Dello scevà
Inviato: mer, 13 dic 2006 23:55
La questione dello scevà (adattamento leopardiano), che si ode specialmente nella pronuncia delle parole anitaliane* che finiscono in consonante, era già rilevata dal solito Leopardi (pensiero del dicembre 1818-8 gennaio 1820, p. 30):
Il riposo vocale, in chiusura, appoggiantesi allo scevà – o piú francamente, come in Toscana, alla pura ‘e’ – sembra una naturale tendenza nelle zone a mezzogiorno della linea La Spezia-Rimini.
*Con questo termine, d’ora in avanti, mi riferisco alle parole che non rientrano nel primo e nel secondo sistema fonologico.
Nella quistione se [si] debba dire be ce de ec. o bi ec. e però abbiccì o abbeccè della quale v. il Manni Lez. di lingua toscana, io senza cercare l’uso di qual città debba far legge ma quale sia più ragionevole preferisco l’abbeccè ch’è anche nostro marchegiano, per ragioni cavate dalla natura la quale pare che quel riposo vocale per la cui necessità soltanto si dà il nome alle consonanti, lasciando le vocali sole come sono, (quantunque gli antichi greci ebrei ec. nominassero anche le vocali) l’abbia ristretto all’e onde provatevi a pronunziar sola una consonante p.e. l’f o l’n: (metto queste sulle quali non cade la quistione nè l’uso di pronunziare piuttosto in un modo che in un altro) vedrete che la pronunzia non potendo star sospesa e finita nella pura consonante, e dovendo cascare in vocale vi casca nell’e: così vediamo che i fanciulli nel leggere e chiunque strascina la pronunzia delle parole, a quelle lettere che non hanno vocale dopo aggiunge un mezzo e, come in aredenetemenete ine pace ec.

Il riposo vocale, in chiusura, appoggiantesi allo scevà – o piú francamente, come in Toscana, alla pura ‘e’ – sembra una naturale tendenza nelle zone a mezzogiorno della linea La Spezia-Rimini.
*Con questo termine, d’ora in avanti, mi riferisco alle parole che non rientrano nel primo e nel secondo sistema fonologico.