Semivocali e allofonia

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Semivocali e allofonia

Intervento di Ligure »

Infarinato ha scritto: ven, 28 ago 2015 13:31
Ferdinand Bardamu ha scritto:[N]on contestiamo che questo sia un uso consolidato e degno di nota, ma che sia buono e consigliabile, sulla base di ragioni inoppugnabili: inutilità, contrasto con la tradizione, ricupero non debitamente giustificato di forme antiche (nel caso di ne La, de I, ecc. ma non di *de Il e *ne Il), artificiosità della pronuncia.
Vorrei ribadire una cosa a scanso di equivoci: a differenza delle scrizioni de la, de lo, de i, de gli etc., che mostrano tutte le pecche ottimamente riassunte da Ferdinand (ma che non si possono dire propriamente «errate»), sequenze quali *de il, *ne il sono «assurde», per dirla col DOP, non solo perché non hanno alcuna giustificazione né storica né morfologica, ma anche perché sono intimamente antitaliane, presentando un dittongo [«discendente»] uscente in /i/ in posizione non finale (e perdipiú atona), che il fiorentino ha abolito fin da epoca antica, e di fatto ponendo queste parole del lessico fondamentale sullo stesso piano di esotismi o dialettalismi quali baita, leida, maira/meira etc.
Pur risultandomi chiarissimo il contenuto fondamentale, che non posso non condividere - ad es., "de + il" non è in alcun modo "più corretto" di "del", anzi è "antistorico" semplicemente perché contraddice l'evoluzione attestata della lingua italiana -, prendo soltanto spunto da questo magistrale intervento per una domanda che è sorta in me leggendo il testo accessibile dal collegamento, nel quale si parla di "semivocali" relativamente ai dittonghi tradizionalmente designati quali discendenti e si definisce "allofonica" - in questi casi - la pronuncia della seconda delle due vocali in dittongo - "i" o "u" -. In che cosa esattamente consiste questa "allofonia"? Noto, inoltre, che il Canepari - nel suo "Manuale di fonetica" - rifiuta il termine "semivocale" e, quando - pag. 127 - intende dare una definizione di dittongo per la lingua italiana, scrive: "Tali sequenze (i dittonghi) si formano semplicemente combinando i vari fonemi vocalici, con le loro normali realizzazioni ...". Infatti, ad es., il Canepari non usa nessun diacritico - in nessun tipo di trascrizione - per distinguere l'allofonia della semivocale. L'i di mio ['mi.o] - dittongo - viene trascritta esattamente come nel caso di mai ['ma.i] - dittongo "tradizionalmente" ritenuto "discendente" (a parte il fatto che, nel "quadrilatero vocalico", il timbro s'alza!) -. Grazie
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Re: Semivocali e allofonia

Intervento di Infarinato »

Ligure ha scritto: sab, 14 dic 2019 15:44 …[P]rendo soltanto spunto da questo magistrale intervento per una domanda che è sorta in me leggendo il testo accessibile dal collegamento, nel quale si parla di "semivocali" relativamente ai dittonghi tradizionalmente designati quali discendenti e si definisce "allofonica" - in questi casi - la pronuncia della seconda delle due vocali in dittongo - "i" o "u" -. In che cosa esattamente consiste questa "allofonia"? Noto, inoltre, che il Canepari - nel suo "Manuale di fonetica" - rifiuta il termine "semivocale" e, quando - pag. 127 - intende dare una definizione di dittongo per la lingua italiana, scrive: "Tali sequenze (i dittonghi) si formano semplicemente combinando i vari fonemi vocalici, con le loro normali realizzazioni ...".
Grazie, caro Ligure. In realtà, io non ci leggerei nulla di particolarmente «rivoluzionario» in tutto ciò. :)

Il Larson, allievo del Castellani, usa una terminologia piú tradizionale: del resto, il pur grandissimo e precisissimo «LuCa» usa termini quali vocoide e contoide, per i quali riceve la (giusta) bacchettata dell’immenso Arrigo.

