«Cringe»

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Re: «Cringe»

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domna charola ha scritto: mer, 01 feb 2023 15:19
Fuori tema
12xu ha scritto: mer, 01 feb 2023 15:11 Ha ragione, avrei dovuto esprimermi meglio: intendo dire che matusa non indica specificatamente una persona con la visione del mondo di un baby boomer, quanto genericamente una persona anziana e retrograda. Un traducente per boomer può essere solo un termine sociologico indicante un membro della stessa generazione, e lì bisogna necessariamente coniarlo.
È tutto da dimostrare, però, che i ragazzini del giorno d'oggi che ci appellano come boomer si riferiscano esattamente al modo di pensare che può avere un individuo nato in quel particolare periodo e cresciuto negli anni successivi, e non a un generico modo di pensare superato; un uso con riferimento a una precisa generazione implica per lo meno che abbiano una buona conoscenza di storia contemporanea con approfondimenti di stampo sociologico, cosa che dubito così diffusa nella massa...
La ragion d'essere di «boomer» sta appunto nello scontro generazionale che, come parola, si porta dietro. Non c'è sicuramente una buona conoscenza di storia contemporanea, però c'è sicuramente la presunzione di averla: la maggior parte della cultura giovanile (mia inclusa) è costruita su micro-informazioni raccattate qui e lì che, una volta assemblate come pezzi di un giscio, danno una visione (distorta) di insieme; per cui i «boomer» sono visti come persone convinte di essere padroni del mondo, che hanno plasmato il mondo per i propri agi, privando le generazioni successive della sua bellezza e delle sue risorse. Ai «boomer» viene addossata la responsabilità di aver ammalato il pianeta Terra, di aver costruito città brutte, di aver privilegiato l'agio privato invece di incentivare quello pubblico. Come vede, questa è una questione generazionale, e un termine come «matusa» non può mai racchiudere tutto ciò perché troppo generico ed estemporaneo – oltre al fatto che è percepito come un termine da fricchettone degli anni Sessanta.
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Re: «Cringe»

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Fuori tema
Le sue osservazioni su boomer sono interessanti (però su certi punti credo che il suo giudizio sia troppo drastico, e vorrei dire la mia), ma inviterei a farle nel filone dedicato, per evitare di accrescere un fuori tema già piuttosto lungo. :)
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Re: «Cringe»

Intervento di Utente cancellato 676 »

Fuori tema
Ferdinand Bardamu ha scritto: mer, 01 feb 2023 15:40 Io l’aggiorno ogni tanto…
Chiaramente pensavo proprio a lei, quando ho scritto «ben pochi»: da gennaio 2021 gli unici che vi hanno messo mano siamo Infarinato, Andrea Scoppa, lei e io.
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Re: «Cringe»

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brg ha scritto: mer, 01 feb 2023 15:16 Sono d'accordo che "ribrezzo" sia la traduzione che meglio conserva il significato originale di "cringe". Tuttavia, come già fatto notare, la connotazione delle due parole è ora totalmente diversa. Mentre "ribrezzo" è un termine usato con parsimonia, specificatamente impiegato per esprimere una forte dose di disagio o disapprovazione, "cringe" è invece diventato parola alla moda del basso gergo iperbolico e conformista della rete. Se originariamente il cringe della rete era effettivamente ribrezzevole, ora certamente non lo è più ed è usato per indicare qualcosa di imbarazzante, o che si vuole far passare per imbarazzante senza neppure esserlo veramente. Insomma ha perso la sua specificità di significato: dire che è entrato nel vocabolario italiano (per modo di dire, il mio certamente non lo contempla) perché mancava un termine con quella sfumatura di significato è fuorviante.
La parola è entrata nel linguaggio quotidiano perché, agli inizi, esprimeva difatti un concetto assente in italiano: se dovessi chiederle «come si chiama quel sentimento che le fa fare una smorfia del genere, che non è lo schifo? E qual è il verbo significante l'atto di fare tale smorfia?», come mi risponderebbe?
brg ha scritto: mer, 01 feb 2023 15:16 Ormai il cringe non esprime nulla di specifico, se non la vicinanza ad una certa sottocultura, né in italiano, né nell'inglese volgare e distratto della rete e del linguaggio giovanile.
Si può tradurlo tranquillamente con "imbarazzante", "disagiante", "ribrezzevole", a seconda del contesto e della sensibilità del parlante, ma tuttavia nessuna traduzione può conservare l'unico elemento saliente espresso dalla parola "cringe", cioè il senso di appartenenza ad un certo mondo giovanilistico.
Su questo concordo in pieno, ma ritengo sia un risultato a posteriori. Se un vocabolo come "ribrezzare" fosse stato più conosciuto e usato, forse avrebbe avuto la stessa evoluzione di «cringe», e ci ritroveremmo con un anglismo in meno.
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Re: «Cringe»

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Ferdinand Bardamu ha scritto: mer, 01 feb 2023 15:40 Ma con boomer entriamo nel gergo puro e semplice: chi lo usa come epiteto lo fa per escludere gli altri e includere sé stesso nella cerchia dei «non boomer». Il medesimo si può dire di cringe.

Possiamo pure dir loro che cringe non è altro che imbarazzo —la definizione non mi convince che si tratti di qualcosa di diverso, e ribrezzo è piú vicino al disgusto che al disagio— oppure che un boomer è un vecchio (indipendentemente dall’età anagrafica): continueranno a usare i loro termini con pervicacia e ostinazione ancora maggiori di quelle di giornalisti, presentatori, ecc. perché fanno parte della loro identità in opposizione a tutte le altre.
Concordo in toto. Però se lo fanno è perché sentono la necessità di farlo, e se l'inglese è in grado di sopperire a questa necessità mentre l'italiano è più carente, è evidente ci sia un problema di approccio alla lingua. Se nella letteratura sociologica italiana ci fosse stata un traducente per «baby boomer», probabilmente i giovani avrebbero utilizzato tale parola invece di «boomer». O se in italiano ci fosse stato un vocabolo comunemente usato equivalente al «cringiare», che non sia il generico rabbrividire, avremmo avuto una parola italiana abusata dai giovani per indicare lo stesso concetto. Il problema della lingua italiana non è la mancanza di termini e sfumature varie, quanto l'appiattimento lessicale e la nolontà di coniare nuovi termini, o di rivitalizzare quelli desueti. Per cui, un'azione naturale e quotidiana come il grignare (che è a metà tra la smorfia e il digrignare i denti), viene descritta come "fare una smorfia di disgusto/imbarazzo" che sì, esprime lo stesso concetto, ma non ha lo stesso impatto espressivo, e sottrae molta potenzialità creativa della parola.
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Re: «Cringe»

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12xu ha scritto: mer, 01 feb 2023 19:37 La parola è entrata nel linguaggio quotidiano perché, agli inizi, esprimeva difatti un concetto assente in italiano: se dovessi chiederle «come si chiama quel sentimento che le fa fare una smorfia del genere, che non è lo schifo? E qual è il verbo significante l'atto di fare tale smorfia?», come mi risponderebbe?
Il sentimento secondo me è la repulsione, provocata da qualcosa di repellente, o ributtante, o ripugnante, non necessariamente in senso fisico e di schifo, ma comunque con un'intensità tale da sfiorare la sfera fisica. Il verbo relativo è "provare repulsione".

Il problema vero secondo me è a monte - e qui mi sa che mi ripeto - nella struttura stessa della lingua. In inglese c'è la tendenza a derivare i termini gli uni dagli altri direttamente, cosicché da un sostantivo nasce direttamente il verbo senza troppi problemi; in italiano è normale usare dei giri di frase per derivare l'azione relativa. Non stiamo fronteggiando una semplice invasione di singoli termini alloctoni, bensì un approccio mentale alla comunicazione che è alieno all'evoluzione della nostra lingua.
Secondo questo approccio, nell'esempio in questione, dal sentimento di repulsione deriverebbe direttamente il verbo "*ripulsarsi", cosa che in effetti ci *ripulsa profondamente, facendoci provare quella smorfia di cui sopra, se solo lo sentissimo o incontrassimo in un testo.
E' la diversità linguistica di fondo a cui si sta attentando, quella che riflette evoluzione e mentalità, e quindi il pericolo è molto più subdolo e molto più profondo di quanto non possano esserlo pochi barbarismi tanto infestanti quanto rapidamente perituri.

D'altra parte, la rete e i telefonini hanno messo i giovani in comunicazione con il mondo - che in rete parla inglese, il nuovo latino o lingua franca - facendo sì che le nuove generazioni si identifichino in un'unica comunità transnazionale, con identica visione e comuni necessità.
I miei nipoti nella propria pagina in Istagrammo scrivono in inglese, e hanno seguaci in ogni parte del globo. Difficilmente potrebbero risultare comprensibili e interessanti se riesumassero vocaboli che ormai anche per noi appaiono desueti...
L'unica speranza è che, finita la fase in cui si ha il tempo di ciacolare telematicamente, e iniziando a confrontarsi con la realtà del lavoro a scala locale e con i parlanti reali locali, riprendano l'uso della nostra lingua, lasciando ai figli il giochino di sviluppare nuovi gerghi.
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Re: «Cringe»

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domna charola ha scritto: gio, 02 feb 2023 10:52 Il problema vero secondo me è a monte - e qui mi sa che mi ripeto - nella struttura stessa della lingua. In inglese c'è la tendenza a derivare i termini gli uni dagli altri direttamente, cosicché da un sostantivo nasce direttamente il verbo senza troppi problemi; in italiano è normale usare dei giri di frase per derivare l'azione relativa. Non stiamo fronteggiando una semplice invasione di singoli termini alloctoni, bensì un approccio mentale alla comunicazione che è alieno all'evoluzione della nostra lingua.
Ma non è alieno alla nostra lingua in sé, è alieno ai suoi parlanti. Per fare un esempio, Dante prendeva delle parole e ne derivava dei verbi bellissimi: Dante aveva un approccio mentale inglese, o semplicemente plasmava la lingua com'è naturale che uno scrittore faccia? Ogni lingua (almeno quelle indoeuropee che conosco) prende dei concetti di base e ci costruisce concetti figurati o via via più astratti: questo può avvenire sia al livello più basso (per cui i romani coniano verbi come imbroccolare), sia a livelli intermedi (rammaricare, che non è meno naturale di "rendere amaro", e infatti proprio perché non è così specifico ha sviluppato un significato figurato che la perifrasi originale difficilmente può sviluppare), sia a livelli più alti (incielarsi e simili).
domna charola ha scritto: gio, 02 feb 2023 10:52 Secondo questo approccio, nell'esempio in questione, dal sentimento di repulsione deriverebbe direttamente il verbo "*ripulsarsi", cosa che in effetti ci *ripulsa profondamente, facendoci provare quella smorfia di cui sopra, se solo lo sentissimo o incontrassimo in un testo.
E' la diversità linguistica di fondo a cui si sta attentando, quella che riflette evoluzione e mentalità, e quindi il pericolo è molto più subdolo e molto più profondo di quanto non possano esserlo pochi barbarismi tanto infestanti quanto rapidamente perituri.
Secondo questo approccio, uno potrebbe andare a recuperare il verbo repellere. E in effetti, se ci pensa, repello è potenzialmente una bellissima traduzione di «cringio», solo che non siamo più abituati a sentirlo e adoperarlo :)
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Millermann
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Re: «Cringe»

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12xu ha scritto: mer, 01 feb 2023 19:37[S]e dovessi chiederle «come si chiama quel sentimento che le fa fare una smorfia del genere, che non è lo schifo? E qual è il verbo significante l'atto di fare tale smorfia?», come mi risponderebbe?
In dialetto, direi subito che è qualcosa che mi fa «aggrizzà». Per questo motivo mi verrebbe da proporre come verbo aggricciare, o meglio ancora raggricciare, e quindi, come diretto traducente di cringe, raggricciante. :)

In questa discussione su un fòro italiano-inglese è proprio un anglofono a suggerire quest'accostamento.

Si potrebbe anche derivarne un deverbale a suffisso zero come raggriccio per cringio. In ogni caso, si noti come il termine italiano contenga le stesse lettere di quello inglese e provochi, nel pronunciarlo, le stesse sensazioni. ;)

Essendo un termine desueto, secondo me potrebbe adattarsi perfettamente a questa nuova destinazione. :)
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Re: «Cringe»

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Bellissimo (e spero definitivo) traducente! Sono convinto che buona parte dei fili di Arianna che conducono alle soluzioni traducenti si trovino nel gomitolo dei dialetti italiani (scusate la brutta metafora :D)
"Che raggriccio" suona incredibilmente meglio di "Che cringe", pur mantenendo la stessa potenza espressiva.
Utente cancellato 676

Re: «Cringe»

Intervento di Utente cancellato 676 »

Millermann ha scritto: gio, 02 feb 2023 12:40Si potrebbe anche derivarne un deverbale a suffisso zero come raggriccio per cringio.
Simpatica proposta per descrivere la smorfia di fastidio del verbo inglese! Peccato solo sia un nuovo conio, e quindi meno spendibile. Ma tanto la lista è piena di nuovi conî che nessuno si fila, e questo mi sembra senz’altro più difendibile di tanti altri presenti nella lista.
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Re: «Cringe»

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12xu ha scritto: gio, 02 feb 2023 12:06 Secondo questo approccio, uno potrebbe andare a recuperare il verbo repellere. E in effetti, se ci pensa, repello è potenzialmente una bellissima traduzione di «cringio», solo che non siamo più abituati a sentirlo e adoperarlo :)
Diciamo che è un'alienitudine rispetto al registro normale.
Per il parlante che parla, e che sfrutta ancora la base linguistica locale assorbita in famiglia o al paesello, è un procedimento corrente, e infatti sia i dialetti sia il nostro chiacchierare informale è pieno di questi neo-conii.
Per il grande scrittore o ritenuto tale, è procedimento auspicabile, testimone di grande creatività e libertà espressiva.
Se però lo si fa in un testo scritto corrente, di livello medio, viene visto come procedimento non raccomandabile.

Comprensibile del resto, perché insito nel concetto stesso di registri linguistici. La lingua media deve presentare delle norme e procedimenti precisi che garantiscano una certa stabilità, regolarità, comprensibilità. Le punte sono riservate ai registri estremi.
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Re: «Cringe»

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domna charola ha scritto: gio, 02 feb 2023 15:54 Diciamo che è un'alienitudine rispetto al registro normale.
Per il parlante che parla, e che sfrutta ancora la base linguistica locale assorbita in famiglia o al paesello, è un procedimento corrente, e infatti sia i dialetti sia il nostro chiacchierare informale è pieno di questi neo-conii.
Per il grande scrittore o ritenuto tale, è procedimento auspicabile, testimone di grande creatività e libertà espressiva.
Se però lo si fa in un testo scritto corrente, di livello medio, viene visto come procedimento non raccomandabile.

Comprensibile del resto, perché insito nel concetto stesso di registri linguistici. La lingua media deve presentare delle norme e procedimenti precisi che garantiscano una certa stabilità, regolarità, comprensibilità. Le punte sono riservate ai registri estremi.
Caratteristica delle reti sociali è che quasi tutti i testi scritti sono in realtà trascrizioni del parlato: per questo l'inglese è così produttivo di conii che vengono poi adottati dai giovani italiani. L'italiano canonico è al contrario appiattito sul registro medio sia nello scritto sia nel parlato, a meno di influenze basse e dialettali che però si fanno via via più flebili, rimanendo per forza di cose lacunoso e permeabile ai forestierismi. Già in questo filone si è visto che «cringe» si sarebbe potuto rendere ottimamente sia con un registro più elevato (repello), sia con uno più basso (raggriccio). Il registro medio ha piuttosto accolto «cringe» perché non è in grado di offrire soluzioni efficaci.
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Re: «Cringe»

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12xu ha scritto: gio, 02 feb 2023 16:15
Caratteristica delle reti sociali è che quasi tutti i testi scritti sono in realtà trascrizioni del parlato: per questo l'inglese è così produttivo di conii che vengono poi adottati dai giovani italiani. L'italiano canonico è al contrario appiattito sul registro medio sia nello scritto sia nel parlato, a meno di influenze basse e dialettali che però si fanno via via più flebili, rimanendo per forza di cose lacunoso e permeabile ai forestierismi. Già in questo filone si è visto che «cringe» si sarebbe potuto rendere ottimamente sia con un registro più elevato (repello), sia con uno più basso (raggriccio). Il registro medio ha piuttosto accolto «cringe» perché non è in grado di offrire soluzioni efficaci.
Per registro medio però forse mi sono espressa male - non mi viene il traducente :oops: - non intendevo la lingua delle persone medie, ma l'italiano standard, quello che si insegna e che è considerato grammaticalmente corretto, senza gli svolazzi creativi della letteratura e senza gli strafalcioni della strada.
Questa lingua italiana rifiuta "cringe" come tutti i termini stranieri, tant'è che li isola nella bolla protettiva delle virgolette o del corsivo, proprio per evitare che possano andarsene a spasso liberamente. Non è un appiattimento, è una necessità per avere un sistema di riferimento. Una lingua efficiente ed efficace deve sì poter essere fluida e aperta, ma anche comprensibile e condivisa.
Il problema è proprio questo: la rete ci sta abituando a scrivere di getto, esattamente come parleremmo. Solo che non si può fare, non va bene. Questo perché le parole volano, gli scritti rimangono, o meglio: quelli significativi, che vale la pena che siano scritti, vengono scritti proprio per rimanere. E per essere comprensibili anche fra dieci o cinquanta o cento anni.
Il parlato è più fluido, cambia rapidamente, incarna lo spirito di un momento e acquisisce forza dalle neoformazioni; il tempo e l'uso decretano quali di queste siano degne di sopravvivere. Ma a monte deve permanere una base di riferimento per tramandare le cose importanti.
E in questa base "media" italiana che permette il collegamento fra generazioni distanti nel tempo, c'è la marcata preferenza per i giri di frase e non per le derivazioni dirette da un termine all'altro.

