Re: [LIJ] «Schiappacasse»
Inviato: mar, 27 ago 2019 16:14
Se qualcuno avesse seguito il filone, s'era rimasti al fatto che le trascrizioni degli studiosi teutonici riscontrabili nell'atlante linguistico AIS (Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz) - almeno per quanto concerne la Liguria - non riportano correttamente le consonanti geminate.
Neppure laddove esse risultano ancora presenti.
Ma le consonanti geminate esistono ancora in quasi tutta la Liguria.
Certo, soltanto dopo la sillaba accentata. Se preaccentuali non vengono pronunciate come tali. Come pure avviene anche negli altri dialetti settentrionali. La differenza tra questi e le varietà linguistiche di tipo genovese consiste nel fatto che nei dialetti settentrionali non liguri la geminazione consonantica non si manifesta neppure dopo la sillaba accentata. Cioè: consonanti geminate non ce ne sono proprio. Tranne sporadiche eccezioni dovute a parlate isolate, che hanno conservato strutture linguistiche arcaiche.
In Liguria risulta davvero privo di geminazione consonantica il dialetto - ormai, quasi non più parlato - della Spezia, ma è molto interessante il fatto che nella "zona di transizione" rispetto ai dialetti di matrice genovese - che si trovano a occidente -, la quale include le Cinque terre e il relativo entroterra, non si assiste a un progressivo indebolimento della geminazione in modo indifferenziato. Intendo dire che - in funzione delle località prese in considerazione - alcuni fonemi mantengono ancora la possibilità di essere geminati, mentre altri hanno già perduto questa possibilità di variazione.
Nell'ambito dei dialetti intemeli la scena linguistica è ancora diversa. Non esiste - come spesso viene riferito erroneamente - una totale e indifferenziata assenza di geminazione - come, invece, si può riscontrare nello spezzino urbano -, dal momento che, anche a Ventimiglia (situata sul confine linguistico), esistono fonemi che si possono tranquillamente ascoltare quali geminati.
L'intensità - cioè la misura - della geminazione non sarà la stessa della corrispondente geminazione fiorentina o genovese (assai simile a quella fiorentina nella pronuncia genuina [nessuno, ad es., in una registrazione priva di "contesto" riuscirebbe a distinguere un "sette" del dialetto genovese dalla voce corrispondente dell'italiano di Firenze in base a differenze di geminazione, né in una registrazione delle rispettive pronunce della voce "sacchi" ecc.. - infatti, si hanno ['sɛtte] e ['sakki] ecc. tanto in fiorentino quanto in genovese *-]), ma rimane, comunque, tale da risultare contrastiva nei confronti di altri fonemi che - a Ventimiglia, ad es. - non possiedono, ormai, più questa caratteristica "variazionale".
Ciò che può "divertire" o stupire è che gli stessi appassionati del dialetto (attribuire loro il titolo di "studiosi" risulterebbe eccessivo) - quando ancora essi lo possedevano quale strumento effettivo di comunicazione e non soltanto di "commemorazione ex post" - non se ne rendessero assolutamente conto.
Ne è prova il fatto che molti di essi - tra gli altri il farmacista Azaretti, ad es., - affidarono alla carta stampata la conclusione - errata - di una totale degeminazione consonantica. E non solamente per il "ventimigliese", ma anche per il dialetto di Genova!!!
Infatti, l'Azaretti - nel suo testo intitolato "L'evoluzione dei dialetti liguri" - scrisse - alle pagg. 24,25 - : " ... malgrado l'intervenuta degeminazione delle consonanti (in realtà, mai completatasi neppure nel suo proprio dialetto), si continua, nella grafia dialettale genovese, a segnare una inesistente consonante doppia per indicare la brevità della vocale tonica (in realtà, non si tratta di tono, ma d'accento, per quanto il termine "tono" risulti, ormai, invalso nell'uso) che la precede: gallu, uxellu, mille, bucca ecc..".
Quindi, la consonante grafica doppia della grafia genovese - diversamente da come erroneamente scrive l'Azaretti - indica un'effettiva consonante geminata (non certo "inesistente" come riferisce l'autore), mentre la brevità del fonema vocalico precedente è, banalmente, una conseguenza della reale geminazione consonantica genovese, cioè della chiusura della sillaba, esattamente come si verifica anche nella pronuncia della lingua italiana.