«Semivocale» per il Larson (ma anche, ad esempio, per il Serianni) è semplicemente una vocale asillabica (cioè una vocale che non funziona come centro di sillaba), come la [u] di flauto o la [i] di daino. Per rendere esplicito questo loro statuto di asillabicità, si usa talvolta indicarle con [u̯] e [i̯], rispettivamente. Sempre secondo questa terminologia, le approssimanti (anche questo, termine inviso al Castellani) [j] e [w] sarebbero invece delle «semiconsonanti».

Ora, mentre quasi tutt’i fonetisti concordano sul fatto che, in italiano, i foni [i̯] e [u̯] appartengano ai fonemi /i/ e /u/, rispettivamente, [j] e [w] avrebbero invece statuto fonematico indipendente (/j w/), sebbene le coppie unidivergenti con /i u/ siano davvero poche e parzialmente artificiose. In questo quadro, Larson argomenta abbastanza persuasivamente che in «italiano antico» (cioè nel fiorentino dugentesco) [w] sarebbe invece un semplice allofono, esistendo «solo come parte delle labiovelari /kʷ/ o /gʷ/ oppure, appunto, del dittongo /wɔ/».

Quindi, tornando a bomba, i foni [i̯] e [u̯] sono «allofoni» di /i/ e /u/, non tanto perché siano realmente [= foneticamente] diversi dall’[i] di pista o dall’[u] di busta, ma perché si oppongono (in ispecifici contesti) a /j/ e /w/, rispettivamente.
Ligure
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Re: Semivocali e allofonia

Intervento di Ligure »

La ringrazio davvero, caro Infarinato, per il vivido "affresco" con cui
ha sapientemente lumeggiato le rispettive posizioni e i vari contributi
espressi dai "sommi", ché, a leggere gl'italianisti della "divulgazione",
si rischia di sprecare il proprio tempo e confondere le proprie idee.

La domanda, sorta dalla lettura del testo del Larson, che chiarisce
indubitabilmente come, ad es., il fiorentino abbia abolito, fin da
epoca antica, i dittonghi «discendenti» uscenti in /i/ anche in
posizione accentata (preite>prete) in corpo di parola - ma non, ad es.,
in "mai" o "assai", che potevano essere seguiti da pausa -, era dovuta
al fatto che l'insistenza del testo sul concetto di pronuncia allofonica
fa pensare al lettore che, all'epoca, dato che non s'è conservata, l'/i/
di "preite" o della preposizione articolata "dei" - come, ad es., in
"Lorenzo de' Medici" - potesse non giungere completamente al preciso
punto d'articolazione che si riscontra, ad es., nell'/i/ della voce "pino".

Cioè come se il ricorso al concetto d'allofonia - nel Larson - fosse
di tipo esplicativo relativamente all'articolazione dei suoni all'epoca
in cui i processi d'evoluzione linguistica da lui riferiti si sono verificati.
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Re: Semivocali e allofonia

Intervento di Graffiacane »

Buongiorno a tutti,
faccio il mio ingresso nel foro riaprendo il filone per un chiarimento: per quali ragioni il termine approssimante sarebbe, secondo Arrigo Castellani, inadeguato? tale inadeguatezza riguarda solo le semiconsonanti o interessa anche nasali, liquide e vibranti (che se non erro sono anch'esse, a rigore, approssimanti)? infine, qual è l'alternativa terminologica proposta da Castellani?
Grazie.
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Re: Semivocali e allofonia

Intervento di Carnby »

Infarinato ha scritto: sab, 14 dic 2019 20:26Larson argomenta abbastanza persuasivamente che in «italiano antico» (cioè nel fiorentino dugentesco) [w] sarebbe invece un semplice allofono, esistendo «solo come parte delle labiovelari /kʷ/ o /gʷ/ oppure, appunto, del dittongo /wɔ/».
E, aggiungerei io, dell’italiano di base toscana senz’aggettivi (stavo per iscrivere tout court), anche se nel toscano odierno /wɔ/ passa sistematicamente a /ɔ/ (tranne alcune zone particolarmente conservative).
Infarinato ha scritto: sab, 14 dic 2019 20:26 Quindi, tornando a bomba, i foni [i̯] e [u̯] sono «allofoni» di /i/ e /u/, non tanto perché siano realmente [= foneticamente] diversi dall’[i] di pista o dall’[u] di busta
Oppure, per quanto riguarda la presunta «semivocalità», da qualsiasi altra vocale in posizione posvocalica, «ïati» secondo la grammatica tradizionale.
Infarinato ha scritto: sab, 14 dic 2019 20:26 ma perché si oppongono (in ispecifici contesti) a /j/ e /w/, rispettivamente.
È questa una possibile ragione per cui in italiano antico e in altre lingue romanze [i̯] ha spesso un grafema particolare (⟨j⟩ o ⟨y⟩)?
Ultima modifica di Carnby in data dom, 01 ago 2021 20:19, modificato 1 volta in totale.
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Infarinato
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Re: Semivocali e allofonia

