Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

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Millermann
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Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Millermann »

Spesso gli articoli che parlano di dialetti e italiani regionali, per non appesantire eccessivamente la trattazione, tendono a introdurre delle semplificazioni e a generalizzare alcuni concetti. In questo modo, col tempo, si stratificano e si affermano degli "stereotipi", o se vogliamo dei luoghi comuni, che gli italiani delle altre regioni prendono per buoni, senza sapere fino a che punto sono veritieri.
Certo, in genere tali affermazioni sono frutto di studi di insigni linguisti, ma è pur vero che spesso si tratta di studi condotti molti decenni fa, che quindi non sempre rispecchiano la situazione attuale.
Cosí m'è venuto in mente d'aprire un filone in cui possiamo confermare, rettificare o ridimensionare i principali stereotipi legati ai dialetti o agli italiani regionali che conosciamo meglio. Ad esempio, con riferimento al modo di parlare dei meridionali (e dei calabresi) mi piacerebbe "fare il punto" su come stanno veramente le cose a proposito di argomenti quali:
  • Uso dell'accusativo preposizionale.
  • Uso del "voi" come allocutivo.
  • Uso del passato remoto al posto del passato prossimo.
  • Uso del raddoppiamento fonosintattico.
    (eccetera...)
Se mi permettete, in questa prima "puntata" vorrei iniziare con un argomento che si stava già affrontando (come fuori tema) in quest'altro filone, e cioè l'uso (improprio), nelle parlate meridionali, di stare al posto di essere.
In effetti si tratta di uno stereotipo molto diffuso: quest'uso, diverso da quello previsto nell'italiano normale, esiste, ed è uno spagnolismo, similmente all'uso di tenere al posto di avere e dell'accusativo preposizionale.
Nell'altro filone, [url=viewtopic.php?p=53576#p53576]Ivan92[/url] ha scritto:[D]avo per iscontato che tutto il Meridione usasse stare impropriamente. Lei, invece, ha dimostrato il contrario. Per cui ho ipotizzato che i dialetti meridionali estremi fossero esenti dal trattamento che i dialetti centro-meridionali riservano a stare, e che Lei parlasse appunto una variante del calabrese centro-meridionale. Ma, dicendomi che il suo vernacolo risente principalmente degl'influssi alto-meridionali, non so più cosa pensare.
Sa che mi aveva messo la pulce nell'orecchio? :D Per un attimo ho pensato che la mia percezione potesse essere sbagliata, e che magari solo io, nel mio idioletto, facessi tali distinzioni. Allora sono corso a controllare tra le risorse della Rete, e ora posso dire di essere piú tranquillo. :P
Allora, caro Ivan, non si crucci troppo, perché lei ha ragione: in effetti il trattamento anomalo di stare non riguarda i dialetti meridionali estremi. La sua perplessità deriva, ancora una volta, dalle semplificazioni che si fanno quando si parla di dialetti.
Certo, esistono le isoglosse che individuano le varie macroaree dialettali italiane, ciascuna caratterizzata da una serie innumerevole di regole grammaticali, lessicali, fonetiche. L'isoglossa in questione, però, non è legata che a una sola di queste caratteristiche, quella considerata come la piú rappresentativa.
E invece, in certi casi, non è rappresentativa piú di tanto: ad esempio, l'isoglossa che divide i dialetti alto-meridionali dai meridionali estremi è, semplicemente, quella in cui le parole smettono di terminare tutte con la vocale atona scevà e iniziano a terminare con le altre vocali. Quindi un'isoglossa puramente fonetica, che poco ha che vedere con la costruzione della frase.
Vi sono però, oltre a quella, molte altre isoglosse, ciascuna delle quali separa a sua volta una caratteristica alto-meridionale da una meridionale estrema: pensi che, solo nel territorio calabrese, è presente tutta una serie di tali isoglosse! :) Per cui, a seconda della caratteristica considerata, uno stesso vernacolo "comunale" può risultare dal lato alto-meridionale o dal lato meridionale estremo, rispetto all'isoglossa relativa. 8)

Ora, per scoprire dove passasse l'isoglossa dell'uso di "stare" al posto di "essere", ho pensato di ricorrere alle mappe AIS e ho trovato una risposta soddisfacente nel foglio 1013: «Sono digiuno».
In base a ciò, ritengo che l'uso "improprio" di stare sia compreso, sul versante adriatico, tra le Marche meridionali e la punta del Salento, e sul versante tirrenico tra le città di Roma e Salerno comprese.

