[LIJ] «Schiappacasse»
Inviato: mer, 17 lug 2019 12:05
In un altro filone Ferdinand Bardamu ha scritto:
Non vorrei sbagliare, ma credo che /-zˈʤ-/ non si trovi né tra le parole di tradizione ininterrotta né nei forestierismi acclimati (non composti). Lo stesso si può dire di /-sʧ-/, che si trova solo nella pronuncia settentrionale di scervellare. Del resto, nelle parlate dell’Alta Italia, o almeno in veneto, le sequenze /-zˈʤ-/ e /-sʧ-/ sono comunissime, es. sciapare (‹fendere, tagliare; tagliare la legna con l’accetta›), desgiazare (‹sciogliere il ghiaccio›), ecc.
Verissimo. Confermo per Genova - e per la Liguria, in generale - quale unica la pronuncia s-cervellare. Docenti di ogni ordine e grado correggono - irriflessivamente - la pronuncia caratterizzata da [ʃ-] ... Se mai qualcuno osasse ...
Valgono anche - in generale - le osservazioni successive. Che possono, per altro, assumere diatopicamente connotati fonetici specifici. Nelle parlate di tipo genovese, collo stesso significato, per s-ciapare si ha la voce verbale sc-ciapâ [ʃʧa'pa:], mentre alla seconda voce riferita corrisponde dezgiasâ [ˌdezʤa'sa:]<[ˌdeʒʤa'ʦa:], mentre [ˌdɛ:rʤa'ʦa:] era la "soluzione" antica (riscontrabile, ora, solamente in aree di linguaggio arcaico) adottata al fine di evitare il nesso [-ʒʤ-].
A proposito di "schiappe" - le scheggie risultanti dal taglio della legna o di oggetti di legno - approfitto per emendare le sciocchezze che scrive l'autore nel Dizionario dei cognomi italiani - E. De Felice - in riferimento al cognome locale Schiappacasse.
L'autore, infatti, scrive: ... riflette un soprannome o nome di mestiere (come lavoro portuale) formato da "schiappa-" italianizzazione ... dal verbo ... "spaccare, aprire spaccando o schiodando" e "casse", cioè "che spacca, che apre le casse". .
Ho omesso il riferimento diretto al verbo genovese, già sopra riportato in forma corretta. Anche per non sprecare inchiostro per chiarire perché la forma citata dal De Felice risulti sbagliata.
A parte il fatto che le merci trasportate non erano contenute in casse, se non quelle particolarmente preziose - o i contanti - e che nessun onesto lavoratore portuale avrebbe mai spaccato alcunché, men che meno le casse, per le quali - come oggi - esistevano le chiavi relative - oltre al fatto che sc-ciapâ [ʃʧa'pa:] non significa affatto schiodare e che l'azione designata dal verbo risulta aliena a qualsiasi onesto lavoratore (portuale o meno) ed è tipica di un malfattore (si tratterebbe di un'azione criminale) -, il cognome ha un'origine fondata su un comportamento infinitamente meno grave, per quanto denotato come molesto, noioso.
Non certamente un'attività lavorativa.
Bensì una condotta - manifestabile anche in ambiti lavorativi (eccome! e talora difficilmente tollerabile)-, ma certamente non passibile di condanne morali o di denunce penali.
Nei dialetti liguri cassa ['kassa]<['kaʦʦa] è il mestolo. Fino a poco tempo fa soltanto di legno. Al quale qui si fa ricorso in senso scherzoso, osceno. L'espressione oscena, ormai, è ricordata soltanto dai vecchi, perché lo Zeigeist attuale accetta - forse, talora ricerca - l'oscenità, ma rifugge da un'autentica dialettalità, avvertita quale vero tabù.
Nei dialetti liguri, infatti, la "cassa" non è cassa, bensì cascia ['kaʃʃa]. Al plurale, regolarmente, casce ['kaʃʃe], mentre "mestoli" sarebbe - sempre del tutto regolarmente - casse ['kasse]<['kaʦʦe].
Il termine italiano corrispondente - per quanto, indubbiamente, volgare - risulta di uso assai frequente (e si può anche ascoltare in pronunce italiane impeccabili), ed è particolarmente usato da parte di persone molto giovani, che intendono apparire spigliate, incuranti dei tabù verbali propri di un'educazione tradizionale.
Si tratta, per altro, di un'oscenità da bimbi della scuola materna, che l'autore del Dizionario avrebbe potuto verificare agevolmente, anche soltanto confrontandosi, all'epoca, coi bidelli presenti nella guardiola dell'Istituto in cui insegnava.
Ma sapere di non sapere è un dono del Cielo riservato a pochi.
Si sarebbero potute evitare tante stupidaggini - profuse nel Dizionario e altrove - che lasciano sempre l'amaro in bocca a chi legge.
Ed evitare interpretazioni sempre "seriose" - come pure gli accademici dell'epoca intendevano apparire ("Genova, la città del porto, del lavoro ...") - sorde - come pure gli accademici dell'epoca erano "sordi" - all'arguzia, alla malizia e alla malignità della secolare espressione popolare.
P.S.: il ramaiolo è la cassa ræa ['kassa 'rɛ:a]<['kaʦʦa 'rɛ:ŕa]. Infatti, a causa dei fori, il materiale risulta topologicamente discontinuo, "rado". Il che ci conferma che l'esito italiano "rado" altro non è se non una dissimilazione di rārŭ(m) che il genovese non può aver subito in quanto l'antico ræŕu ['rɛ:ŕu] (oggi ræu ['rɛ:u]) deriva direttamente dall'etimo latino e non subì dissimilazione.
