tempo l'influsso del francese era più forte dell'inglese, parliamo degli anni Trenta.)

Inviato: gio, 29 ott 2015 0:19
di Marco1971
Tra parentesi e in punta di piedi, il cocktail sarà pure una creazione americana, ma, come diceva Migliorini, quando una cosa diventa di uso comune ovunque, è bene che trovi un nome nella lingua d'arrivo. E tra cocktail e spaghetti/paella/sushi c'è una bella differenza concettuale, a mio avviso: non si tratta di una specialità ma di diversi tipi di miscela.

Inviato: gio, 29 ott 2015 18:05
di PersOnLine
Apprendo che la decisione del PoliMi è al vaglio della Corte Suprema, speriamo si rendano conto dell'importanza che avrà la loro decisione, perché è l'occasione per sancire l'ufficialità della lingua nazionale anche sul piano costituzionale.

Inviato: gio, 29 ott 2015 21:08
di Carnby
Marco1971 ha scritto:Tra parentesi e in punta di piedi, il cocktail sarà pure una creazione americana, ma, come diceva Migliorini, quando una cosa diventa di uso comune ovunque, è bene che trovi un nome nella lingua d'arrivo.
Chissà se a livello dialettale esiste già da qualche parte un termine per una mescolanza di sostanze alcoliche o non alcoliche.
PersOnLine ha scritto:Apprendo che la decisione del PoliMi è al vaglio della Corte Suprema, speriamo si rendano conto dell'importanza che avrà la loro decisione, perché è l'occasione per sancire l'ufficialità della lingua nazionale anche sul piano costituzionale.
Non sono del tutto convinto dell'efficacia di un provvedimento del genere a livello costituzionale, che tra l'altro rischierebbe di essere discriminatorio nei confronti dei cittadini italiani di lingua materna differente dall'italiano (tedesco, francoprovenzale ecc.). Più «corretto» giuridicamente potrebbe essere stabilire che le leggi e i provvedimenti debbano essere scritti in italiano (e pubblicare una grammatica e un vocabolario ufficiale a uso giuridico), fermo restando che nell'uso corrente ognuno è libero di usare le parole che vuole.

Inviato: gio, 29 ott 2015 22:44
di Freelancer
Carnby ha scritto:
Marco1971 ha scritto:Tra parentesi e in punta di piedi, il cocktail sarà pure una creazione americana, ma, come diceva Migliorini, quando una cosa diventa di uso comune ovunque, è bene che trovi un nome nella lingua d'arrivo.
Chissà se a livello dialettale esiste già da qualche parte un termine per una mescolanza di sostanze alcoliche o non alcoliche.
Dice Monelli nello stesso articolo: zozza (termine popolare toscano), che precede di gran lunga cocktail.

Inviato: gio, 29 ott 2015 23:01
di Marco1971
Il problema è che zozza ha una connotazione negativa... :roll: