Dico la mia, essendo locutore d'una variante del vernacolo aretino (nello specifico, l'anghiarese/valtiberino). Innanzitutto credo che si debba specificare, quando si parla di Umbria settentrionale: lo spigolo puntuto che costituisce la parte nord dell'Umbria, e che smezza l'altotevere tra la stessa e la Toscana, è linguisticamente tifernate (ovvero, fa capo a Città di Castello). La parlata tifernate ha (foneticamente) ben poco di perugino e molto di romagnolo/alto marchigiano [mi riferisco al pesarese], tanto che a quanto ne sapevo gl'altri umbri si riferiscono ai summenzionati come
[in]crociati, proprio a rimarcare lo
status di terra di transizione linguistica (oltre che storica e politica: quattro regioni [Toscana, Umbria, Romagna, Marche] nel giro di pochi chilometri). La somiglianza di certi tratti tra il mio vernacolo e il perugino è innegabile: [a] che diventano [e] (
cane>
chène ecc.), metatesi, alcune parole in comune (
maràmpito in aretino e
maràmpto in perugino, da
malu impeto), la cadenza... per quanto mi riguarda questa somiglianza è pure inspiegabile, dato che tra me e il perugino c'è un'intera area dialettale completamente diversa a livello fonetico.

In piú, nell'aretino, oltre a mancare quasi del tutto il raddoppiamento, è molto debole (ma non del tutto assente) l'aspirazione. In ogni caso, io ho studiato a Roma per un periodo, e i romani [e non solo] mi hanno sempre dato per toscano (ma i miei genitori quando studiavano a Firenze venivano additati come romani

).