Intervento di Infarinato »

Graffiacane ha scritto: ven, 30 lug 2021 11:38 [P]er quali ragioni il termine approssimante sarebbe, secondo Arrigo Castellani, inadeguato? tale inadeguatezza riguarda solo le semiconsonanti o interessa anche nasali, liquide e vibranti (che se non erro sono anch'esse, a rigore, approssimanti)? infine, qual è l'alternativa terminologica proposta da Castellani?
Ecco qua:
Arrigo Castellani ha scritto: Nello stesso manuale s’incontra la parola approssimante: «Ci sono poi altri suoni, un po’ simili ai fricativi, ma nei quali la funzione è molto ridotta tanto che si può sentire, debole, solo nei suoni sordi perché in quelli sonori essa è coperta dal suono prodotto dalla vibrazione delle corde vocali. Si tratta degli approssimanti, come [j, w] in ieri e uomo (spesso chiamati anche semivocali o semiconsonanti per la loro somiglianza con i e u) o come la riduzione toscana degli occlusivi in la cupola [la ˈhuːφola], che tradizionalmente venivano considerati fricativi, solo perché non si distingueva tra fricativi e approssimanti (o continui non fricativi)» (p. 41) . Approssimante riproduce l’ingl. approximant ‘frictionless continuant’, termine che mi pare del tutto illogico. Leggiamo che cosa ne dice il Crystal nel suo First Dict. of Linguistics and Phonetics: «A general term used by some phoneticians in the classification of speech sounds on the basis of their manner of articulation, and corresponding to what in other approaches would be called frictionless continuants, i.e. [w], [j], [r], [l], and all vowels. The term is based on the articulation involved, in that one articulator approaches another, but the degree of narrowing involved does not produce audible friction […]». Ma i suoni continui nell’articolazione dei quali gli organi articolatòri s’avvicinano maggiormente l’uno all’altro sono appunto quelli che a causa della frizione prodotta dall’uscita dell'aria siamo soliti chiamare fricativi. Approximant è un caso di lucus a non lucendo. Meno prepostera, ma neanch’essa soddisfacente, la denominazione open approximant (cfr. Hartmann e Stork, op. cit. nella n. 1, s.v. frictionless continuant: «Some linguists prefer the term OPEN APPROXIMANT to refer to these sounds, referring to the fact that they are produced with open approximation of the articulators»). Se si sente il bisogno d’un termine per indicare insieme le vocali, le semivocali e le liquide, perché non usare il vecchio sonanti? Quanto alle varianti intervocaliche toscane di /k/, /t/, /p/, si potrà parlare di continue debolmente fricative.
(Arrigo Castellani, Terminologia linguistica, «SLI» X, 1984, 153–61, ora in Nuovi saggi di linguistica e filologia italiana e romanza [1976-2004], «Salerno Editrice», Roma 2010, vol. I., 5–13, pp. 9–10).

Aggiungo che il Muljačić nella bibbia della nostra fonologia (Fonologia della lingua italiana, «Il Mulino», Bologna 1972) usa per [j, w] il termine di legamenti.

Per finire, ricordo che il Castellani nel suo celeberrimo Fonotipi e fonemi dell’italiano («Studi di filol. it.» XIV, 1956, 435–53, ora in Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza [19461976], «Salerno Editrice», Roma 1980) usa la dizione [consonante] «sfumata (= ‘lievemente spirantizzata’)» per le realizzazioni meno marcate delle varianti intervocaliche toscane di /k/, /t/, /p/.
Graffiacane
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Re: Semivocali e allofonia

Intervento di Graffiacane »

Grazie delle cortesi risposte.
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