Di conseguenza, Sicilia, Calabria, gran parte della Basilicata e Cilento non presentano questo fenomeno.
Come dicevo nell'altro filone, in queste zone (tra cui il cosentino), l'uso di stare risulta simile a quello che si ha in italiano: indica cioè una situazione abituale. Così, in dialetto, "adduvi sta'?" (dove stai) equivale a "dove abiti?", e una frase come "staju dijúnu" (sto digiuno) ha un significato differente rispetto a "signu dijúnu" (sono digiuno).
Per avere delle ulteriori conferme ho ricercato in Rete testi dialettali calabresi (come poesie), e frasi come "sto/sono a Cosenza", i cui risultati mi sembrano convincenti: pensi che, forse, l'unico esempio di uso improprio in cui si cita Cosenza riguarda la frase «oggi sto a Cosenza, domani sto a Torino» tratta dal testo di una canzone del rappatore romano Piotta! :mrgreen:

Bene, per ora mi fermerei qui; affronterò altri stereotipi nelle prossime puntate. :)
Se l'argomento vi sembra interessante, aspetto i vostri commenti. E, se i moderatori approvano, l'idea è quella di non limitare il tema del filone a una regione in particolare, in modo che chiunque possa, se lo desidera, aggiungere delle precisazioni sugli stereotipi che riguardano la propria zona. Avrete anche notato che l'argomento è trattato in modo piuttosto poco "scientifico" (non sono un linguista): in questo modo ognuno potrà dire la sua senza paura di sbagliare. ;)
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Ivan92
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Re: Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Ivan92 »

Promuovo con plauso la Sua iniziativa, caro Millermann. Tanto di cappello per l'impegno profuso nel riportare alacremente e con dovizia di particolari tutte le informazioni, nonché le curiosità e gli aneddoti più ameni. :)
Millermann ha scritto:In base a ciò, ritengo che l'uso "improprio" di stare sia compreso, sul versante adriatico, tra le Marche meridionali e la punta del Salento, e sul versante tirrenico tra le città di Roma e Salerno comprese.
Per ciò che concerne le Marche, credo che l'uso improprio di stare riguardi tutta la regione, escluso il pesarese. Nell'altro filone Le feci l'esempio di sto ad Ancona. Ecco, non c'è bisogno di spingersi fino al confine con l'Abruzzo. Anche nel maceratese e nell'anconitano stare può significare trovarsi in qualche luogo momentaneamente. Ovviamente, nelle Marche meridionali il fenomeno è più intenso. Un mio amico di Porto Sant'Elpidio dice chi ci sta in classe, mentre io dico chi c'è in classe. Detto questo, non me la sento di escludere le Marche mediane. Insomma, stare comincia a essere usato impropriamente da Ancona in giù.
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Sixie
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Imperativo negativo con «stare» + infinito in veneto

Intervento di Sixie »

Io uso stare anche per esprimere la negazione all'imperativo. Si tratta del tipo "non stare" + infinito :
no sta 'ndar, no 'l staga credar, no stè far, no i staga 'ver paura....
Se il verbo principale si accompagna al pronome enclitico, esso può legarsi all'infinito, oppure saldarsi alle voci del verbo stare :
no state mòvare/ no sta movarte; no state dexmentegare/no sta dexmentegarte e così via.
Gli esempi li ho presi dalla Grammatica di Gianna Marcato, che mi segnala questa " circonlocuzione ... nu vi stati marità 'non maritatevi' del calabrese", molto simile al tipo di imperativo 'non stare (a)' della mia variante. :D
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Ferdinand Bardamu
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Imperativo negativo con «stare» + infinito in veneto

