Segnalo questa intervista a Serianni e Trifone sull'ennesima edizione del Devoto-Oli, dove ormai è palese la loro "svolta" antipurista.
http://www.economiaitaliana.it/it/artic ... T&ID=40405
Nell'intervista non si sottolinea però che, per far posto a vari neologismi, sono stati espunti vocaboli considerati arcaici o desueti, come “addoparsi” (collocarsi dietro o dopo), “adustezza” (asciuttezza, magrezza, aridità), “lanino” (operaio addetto alla lavorazione della lana oppure appaltatore della filatura della lana nel contado) e “mascheraio” (fabbricante di maschere). Cfr.
https://libreriamo.it/lingua-italiana/l ... izionario/
Io sono abbastanza contrario a un'operazione condotta con questi criteri, che trovo DISCUTIBILISSIMI, anche da ex collaboratore della sezione filosofica del Devoto-Oli. Tuttavia, vorrei davvero pregare TUTTI coloro che vorranno intervenire di non soffermarsi sugli anglicismi (o almeno, SOLO sugli anglicismi), che NON sono il punto essenziale del problema lessicografico evidenziato, ma solo un effetto collaterale. Il vero problema, a mio modesto parere, consiste nella decisione di espungere parti cospicue del patrimonio storico "glorioso" di una lingua come l'italiano (patrimonio documentato in una lunga tradizione letteraria) per far posto a coniazioni neologistiche spesso effimere, "modaiole" e relative ad ambiti culturali non sempre di autentico rilievo. Che poi molti di questi neologismi coincidano con gli anglicismi (come nel caso di
droplet, swipe, family banker, lookdown, deepfake) è un motivo di preoccupazione in più, anche in un'ottica non eccessivamente purista. Ma anche le neoconiazioni omoglotte (ecco un bel neologismo, invece, dove "omo" è prefissoide di primo grado e sta per "identico", "stesso") lasciano alquanto perplessi:
algocrazia, cindia, pokeria, infodemia mi sembrano parole né belle, né necessarie, né ben formate.
E non posso che rattristarmi pensando che per far posto a queste stravaganti neoconiazioni abbiano espunto delle polirematiche da me introdotte, come "epistemologia naturalizzata" o "riduzione eidetica", termini specialistici, certo, ma destinati a durare per secoli, nei trattati di filosofia. Mentre
pokeria e
infodemia non so quanto resisteranno. E un "dizionario dell'uso" deve comunque registrare i vocaboli e gli usi più consolidati e quelli presenti nella nostra tradizione letteraria, permettendo agli utenti medi di decodificare sia la prosa di Gadda, Calvino ed Eco, sia quella di Manzoni, Verga e Pirandello.
Insomma, quest'operazione lessicografica, che "sacrifica" molti vocaboli della migliore tradizione letteraria per far posto a "effimerismi" e occasionalismi, più che a neologismi, non mi convince punto. Qui mi urta più l'idea di accogliere vocaboli destinati a scomparire dall'uso in pochi anni (cominciò lo Zingarelli 1995 con "blobbare". Chi se lo ricorda?) che quella di annoverare tra tali vocaboli molti anglicismi.