«Cocooning»
Inviato: sab, 01 giu 2019 17:51
Aprendo a caso il supplemento 2004 del Battaglia (p. 234 – che sul sito della Crusca non è ancora disponibile né partialtext né, tanto meno, fulltext), capito in questa parola, cosí definita:
Cocooning [kokùnin], sm. Invar. L’accoccolarsi, l’acciambellarsi, in genere su un divano o una poltrona, con un atteggiamento protettivo verso se stessi e di isolamento dall’esterno (in partic. nell’espressione Fare cocooning).
Donna Moderna [15-XII-1994], 117: Alzi la mano chi non ama, ogni tanto, fare cocooning davanti la tivù. Al caldo, possibilmente. Grazia [8-I-1995], 60: Si esce poco perché si sta volentieri in casa (il ‘cocooning’ che significa chiudersi nel proprio bozzolo).
= Voce ingl., deriv. da cocoon propr. ‘bozzolo’.
Nella pagina a fronte (p. 235), manco a farlo apposta, si trova la voce coglionata, di cui non riporto la definizione. Leggendo quella di cocooning m’è parso d’intravedere qualche parvenza d’incrocio fra autismo e paranoia («atteggiamento protettivo verso se stessi e di isolamento dall’esterno»), che nulla ha che fare con il raggomitolarsi su un divano o in una poltrona (in inglese, poi, ha pure un significato piú generico).
Non occorreva una carenza di duende (voce peraltro non registrata nello stesso supplemento) per escogitare un eventuale, inutile calco semantico come «abbozzolarsi», visto che, già nella definizione, sono presenti due equivalenti al termine straniero, a cui si aggiungono (r)aggomitolarsi, rannicchiarsi, accovacciarsi, rincantucciarsi, e cosí via, secondo le svariate e cangianti sfumature che si vogliano far trapelare. Né s’imponeva la necessità di presentare al pubblico, nel maggiore dizionario storico della nostra lingua, siffatta voce accattata negli angiporti di riviste illuminate.
Sempre a pagina 234 si trovano coffee break («breve intervallo nel corso di un riunione, di un congresso, ecc. per rilassarsi, bere un caffè o altra bevanda» e anche [accezione 2] «sala aziendale adibita a bar»), coffee grinder («nelle grosse imbarcazioni a vela da regata, verricello a doppia manovella con cui si manovrano le scotte») – che credo sia, nel vasto lessico marinaresco, una sorta di mulinello, ma tale accezione di coffee grinder non ho trovato nello Shorter Oxford e mi domando se un marinaio italiano saprebbe che cosa s’intenda nominare con questo termine – e coffee shop («locale tipico di Amsterdam dove è possibile acquistare legalmente hashish, marijuana, ecc.»).
Se vi trovate a un meeting in un hotel di charme a cinque stelle, durante il coffee beak vi recherete forse al piú propinquo coffee break – o forse al coffee shop, anche se non siete a Amsterdam, qualora a tirarvi su vi occorra qualcosa di piú hard del tiramisú –, e, in caso d’impellente bisogno, con decoro chiederete dove sono i W.C., luogo in cui le signore bene non vanno a fare cocooning, ma altri, meglio immentovati, «ing».
Cocooning [kokùnin], sm. Invar. L’accoccolarsi, l’acciambellarsi, in genere su un divano o una poltrona, con un atteggiamento protettivo verso se stessi e di isolamento dall’esterno (in partic. nell’espressione Fare cocooning).
Donna Moderna [15-XII-1994], 117: Alzi la mano chi non ama, ogni tanto, fare cocooning davanti la tivù. Al caldo, possibilmente. Grazia [8-I-1995], 60: Si esce poco perché si sta volentieri in casa (il ‘cocooning’ che significa chiudersi nel proprio bozzolo).
= Voce ingl., deriv. da cocoon propr. ‘bozzolo’.
Nella pagina a fronte (p. 235), manco a farlo apposta, si trova la voce coglionata, di cui non riporto la definizione. Leggendo quella di cocooning m’è parso d’intravedere qualche parvenza d’incrocio fra autismo e paranoia («atteggiamento protettivo verso se stessi e di isolamento dall’esterno»), che nulla ha che fare con il raggomitolarsi su un divano o in una poltrona (in inglese, poi, ha pure un significato piú generico).
Non occorreva una carenza di duende (voce peraltro non registrata nello stesso supplemento) per escogitare un eventuale, inutile calco semantico come «abbozzolarsi», visto che, già nella definizione, sono presenti due equivalenti al termine straniero, a cui si aggiungono (r)aggomitolarsi, rannicchiarsi, accovacciarsi, rincantucciarsi, e cosí via, secondo le svariate e cangianti sfumature che si vogliano far trapelare. Né s’imponeva la necessità di presentare al pubblico, nel maggiore dizionario storico della nostra lingua, siffatta voce accattata negli angiporti di riviste illuminate.
Sempre a pagina 234 si trovano coffee break («breve intervallo nel corso di un riunione, di un congresso, ecc. per rilassarsi, bere un caffè o altra bevanda» e anche [accezione 2] «sala aziendale adibita a bar»), coffee grinder («nelle grosse imbarcazioni a vela da regata, verricello a doppia manovella con cui si manovrano le scotte») – che credo sia, nel vasto lessico marinaresco, una sorta di mulinello, ma tale accezione di coffee grinder non ho trovato nello Shorter Oxford e mi domando se un marinaio italiano saprebbe che cosa s’intenda nominare con questo termine – e coffee shop («locale tipico di Amsterdam dove è possibile acquistare legalmente hashish, marijuana, ecc.»).
Se vi trovate a un meeting in un hotel di charme a cinque stelle, durante il coffee beak vi recherete forse al piú propinquo coffee break – o forse al coffee shop, anche se non siete a Amsterdam, qualora a tirarvi su vi occorra qualcosa di piú hard del tiramisú –, e, in caso d’impellente bisogno, con decoro chiederete dove sono i W.C., luogo in cui le signore bene non vanno a fare cocooning, ma altri, meglio immentovati, «ing».