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Ossequente, non ossequiente
Inviato: gio, 23 nov 2006 0:16
di Fausto Raso
Moltissime persone, anche quelle la cui cultura linguistica dovrebbe essere insospettabile, scrivono e dicono “ossequiente” (inseriscono quella “i” che non c’entra minimamente) credendo che questo aggettivo sia un deverbale, sia, cioè, un aggettivo derivato dal verbo “ossequiare”.
Se cosí fosse si dovrebbe dire “ossequiante” perché il participio presente (con funzione aggettivale) dei verbi in “are” ha la desinenza in “ante”: parlante; cantante; …ossequiante. La persona rispettosa, riverente, ubbidiente, che rende ossequio si dice “ossequente” (senza la “i”).
Noto, però, "con dispiacere", il fatto che non tutti i vocabolari concordano: il De Mauro in linea riporta ossequiente come variante di ossequente; il Dop dà ossequiente come voce errata; lo stesso Zingarelli, uno tra i piú “permissivi”, non ammette la “i”. Altri, meglio, riportano – in parentesi – che la forma “ossequiente” è errata. E hanno perfettamente ragione: ossequente discende dal latino “obsequente(m)”, accusativo del participio presente “obsequens” del verbo “obsequi” (ubbidire, accondiscendere). Attraverso un processo di assimilazione ‘obsequentem’ è diventato ‘ossequentem’, quindi – in italiano – “ossequente”.
L’assimilazione, sarà utile ricordarlo, è un processo linguistico per cui dall’incontro di due consonanti la prima diventa uguale alla seconda. Nel caso specifico di “obsequente(m)” la consonante “b” è stata assimilata dalla “s”.
Il verbo “ossequiare”, quindi, come si può ben vedere, non ha nulla a che vedere con l’aggettivo ossequente che è la sola forma corretta.
L’equivoco grossolano della “i”, se si esclude il verbo ossequiare, potrebbe esser nato dalla “i” di ossequio.
Inviato: gio, 23 nov 2006 0:24
di Marco1971
Sí, la forma corretta è
ossequente.
Mi permetta però di farle una piccola osservazione, visto che lei tiene a tutti questi dettagli. La forma «piú corretta» sarebbe
non ha nulla che vedere, senza
a.

Inviato: gio, 23 nov 2006 0:33
di Fausto Raso
Marco1971 ha scritto:Mi permetta però di farle una piccola osservazione, visto che lei tiene a tutti questi dettagli. La forma «piú corretta» sarebbe
non ha nulla che vedere, senza
a.

Ha perfettamente ragione. Ho pensato, però, che se avessi scritto, correttamente,
non ha nulla che vedere sarei stato tacciato di "saccenteria linguistica".
Inviato: gio, 23 nov 2006 0:40
di Marco1971
Non in queste stanze, caro Fausto (io lo uso da sempre e nessuno mi ha rimproverato).

Inviato: gio, 23 nov 2006 2:58
di Brazilian dude
Avete contribuito alla cultura di questo povero brasiliano. Io ho sempre detto ossequiente. Grazie di averlo segnalato.
Inviato: gio, 23 nov 2006 19:03
di Fausto Raso
A proposito dell'espressione non avere nulla a che vedere (e simili) che è forma "poco corretta", che cosa pensa, cortese Marco, della locuzione prendere atto che? A mio avviso è errata perché si prende atto "di" qualcosa, non "che": prendo atto "di" quanto hai detto; prendo atto "della" tua buona fede. Quando, per motivi fono-sintattico-grammaticali, non è possibile adoperare la preposizione "di" si ricorra - a mio modo di vedere - all'espressione prendere atto del fatto che: "prendo atto del fatto che" non hai detto la solita bugia e non, "erroneamente", prendo atto che non hai detto la solita bugia.
Inviato: gio, 23 nov 2006 19:47
di Marco1971
Il ‘che’ congiunzione può benissimo sostituire la locuzione ‘del fatto che’:
Mi sono accorto del suo errore –>
Mi sono accorto [del fatto] che aveva sbagliato.
Prendo atto della tua solita bugia –>
Prendo atto [del fatto] che hai detto la solita bugia.
Si pensi anche a strutture comunissime come “Sono sicuro che andrà tutto bene”, mentre
sicuro richiede la preposizione ‘di’ (“Sono sicuro
del successo della sua impresa”).
Un esempio dantesco:
E perché li antichi s’accorsero che quello cielo era qua giú cagione d’amore, dissero Amore essere figlio di Venere.
Per la sua antichità e presenza ininterrotta nella storia della nostra lingua, questo ‘che’ non si può considerare scorretto.
Inviato: gio, 23 nov 2006 20:48
di Fausto Raso
Marco1971 ha scritto:Per la sua antichità e presenza ininterrotta nella storia della nostra lingua, questo ‘che’ non si può considerare scorretto.
Prendo atto che questo 'che' non si può considerare scorretto, mi sembra, però, stilisticamente poco ortodosso.
Inviato: gio, 23 nov 2006 20:58
di Marco1971
Sono curioso: a lei sembra stilisticamente poco ortodosso anche Mi sono accorto che e Sono sicuro che? Perché se è cosí capirei meglio il suo sentimento nei confronti di Prendo atto che.
Inviato: gio, 23 nov 2006 23:56
di Fausto Raso
Marco1971 ha scritto:Sono curioso: a lei sembra stilisticamente poco ortodosso anche Mi sono accorto che e Sono sicuro che? Perché se è cosí capirei meglio il suo sentimento nei confronti di Prendo atto che.
Sono espressioni che aborrisco perché mi sembrano un "aborto linguistico".
Inviato: ven, 24 nov 2006 9:28
di Bue
Marco1971 ha scritto:Il ‘che’ congiunzione può benissimo sostituire la locuzione ‘del fatto che’:
Prendo atto della tua solita bugia –> Prendo atto [del fatto] che hai detto la solita bugia.
Senza contare [il fatto] che "il fatto che" appesantisce spesso notevolmente le frasi, e [il fatto] che "prendo atto del fatto" è una di quelle rime "interne" che alcuni orecchi (tra cui i miei) trovano esteticamente urticanti.
Inviato: ven, 24 nov 2006 10:10
di bubu7
Marco1971 ha scritto:Mi permetta però di farle una piccola osservazione, visto che lei tiene a tutti questi dettagli. La forma «piú corretta» sarebbe
non ha nulla che vedere, senza
a.

Marco1971 ha scritto:...(io lo uso da sempre e nessuno mi ha rimproverato).
Eccomi!
Ha fatto bene a mettere tra virgolette l'espressione «più corretta» infatti quella da lei preferita è
solo la forma «più tradizionale», oggi variante di (estrema) minoranza della forma
nulla/niente a che…
Se vogliamo dare un’indicazione precisa a chi ci legge, sarà quindi quest’ultima la forma da consigliare, cioè più corretta, per chi volesse scrivere in italiano modello. Il GRADIT, il DISC, il Devoto-Oli (1987), lo Zingarelli 2002 e perfino il Gabrielli (in due volumi) riportano
solo quest’ultima forma mentre il Treccani le riporta entrambe, senza esprimere preferenze.
Tra l’altro, la forma
nulla/niente a che… non è neanche completamente assente dalla nostra tradizione letteraria: una ricerca sulla LIZ 4.0 la mostra in Emilio De Marchi, Federigo Tozzi, Italo Svevo, Ippolito Nievo, Giuseppe Rovani e Luigi Pirandello.
Inviato: ven, 24 nov 2006 15:59
di Marco1971
bubu7 ha scritto:...perfino il Gabrielli (in due volumi) riportano solo quest’ultima forma...
Ha guardato male, perché nel Gabrielli, alla voce
fare, c’è scritto:
Aver che fare (o a che fare) con una persona o cosa, averci rapporti o rapporto. Non ho niente che fare (o a che fare) con quell’imbroglione; Questo non ha nulla a che fare con quello.
Inviato: ven, 24 nov 2006 16:32
di bubu7
Marco1971 ha scritto: Ha guardato male, perché nel Gabrielli, alla voce fare...
Tutto qui il suo commento?
Vedo che ha colto il nocciolo della mia obiezione…
Mi aspettavo maggiore larghezza di vedute considerando i vocabolari che le ho citato.
Qualcosa tipo: «Ha ragione, i vocabolari più autorevoli consigliano la forma
nulla/niente a che…».
Quasi fuori tema, visto che non è questo il punto: la mia citazione del Gabrielli era preceduta da un «perfino» perché, obiettivamente, non si può annoverare tra i vocabolari più autorevoli, e riguardava proprio la frase la lei presa in considerazione: «…nulla che vedere».
Per l’uso dell’espressione con questo verbo il Gabrielli non dà alternativa: l’unica forma riportata è quella con la
a.
Inviato: ven, 24 nov 2006 17:03
di Marco1971
Non si sconvolga per sí picciol cosa. Io continuerò a dire come ho sempre detto senza téma d’errare, confortato dalla tradizione, che giunge fino ai giorni nostri negli scrittori piú attenti e raffinati. Convengo che si può considerare oggi forma marcata visto che il costrutto colla
a domina incontrastato al punto che molti dizionari omettono di segnalare la variante da me usata. È anche vero che alla voce
vedere il Gabrielli dà solo la versione con
a, ma in un suo libro dice invece (il testo integrale si può leggere
qui):
Consiglierei pertanto di attenersi alla forma antica; e di dire, analogamente, «non ho nulla che vedere in questa faccenda», «non ho mai avuto che dire con lui», meglio che «a che vedere» e «a che dire». (Il museo degli errori, Milano, Mondadori, 1977, p. 111)
E il Battaglia, sotto
vedere, registra solo le forme
Non avere che vedere, non avere niente o
nulla che vedere con qualcosa (l’unico esempio con
a è di Calvino).
Io non avrei mai segnalato questo particolare se non l’avessi trovato nella penna dell’amico Fausto Raso, che appunto cita spesso il Gabrielli. Ché non ritengo errato l’uso della preposizione
a in questi costrutti, sebbene io faccia scelte diverse.
P.S. Una domanda: lei aveva scritto (vedo che ora ha optato per una formulazione diversa) «visto la mole dei dizionari che le ho citato». Era un refuso o si sta diffondendo nell’uso l’invariabilità di «visto», alla francese?