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Io uso stare anche per esprimere la negazione all'imperativo. Si tratta del tipo "non stare" + infinito :
no sta 'ndar, no 'l staga credar, no stè far, no i staga 'ver paura....
Questo è infatti uno dei modi di costruire l’imperativo negativo nel nostro dialetto. Ecco ciò che dice in proposito il Rohlfs (Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Morfologia, Torino: «Einaudi», 1968, § 611):
  • Un’altra formula settentrionale [d’imperativo negativo] è ‘non stare (a) muoverti’, cfr. il veneto no stà te mòver, emiliano en te star mövər, trentino no šta móverte (AIS, 1647), parmigiano en sta pianzer ‘non piangere’, triestino no sta ’ndar ‘non andare’, no stame pestar i cali ‘non pestarmi i calli’, no stéme fracar ‘non pigiatemi’, (Rosman, 47), no la staghi bassilar ‘non si confonda’ (10), milanese nun stèe a parlè d’amur ‘non parlate d’amore’ (Filzi, 76), veronese no state desmentegar ‘non dimenticate’ 4.

    4 Il significato originario di questa formula non è ben chiaro. La circonlocuzione sembra aver avuto dapprima il valore d’un aspetto verbale durativo, cfr. in lingua altre (anime) stanno a giacere, altre stanno erte (Inf. 34, 13), parecchi vecchiotti stavansi quivi a sedere attorno a un deschetto (Gozzi) […].
P.S. Non vorrei prendere un abbaglio, ma Rohlfs considera, nell’esempio del veronese, state come imperativo di seconda persona plurale. Ciò non può essere, perché nel veronese, come (credo) nella gran parte dei dialetti settentrionali, l’imperativo e l’indicativo presente di seconda persona plurale sono tronchi: sté. Quindi, non dimenticate dovrebbe essere no steve desmentar(e) o no sté desmentegarve.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Quel no state desmentegar potrebbe essere stato erroneamente attribuito al veronese al posto del bellunese conservativo, dove troviamo un siè, siède, sede per l'imperativo di seconda persona plurale del verbo essere, quindi potrebbe darsi un state per sté.
Non saprei come spiegarlo altrimenti, anche perché il valore durativo di un verbo si esprime con drio
in tutte le varianti, io credo, del veneto.
Cosa stai facendo? Cossa sìto drio fare?
Cosa stai dicendo, però, diventa : cossa tiènto dito?
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Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Da noi si dice non te sta' a scervella', non ve state a preoccupa', ecc. Si tratta dello stesso costrutto?
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Carnby
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Intervento di Carnby »

Il toscano è più conciso: 'un ti preoccupà. :)
Tutto questo «stare a» non è sconosciuto da noi, ma di solito si evita.
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Millermann
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Re: Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Millermann »

Ivan92 ha scritto:Per ciò che concerne le Marche, credo che l'uso improprio di stare riguardi tutta la regione, escluso il pesarese. Nell'altro filone Le feci l'esempio di sto ad Ancona. Ecco, non c'è bisogno di spingersi fino al confine con l'Abruzzo. Anche nel maceratese e nell'anconitano stare può significare trovarsi in qualche luogo momentaneamente. Ovviamente, nelle Marche meridionali il fenomeno è più intenso.
Si, certo, non lo metto in dubbio! Io mi riferivo a quanto si riesce a evincere dalla consultazione del foglio 1013 dell'AIS, relativo alle traduzioni dialettali della frase "Sono digiuno". ;)
Non so se l'ha già visto, mi sembra molto interessante: per quanto riguarda le Marche, nella parte settentrionale prevale il tipo "sono (a) digiuno" (Fano: [/i]so' dagiun[/i]; Frontone: so' da digiuno); nella zona meridionale è presente il tipo "sto a digiuno" (S.Elpidio e Grottammare: stac a diù; Muccia: sto a digiunu); nella zona centrale, invece, non vi sono esempi validi (le risposte sono del tipo "n'ho magnato più"), per cui non sono stato in grado di trarre conclusioni su quell'area!
Semmai, mi ha sorpreso un po' la risposta di Ascoli: so' dijù. Le risulta? :)

Sixie e Ferdinand: non sarà che la frase no state desmentegar stesse semplicemente per no sta te desmentegar, quindi al singolare anziché al plurale? :P

