Per quanto, invece, attiene all'
isocronismo sillabico, generalmente considerato dagli studiosi tramite la regola fonologica in base alla quale "
le vocali - in fiorentino/italiano - possono essere lunghe solo nelle sillabe toniche aperte non finali", si può osservare che esiti quale, ad es., ['ait-to] per "alto" parrebbero non rispettarlo, pur non essendo ammessa da nessuno studioso la sua "violazione" nel fiorentino.
Di conseguenza ho intrapreso una ricerca in rete di repertori antichi di voci simili allo scopo di verificare l'attestazione e l'antichità del fenomeno linguistico manifestatosi in esiti quale ['aitto] per "alto".
Infatti, il Rohlfs riporta grafie quali
aittro per "altro",
caiddo per "caldo",
soiddo per "soldo" e
quaicche per "qualche" e cita
coippo per "colpo" relativamente al territorio del Mugello e per Montale (Pistoia).
Ma sull'impeccabilità delle grafie del Rohlfs - considerati certi "esiti" riportati nell'AIS - non metterei la mano sul fuoco, per quanto l'autore scriva esplicitamente: "
E' da notare il fatto che la consonante provoca contemporaneamente (per lo meno a Firenze, nei paesi del Mugello e a Pitigliano) l'allungamento della consonante seguente ... ".
D'altronde anche il Giannelli - che cita esplicitamente la forma ['aitto] per "alto" - ammette la "
doppia" (così s'esprime l'autore) facendo, per altro, a sua volta, riferimento al Rohls - e varrebbe, allora, quanto scritto -, ma, in realtà, anche a trascrizioni ottocentesche del "
fiorentino plebeo".
Inoltre, trattandosi di "relitti lessicali fossili" il ricorso "diretto" a informatori appare discutibile. Si tratta, prevalentemente, di riscontri di pronunce tutt'altro che spontanee e, spesso, fornite per "compiacere" chi le ricerca da parte di persone che, personalmente, non hanno mai pronunciato effettivamente le voci in questione, ma ebbero soltanto modo di poterle ascoltare passivamente tempo addietro da conoscenti o parenti, ormai, non più in vita.
Qualcosa, comunque, ho trovato. E di piuttosto antico. Riporto, ad es., un breve repertorio esplicativo risalente al 1614:
https://books.google.it/books?id=vBwXZe ... no&f=false
Nelle voci riferite -
faisa per "falsa",
ascoita/ascoitate per "ascolta/ascoltate" e
aitro/aitri per "altro/altri" di doppie grafiche - e, quindi, di geminazione? - non c'è traccia!
E' possibile che un autore che, evidentemente, conosceva approfonditamente la parlata locale - tanto da poter trattare anche dei suoi diversi registri comunicativi e analizzare aspetti così specifici come gl'idiotismi - s'ingannasse e segnalasse graficamente consonante semplice, se effettivamente vi fosse stata geminazione, in un'epoca in cui - evidentemente - il fenomeno linguistico, per quanto "stigmatizzato", risultava ancora diffuso e non facilmente "eliminabile" da parte dei parlanti appartenenti alle classi sociali più umili?
Quindi, se la trascrizione antica risulta attendibile, non vi sarebbe/sarebbe stata alcuna infrazione al vincolo dell'
isocronismo sillabico.
E per quale motivo "evolutivo" ciò che era foneticamente semplice - almeno, inizialmente - avrebbe dovuto fornire, successivamente, un esito geminato - come sembrerebbero attestare le grafie ottocentesche, se veritiere - che non rispetta l'
isocronismo sillabico?
O non potrebbero, invece, le grafie ottocentesche avere "indebitamente" - cioè per analogia non corrispondente alla concreta realtà fonetica - reso allo stesso modo "i'mmedico" - che, pur presentando effettiva geminazione, chiaramente non viola l'
isocronismo sillabico - e "aitto" - che, al contrario, nel 1614 si sarebbe pronunciato ['aito], non ['aitto] - ?
P.S.: casi come "aimmeno" per almeno non porrebbero, comunque, problema, perché - relativamente a questa voce - di altro non si tratta se non dell'attivazione dell'articolo
i' in "i'mmeno". Cioè di "a i'mmeno". Come si può tuttora ascoltare a Firenze in espressioni - sempre più "intenzionali" e sempre meno spontanee - del tipo "i'ppiù e i'mmeno".