Ovviamente, quanto scritto - troppo dogmaticamente - dall'Azaretti, per quanto concerne il genovese, è contraddetto dalla realtà. Infatti, le rispettive pronunce risultano: ['gallu], ['mille], ['bukka] ecc.. Esattamente come nelle corrispondenti voci fiorentine - ['gallo], ['mille], ['bokka] ecc.. ed esattamente come nelle corrispettive voci fiorentine si hanno vocali accentate "più brevi" rispetto, ad es., a ['ga:la] proprio a motivo della chiusura delle sillabe colpite da accento (dovuta alla geminazione consonantica).
La voce uxellu risulta un ἅπαξ (λεγόμενον) in genovese o - se si preferisce essere meno diplomatici ed eleganti - un errore marchiano. Bastava che l'autore consultasse qualsiasi lessico del genovese. La voce, in realtà, è ōxellu [ˌɔ:'ʒellu] = uccello - il "macron" sull'o indica la quantità lunga di vocale - aperta - caratterizzata dall'accento secondario (e, in questo caso, in genovese, non c'è alcuna degeminazione consonantica preaccentuale. E' il fiorentino a presentare geminazione anetimologica. Etimologicamente, infatti, si parte da "av(i)cellu(m)">"aucellu" e la transizione evolutiva genovese risulta perfettamente regolare) -.
E non certamente il mai esistito uxellu - indicato erroneamente dall'Azaretti - che varrebbe - se fosse esistito - [u'ʒellu], ma che, per altro, risulta impossibile per la fonologia genovese!
Quindi, la presunta generalizzazione della perdita della geminazione consonantica "proclamata" dall'Azaretti risulta una sciocchezza e quanto da lui riferito del genovese dimostra che - sotto l'aspetto lessicale, ma (soprattutto) fonetico e fonologico - l'Azaretti il genovese non lo conosceva e non lo "comprendeva" nella sua vera essenza strutturale.
E, inoltre, l'Azaretti non riusciva neppure ad avere consapevolezza della varietà dialettale che, pure, parlava.
Chi può dircelo - l'autore è, ormai, defunto -? e come si può dimostrare inequivocabilmente?
Banalissimamente ce lo dicono le sue registrazioni affidate alla rete - e, se pure si trattasse di un Emilio Azaretti omonimo dell'autore, nulla cambierebbe perché si tratterebbe (pur sempre) della stessa parlata -.
Dalle registrazioni si evince - assai banalmente - che, ad es., fonemi - quale, ad es., [k] - possono essere geminati, mentre altri - ad es., [l] - non si riscontrano mai come tali **.
Cose analoghe si possono evincere anche dalle registrazioni di Soldano - non lontano da Ventimiglia - rese disponibili in rete. Alcuni fonemi risultano tuttora geminabili ecc..
Quindi, non siamo assolutamente nelle condizioni dello spezzino urbano che - agli estremi opposti della regione linguistica - ha, ormai, perduto la possibilità della variabilità della durata consonantica. Molto probabilmente, se l'evoluzione dei dialetti intemeli fosse potuta continuare, anch'essi avrebbero perduto la caratteristica oppositiva della durata consonantica, ma l'evidenza ci mostra che la perdita non è avvenuta in modo sincronico per tutti i fonemi dell'inventario di queste parlate e che alcuni di essi possono ancora oggi essere pronunciati geminati. Detto altrimenti, i dialetti intemeli usciranno dal percorso evolutivo - ormai, non esiste più trasmisssione transgenerazionale - senza aver raggiunto il punto d'arrivo di una completa degeminazione consonantica per tutti i fonemi del loro inventario a differenza di quanto s'è già verificato per il dialetto spezzino urbano.
Insomma, la realtà risulta assai più complessa e affascinante di quanto i dogmi e gli adoratori dei dogmi - inclini a evitarsi la fatica del poter ricercare e del dover pensare anziché proporre e seguire squadrati semplicismi - ci lascino intendere.
* Dato che rappresenta un'eccezione nel contesto dei dialetti settentrionali italiani.
Basti pensare alle corrispondenti voci dei dialetti veneti, effettivamente prive di geminazione, dal momento che, in questi casi - nel Veneto linguistico -, non è intervenuta apocope.