Se ho capito bene, la costruzione dell'imperativo negativo in veneto si forma facendo seguire direttamente la forma flessa di "stare" dall'infinito di un altro verbo, senza la preposizione "a".
Sarebbe, cioè, una costruzione leggermente diversa da quella del tipo "non stare a (fare qualcosa)!", possibile anche in italiano. È cosí?
Lo chiedo perché, invece, credo che quell'esempio in dialetto calabrese contenga la preposizione, e che sia tratto da un passo che recita:
«Giuvinelle chi siti ziti, nu vi stati a marità»
(cioè: giovinette che siete fidanzate, non vi state a maritare), che mi sembra una costruzione abbastanza normale anche in italiano.
Il Treccani definisce quest'uso di stare "pleonastico, riempitivo", aggiungendo che "conferisce efficacia all'espressione", e fa esempi come "non ti stare a confondere!" o "non vi state a lambiccare il cervello", che sono, in fondo, degli imperativi negativi molto simili a quelli di cui si è parlato. :)
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Ivan92
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Re: Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Ivan92 »

Millermann ha scritto:Si, certo, non lo metto in dubbio! Io mi riferivo a quanto si riesce a evincere dalla consultazione del foglio 1013 dell'AIS, relativo alle traduzioni dialettali della frase "Sono digiuno". ;)
Non so se l'ha già visto, mi sembra molto interessante: per quanto riguarda le Marche, nella parte settentrionale prevale il tipo "sono (a) digiuno" (Fano: [/i]so' dagiun[/i]; Frontone: so' da digiuno); nella zona meridionale è presente il tipo "sto a digiuno" (S.Elpidio e Grottammare: stac a diù; Muccia: sto a digiunu); nella zona centrale, invece, non vi sono esempi validi (le risposte sono del tipo "n'ho magnato più"), per cui non sono stato in grado di trarre conclusioni su quell'area!
Semmai, mi ha sorpreso un po' la risposta di Ascoli: so' dijù. Le risulta? :)
Io abito la zona centrale, ma anche qui si dice sto a digiuno. Per ciò che concerne l'ascolano, mi sarei aspettato sto e non so'. Ma conosco poco la zona in questione, per cui non posso esprimermi più di tanto. Invece non mi convince tanto n'ho magnato più. L'equivalente di sto a digiuno è, semmai, non magno più.
Millermann ha scritto:Lo chiedo perché, invece, credo che quell'esempio in dialetto calabrese contenga la preposizione, e che sia tratto da un passo che recita:
«Giuvinelle chi siti ziti, nu vi stati a marità»
(cioè: giovinette che siete fidanzate, non vi state a maritare), che mi sembra una costruzione abbastanza normale anche in italiano.
Il Treccani definisce quest'uso di stare "pleonastico, riempitivo", aggiungendo che "conferisce efficacia all'espressione", e fa esempi come "non ti stare a confondere!" o "non vi state a lambiccare il cervello", che sono, in fondo, degli imperativi negativi molto simili a quelli di cui si è parlato. :)
Ha riposto indirettamente alla mia domanda. Il nu vi stati a marità da Lei citato coincide con il mio non ve state a preoccupa'. :)
Ivan92
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Intervento di Ivan92 »

Carnby ha scritto:Il toscano è più conciso: 'un ti preoccupà. :)
Anche da noi, ovviamente: nun te preoccupa', nun te scervella', ecc.
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Ferdinand Bardamu
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Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Non saprei come spiegarlo altrimenti, anche perché il valore durativo di un verbo si esprime con drio
in tutte le varianti, io credo, del veneto.
Cosa stai facendo? Cossa sìto drio fare?
Cosa stai dicendo, però, diventa : cossa tiènto dito?
In quale variante si dice cossa tiènto dito? È una costruzione che non ho mai sentito: io direi cossa sito invià dire?. Ma forse è il caso di parlarne in separata sede.
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Sixie
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Re: Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Sixie »