Non vorrei sbagliare, ma credo che /-zˈʤ-/ non si trovi né tra le parole di tradizione ininterrotta né nei forestierismi acclimati (non composti). Lo stesso si può dire di /-sʧ-/, che si trova solo nella pronuncia settentrionale di scervellare. Del resto, nelle parlate dell’Alta Italia, o almeno in veneto, le sequenze /-zˈʤ-/ e /-sʧ-/ sono comunissime, es. sciapare (‹fendere, tagliare; tagliare la legna con l’accetta›), desgiazare (‹sciogliere il ghiaccio›), ecc.
Verissimo. Confermo per Genova - e per la Liguria, in generale - quale unica la pronuncia s-cervellare. Docenti di ogni ordine e grado correggono - irriflessivamente - la pronuncia caratterizzata da [ʃ-] ... Se mai qualcuno osasse ...
Valgono anche - in generale - le osservazioni successive. Che possono, per altro, assumere diatopicamente connotati fonetici specifici. Nelle parlate di tipo genovese, collo stesso significato, per s-ciapare si ha la voce verbale sc-ciapâ [ʃʧa'pa:], mentre alla seconda voce riferita corrisponde dezgiasâ [ˌdezʤa'sa:]<[ˌdeʒʤa'ʦa:], mentre [ˌdɛ:rʤa'ʦa:] era la "soluzione" antica (riscontrabile, ora, solamente in aree di linguaggio arcaico) adottata al fine di evitare il nesso [-ʒʤ-].
A proposito di "schiappe" - le scheggie risultanti dal taglio della legna o di oggetti di legno - approfitto per emendare le sciocchezze che scrive l'autore nel Dizionario dei cognomi italiani - E. De Felice - in riferimento al cognome locale Schiappacasse.
L'autore, infatti, scrive: ... riflette un soprannome o nome di mestiere (come lavoro portuale) formato da "schiappa-" italianizzazione ... dal verbo ... "spaccare, aprire spaccando o schiodando" e "casse", cioè "che spacca, che apre le casse". .
Ho omesso il riferimento diretto al verbo genovese, già sopra riportato in forma corretta. Anche per non sprecare inchiostro per chiarire perché la forma citata dal De Felice risulti sbagliata.
A parte il fatto che le merci trasportate non erano contenute in casse, se non quelle particolarmente preziose - o i contanti - e che nessun onesto lavoratore portuale avrebbe mai spaccato alcunché, men che meno le casse, per le quali - come oggi - esistevano le chiavi relative - oltre al fatto che sc-ciapâ [ʃʧa'pa:] non significa affatto schiodare e che l'azione designata dal verbo risulta aliena a qualsiasi onesto lavoratore (portuale o meno) ed è tipica di un malfattore (si tratterebbe di un'azione criminale) -, il cognome ha un'origine fondata su un comportamento infinitamente meno grave, per quanto denotato come molesto, noioso.
Non certamente un'attività lavorativa.
Bensì una condotta - manifestabile anche in ambiti lavorativi (eccome! e talora difficilmente tollerabile)-, ma certamente non passibile di condanne morali o di denunce penali.
Nei dialetti liguri cassa ['kassa]<['kaʦʦa] è il mestolo. Fino a poco tempo fa soltanto di legno. Al quale qui si fa ricorso in senso scherzoso, osceno. L'espressione oscena, ormai, è ricordata soltanto dai vecchi, perché lo Zeigeist attuale accetta - forse, talora ricerca - l'oscenità, ma rifugge da un'autentica dialettalità, avvertita quale vero tabù.
Nei dialetti liguri, infatti, la "cassa" non è cassa, bensì cascia ['kaʃʃa]. Al plurale, regolarmente, casce ['kaʃʃe], mentre "mestoli" sarebbe - sempre del tutto regolarmente - casse ['kasse]<['kaʦʦe].
Il termine italiano corrispondente - per quanto, indubbiamente, volgare - risulta di uso assai frequente (e si può anche ascoltare in pronunce italiane impeccabili), ed è particolarmente usato da parte di persone molto giovani, che intendono apparire spigliate, incuranti dei tabù verbali propri di un'educazione tradizionale.
Si tratta, per altro, di un'oscenità da bimbi della scuola materna, che l'autore del Dizionario avrebbe potuto verificare agevolmente, anche soltanto confrontandosi, all'epoca, coi bidelli presenti nella guardiola dell'Istituto in cui insegnava.
Ma sapere di non sapere è un dono del Cielo riservato a pochi.
Si sarebbero potute evitare tante stupidaggini - profuse nel Dizionario e altrove - che lasciano sempre l'amaro in bocca a chi legge.
Ed evitare interpretazioni sempre "seriose" - come pure gli accademici dell'epoca intendevano apparire ("Genova, la città del porto, del lavoro ...") - sorde - come pure gli accademici dell'epoca erano "sordi" - all'arguzia, alla malizia e alla malignità della secolare espressione popolare.
P.S.: il ramaiolo è la cassa ræa ['kassa 'rɛ:a]<['kaʦʦa 'rɛ:ŕa]. Infatti, a causa dei fori, il materiale risulta topologicamente discontinuo, "rado". Il che ci conferma che l'esito italiano "rado" altro non è se non una dissimilazione di rārŭ(m) che il genovese non può aver subito in quanto l'antico ræŕu ['rɛ:ŕu] (oggi ræu ['rɛ:u]) deriva direttamente dall'etimo latino e non subì dissimilazione.