** Ma ad avere la possibilità di essere geminato - o, quanto meno, "allungato" - non si tratta solo del fonema [k], ma anche di altri. Infatti, nella registrazione di Emilio Azaretti che descrive il corpo umano, si possono ascoltare - assai chiaramente - voci derivate da forme originariamente geminate quali ['tɔkki] = pezzi, ma anche ['ɔssu] = osso, ['brassi] = braccia, ['bassa] = bassa, ['grɔssu] = grosso e pure ['køʃʃa] = coscia - o, se si preferisce,['tɔk:i] ecc.. Mentre nel caso del fonema [l], anche se la voce originaria risultava geminata, la degeminazione risulta davvero avvenuta e, infatti, si ha, ad es., ['kɔlu] = collo, cioè né ['kɔllu] né ['kɔl:u] (mentre nei dialetti di tipo genovese si ha l'esito ['kɔllu], direttamente confrontabile colla forma fiorentina/italiana). Ciò conferma che la degeminazione non è intervenuta nel ventimigliese per tutti i fonemi.
Risulta, per altro, interessante il fatto che, quando Emilio Azaretti "proclama" un'inesistente degeminazione ventimigliese indiscriminata - cioè relativa a qualsiasi fonema dell'inventario dialettale - si avvale - a pag. 25 del volume sopra citato - di esempi caratterizzati dal fonema [l] quali ['galu] =gallo, [au'ʒelu] = uccello e ['mile] = mille (rispettivamente, in genovese, ['gallu],[ˌɔ:'ʒellu] - semplicemente perché il dittongo [ˌau] si chiuse in [ˌɔ:] - e ['mille]), ma anche di "buca" - così scrive l'Autore -. Se, quindi, quest'ultimo era in buona fede, non si rendeva nemmeno conto di come egli stesso parlasse, dal momento che nella registrazione della sua stessa voce si può percepire nitidamente ['bukka] = bocca. Prova evidente che le sorti evolutive di ['-ll-] e ['-kk-] originariamente geminati non possono essere ritenute sincroniche nella parlata di Ventimiglia. Il fonema ['-ll-] dette ['-l-], mentre ['-kk-] rimase tale. Cioè la degeminazione - a tutt'oggi - non può essere ritenuta generalizzata.
P.S.: non basta saper parlare un determinato dialetto per poterne diffondere informazioni scientificamente valide e che reggano - nell'epoca della "rete" - l'assenza di contraddizione colla propria voce registrata. Saggia risulta tuttora l'indicazione agli umani del divino Apollo - γνῶθι σαυτόν -.
Neppure laddove esse risultano ancora presenti.
Ma le consonanti geminate esistono ancora in quasi tutta la Liguria.
Certo, soltanto dopo la sillaba accentata. Se preaccentuali non vengono pronunciate come tali. Come pure avviene anche negli altri dialetti settentrionali. La differenza tra questi e le varietà linguistiche di tipo genovese consiste nel fatto che nei dialetti settentrionali non liguri la geminazione consonantica non si manifesta neppure dopo la sillaba accentata. Cioè: consonanti geminate non ce ne sono proprio. Tranne sporadiche eccezioni dovute a parlate isolate, che hanno conservato strutture linguistiche arcaiche.
In Liguria risulta davvero privo di geminazione consonantica il dialetto - ormai, quasi non più parlato - della Spezia, ma è molto interessante il fatto che nella "zona di transizione" rispetto ai dialetti di matrice genovese - che si trovano a occidente -, la quale include le Cinque terre e il relativo entroterra, non si assiste a un progressivo indebolimento della geminazione in modo indifferenziato. Intendo dire che - in funzione delle località prese in considerazione - alcuni fonemi mantengono ancora la possibilità di essere geminati, mentre altri hanno già perduto questa possibilità di variazione.
Nell'ambito dei dialetti intemeli la scena linguistica è ancora diversa. Non esiste - come spesso viene riferito erroneamente - una totale e indifferenziata assenza di geminazione - come, invece, si può riscontrare nello spezzino urbano -, dal momento che, anche a Ventimiglia (situata sul confine linguistico), esistono fonemi che si possono tranquillamente ascoltare quali geminati.
L'intensità - cioè la misura - della geminazione non sarà la stessa della corrispondente geminazione fiorentina o genovese (assai simile a quella fiorentina nella pronuncia genuina [nessuno, ad es., in una registrazione priva di "contesto" riuscirebbe a distinguere un "sette" del dialetto genovese dalla voce corrispondente dell'italiano di Firenze in base a differenze di geminazione, né in una registrazione delle rispettive pronunce della voce "sacchi" ecc.. - infatti, si hanno ['sɛtte] e ['sakki] ecc. tanto in fiorentino quanto in genovese *-]), ma rimane, comunque, tale da risultare contrastiva nei confronti di altri fonemi che - a Ventimiglia, ad es. - non possiedono, ormai, più questa caratteristica "variazionale".