Millermann ha scritto:«Giuvinelle chi siti ziti, nu vi stati a marità»
(cioè: giovinette che siete fidanzate, non vi state a maritare), che mi sembra una costruzione abbastanza normale anche in italiano.
Il Treccani definisce quest'uso di stare "pleonastico, riempitivo", aggiungendo che "conferisce efficacia all'espressione", e fa esempi come "non ti stare a confondere!" o "non vi state a lambiccare il cervello", che sono, in fondo, degli imperativi negativi molto simili a quelli di cui si è parlato. :)
"Giovinette che siete fidanzate, non vi state a maritare" :?
Non mi sembra proprio "normale" in buon italiano; " Giovinette che siete fidanzate, non maritatevi", direi io.
Toxàte ca sì nòvie, no stè maridarve!. Anche : toxe ca sì moroxe: no staxì maridarve. Costruzione "normale" in buon veneto. :D

Ferdinad : cossa tiènto dìto è della mia variante, naturalmente; non che la sua mi sia famigliare, però. Non dovremmo forse dire, entrambi, cossa sìto drìo dire?
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Re: Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Millermann »

Sixie ha scritto:"Giovinette che siete fidanzate, non vi state a maritare" :?
Non mi sembra proprio "normale" in buon italiano; "Giovinette che siete fidanzate, non maritatevi", direi io.
Su questo le do ragione. :)
Riporto, però, per esteso ciò che dice il Treccani a proposito di quest'uso di stare:
«Spesso è pleonastico, riempitivo: non mi stare a dire che non ti piace (= non mi dire); non stette a farmi complimenti (= non mi fece); non vi sto a dire se mangiò con appetito, ecc.; ma anche in questi casi, aggiunge di solito al verbo principale l’idea di una certa continuità o insistenza nell’azione, oppure di una volontà deliberata, e sempre conferisce efficacia
all’espressione: stammi a sentire, chiedendo attenzione; perché stai lì a guardare?; non ti stare a confondere!; non stia a prendersi disturbo per me; non vi state a lambiccare il cervello, ecc.»

Dunque, sebbene la "continuità nell'azione" sia piú adatta a un verbo durativo come sentire o guardare, secondo me, almeno in questo caso, si può applicare anche a maritarsi, grazie al fatto che il soggetto è plurale, e quindi la frase è diretta a piú persone e in momenti diversi.
Insomma, «giovinette, non vi state a maritare» equivarrebbe a dire «giovinette, non continuate a maritarvi» = «smettetela di maritarvi», quindi un imperativo piú "categorico" rispetto a un semplice «non maritatevi».
Che ne pensa? :)

A parte ciò, comunque, non ritengo che imperativi costruiti secondo il modello «non stare a (fare qualcosa)» siano poi cosí frequenti, almeno nel calabrese settentrionale! È molto piú comune un semplice «no'[t:]i marità!», «no'[b:]i maritàti!».
[Nel mio dialetto il pronome clitico va prima del verbo nell'imperativo negativo, è invece enclitico in quello semplice: «maritàti!», «maritatívi» (notare l'accento piano :P). ]
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Ferdinand Bardamu
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Re: Precisazioni sugli stereotipi delle parlate regionali

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Sixie ha scritto:Cossa tiènto dìto è della mia variante, naturalmente; non che la sua mi sia famigliare, però. Non dovremmo forse dire, entrambi, cossa sìto drìo dire?
Certamente èsare indrío fare (sí, da me è indrío) mi è famigliarissima e l’uso comunemente. Ma mi viene il sospetto che la progressività sia espressa con diversi costrutti, che variano da zona a zona. Per dirle, èsare invià fare non l’ho mai sentito dai miei amici di altre zone della provincia di Verona.
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Sixie
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Intervento di Sixie »

Ferdinand, non può essere indrio, che significa indietro/addietro (Piero l'è restà indrio), ma solamente drio - dietro - in funzione di componente verbale dei tanti verbi come: andar drio (seguire, prendersi cura); dar drio (dare, affidare); èssare drio («stare per» + infinito).
Il suo èsare invià fare non l'ho mai sentito, (e d'altra parte, se nemmeno i suoi amici del veronese lo dicono, deve essere proprio un suo lessico famigliare), ma potrebbe anche essere un èsare in via (de) fare, questo sì, l'ho sentito, per «stare per» + infinito.

Forse ho trovato anche il motivo di quel no state desmentegar del Rohlfs: è congiuntivo presente stade, ma non del veronese, come aveva giustamente notato, ma del bellunese arcaico, come avevo intuito.
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