Ciò che può "divertire" o stupire è che gli stessi appassionati del dialetto (attribuire loro il titolo di "studiosi" risulterebbe eccessivo) - quando ancora essi lo possedevano quale strumento effettivo di comunicazione e non soltanto di "commemorazione ex post" - non se ne rendessero assolutamente conto.
Ne è prova il fatto che molti di essi - tra gli altri il farmacista Azaretti, ad es., - affidarono alla carta stampata la conclusione - errata - di una totale degeminazione consonantica. E non solamente per il "ventimigliese", ma anche per il dialetto di Genova!!!
Infatti, l'Azaretti - nel suo testo intitolato "L'evoluzione dei dialetti liguri" - scrisse - alle pagg. 24,25 - : " ... malgrado l'intervenuta degeminazione delle consonanti (in realtà, mai completatasi neppure nel suo proprio dialetto), si continua, nella grafia dialettale genovese, a segnare una inesistente consonante doppia per indicare la brevità della vocale tonica (in realtà, non si tratta di tono, ma d'accento, per quanto il termine "tono" risulti, ormai, invalso nell'uso) che la precede: gallu, uxellu, mille, bucca ecc..".
Quindi, la consonante grafica doppia della grafia genovese - diversamente da come erroneamente scrive l'Azaretti - indica un'effettiva consonante geminata (non certo "inesistente" come riferisce l'autore), mentre la brevità del fonema vocalico precedente è, banalmente, una conseguenza della reale geminazione consonantica genovese, cioè della chiusura della sillaba, esattamente come si verifica anche nella pronuncia della lingua italiana.
Ovviamente, quanto scritto - troppo dogmaticamente - dall'Azaretti, per quanto concerne il genovese, è contraddetto dalla realtà. Infatti, le rispettive pronunce risultano: ['gallu], ['mille], ['bukka] ecc.. Esattamente come nelle corrispondenti voci fiorentine - ['gallo], ['mille], ['bokka] ecc.. ed esattamente come nelle corrispettive voci fiorentine si hanno vocali accentate "più brevi" rispetto, ad es., a ['ga:la] proprio a motivo della chiusura delle sillabe colpite da accento (dovuta alla geminazione consonantica).
La voce uxellu risulta un ἅπαξ (λεγόμενον) in genovese o - se si preferisce essere meno diplomatici ed eleganti - un errore marchiano. Bastava che l'autore consultasse qualsiasi lessico del genovese. La voce, in realtà, è ōxellu [ˌɔ:'ʒellu] = uccello - il "macron" sull'o indica la quantità lunga di vocale - aperta - caratterizzata dall'accento secondario (e, in questo caso, in genovese, non c'è alcuna degeminazione consonantica preaccentuale. E' il fiorentino a presentare geminazione anetimologica. Etimologicamente, infatti, si parte da "av(i)cellu(m)">"aucellu" e la transizione evolutiva genovese risulta perfettamente regolare) -.
E non certamente il mai esistito uxellu - indicato erroneamente dall'Azaretti - che varrebbe - se fosse esistito - [u'ʒellu], ma che, per altro, risulta impossibile per la fonologia genovese!
Quindi, la presunta generalizzazione della perdita della geminazione consonantica "proclamata" dall'Azaretti risulta una sciocchezza e quanto da lui riferito del genovese dimostra che - sotto l'aspetto lessicale, ma (soprattutto) fonetico e fonologico - l'Azaretti il genovese non lo conosceva e non lo "comprendeva" nella sua vera essenza strutturale.
E, inoltre, l'Azaretti non riusciva neppure ad avere consapevolezza della varietà dialettale che, pure, parlava.
Chi può dircelo - l'autore è, ormai, defunto -? e come si può dimostrare inequivocabilmente?
Banalissimamente ce lo dicono le sue registrazioni affidate alla rete - e, se pure si trattasse di un Emilio Azaretti omonimo dell'autore, nulla cambierebbe perché si tratterebbe (pur sempre) della stessa parlata -.
Dalle registrazioni si evince - assai banalmente - che, ad es., fonemi - quale, ad es., [k] - possono essere geminati, mentre altri - ad es., [l] - non si riscontrano mai come tali **.
Cose analoghe si possono evincere anche dalle registrazioni di Soldano - non lontano da Ventimiglia - rese disponibili in rete. Alcuni fonemi risultano tuttora geminabili ecc..
Quindi, non siamo assolutamente nelle condizioni dello spezzino urbano che - agli estremi opposti della regione linguistica - ha, ormai, perduto la possibilità della variabilità della durata consonantica. Molto probabilmente, se l'evoluzione dei dialetti intemeli fosse potuta continuare, anch'essi avrebbero perduto la caratteristica oppositiva della durata consonantica, ma l'evidenza ci mostra che la perdita non è avvenuta in modo sincronico per tutti i fonemi dell'inventario di queste parlate e che alcuni di essi possono ancora oggi essere pronunciati geminati. Detto altrimenti, i dialetti intemeli usciranno dal percorso evolutivo - ormai, non esiste più trasmisssione transgenerazionale - senza aver raggiunto il punto d'arrivo di una completa degeminazione consonantica per tutti i fonemi del loro inventario a differenza di quanto s'è già verificato per il dialetto spezzino urbano.
Insomma, la realtà risulta assai più complessa e affascinante di quanto i dogmi e gli adoratori dei dogmi - inclini a evitarsi la fatica del poter ricercare e del dover pensare anziché proporre e seguire squadrati semplicismi - ci lascino intendere.
* Dato che rappresenta un'eccezione nel contesto dei dialetti settentrionali italiani.
Basti pensare alle corrispondenti voci dei dialetti veneti, effettivamente prive di geminazione, dal momento che, in questi casi - nel Veneto linguistico -, non è intervenuta apocope.
** Ma ad avere la possibilità di essere geminato - o, quanto meno, "allungato" - non si tratta solo del fonema [k], ma anche di altri. Infatti, nella registrazione di Emilio Azaretti che descrive il corpo umano, si possono ascoltare - assai chiaramente - voci derivate da forme originariamente geminate quali ['tɔkki] = pezzi, ma anche ['ɔssu] = osso, ['brassi] = braccia, ['bassa] = bassa, ['grɔssu] = grosso e pure ['køʃʃa] = coscia - o, se si preferisce,['tɔk:i] ecc.. Mentre nel caso del fonema [l], anche se la voce originaria risultava geminata, la degeminazione risulta davvero avvenuta e, infatti, si ha, ad es., ['kɔlu] = collo, cioè né ['kɔllu] né ['kɔl:u] (mentre nei dialetti di tipo genovese si ha l'esito ['kɔllu], direttamente confrontabile colla forma fiorentina/italiana). Ciò conferma che la degeminazione non è intervenuta nel ventimigliese per tutti i fonemi.
Risulta, per altro, interessante il fatto che, quando Emilio Azaretti "proclama" un'inesistente degeminazione ventimigliese indiscriminata - cioè relativa a qualsiasi fonema dell'inventario dialettale - si avvale - a pag. 25 del volume sopra citato - di esempi caratterizzati dal fonema [l] quali ['galu] =gallo, [au'ʒelu] = uccello e ['mile] = mille (rispettivamente, in genovese, ['gallu],[ˌɔ:'ʒellu] - semplicemente perché il dittongo [ˌau] si chiuse in [ˌɔ:] - e ['mille]), ma anche di "buca" - così scrive l'Autore -. Se, quindi, quest'ultimo era in buona fede, non si rendeva nemmeno conto di come egli stesso parlasse, dal momento che nella registrazione della sua stessa voce si può percepire nitidamente ['bukka] = bocca. Prova evidente che le sorti evolutive di ['-ll-] e ['-kk-] originariamente geminati non possono essere ritenute sincroniche nella parlata di Ventimiglia. Il fonema ['-ll-] dette ['-l-], mentre ['-kk-] rimase tale. Cioè la degeminazione - a tutt'oggi - non può essere ritenuta generalizzata.
P.S.: non basta saper parlare un determinato dialetto per poterne diffondere informazioni scientificamente valide e che reggano - nell'epoca della "rete" - l'assenza di contraddizione colla propria voce registrata. Saggia risulta tuttora l'indicazione agli umani del divino Apollo - γνῶθι σαυτόν -.