Il problema sarebbe se poi i giovani cresciuti col linguaggio della rete si trovassero a non comprendere più tutto il patrimonio di cultura scritto nel "vecchio" italiano. Che si fa, traduciamo Manzoni e Eco e tutti gli altri usando grugniti, cuoricini e ascitagghi?
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Intervento di Utente cancellato 676 »

Millermann ha scritto: gio, 02 feb 2023 12:40Si potrebbe anche derivarne un deverbale a suffisso zero come raggriccio per cringio. In ogni caso, si noti come il termine italiano contenga le stesse lettere di quello inglese e provochi, nel pronunciarlo, le stesse sensazioni. ;)
Per quanto sia simpatica, rileggendo le varie definizioni del GDLI e di De Mauro trovo che forse sia eccessiva per definire il semplice «malagio» (che il GDLI definisce sia disagio sia fastidio al contempo, che però è termine letterario difficilmente recuperabile per un anglismo), perché «raggriccio» starebbe per «raccapriccio», provenendo da raggricciare che vale «riempire di orrore», «riempire di raccapriccio». Bisognerebbe cioè supporre uno slittamento semantico verso qualcosa di più tenue per il neologismo.
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Re: «Cringe»

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domna charola ha scritto: gio, 02 feb 2023 16:50 Per registro medio però forse mi sono espressa male - non mi viene il traducente :oops: - non intendevo la lingua delle persone medie, ma l'italiano standard, quello che si insegna e che è considerato grammaticalmente corretto, senza gli svolazzi creativi della letteratura e senza gli strafalcioni della strada.
Questa lingua italiana rifiuta "cringe" come tutti i termini stranieri, tant'è che li isola nella bolla protettiva delle virgolette o del corsivo, proprio per evitare che possano andarsene a spasso liberamente. Non è un appiattimento, è una necessità per avere un sistema di riferimento. Una lingua efficiente ed efficace deve sì poter essere fluida e aperta, ma anche comprensibile e condivisa.
Però una lingua che si priva degli svolazzi creativi non potrà mai essere del tutto efficiente, e il motivo è presto detto: l'impossibilità che il parlante medio abbia un lessico così vasto da poter esprimere con efficacia tutto ciò che vorrebbe. Un parlante del genere è un caso più unico che raro, e per questo si deve far leva sulla componente creativa della lingua. Questo non significa rendere la lingua meno condivisibile: un romano comprende immediatamente il significato di ingarellarsi anche non avendolo mai sentito prima, grazie al contesto e agli elementi che lo formano. E così dovrebbe funzionare anche l'italiano standard.
domna charola ha scritto: gio, 02 feb 2023 16:50 Il problema è proprio questo: la rete ci sta abituando a scrivere di getto, esattamente come parleremmo. Solo che non si può fare, non va bene. Questo perché le parole volano, gli scritti rimangono, o meglio: quelli significativi, che vale la pena che siano scritti, vengono scritti proprio per rimanere. E per essere comprensibili anche fra dieci o cinquanta o cento anni.
Il parlato è più fluido, cambia rapidamente, incarna lo spirito di un momento e acquisisce forza dalle neoformazioni; il tempo e l'uso decretano quali di queste siano degne di sopravvivere. Ma a monte deve permanere una base di riferimento per tramandare le cose importanti.
Credo che quasi nessuno scriva testi sulle reti sociali con la speranza che rimanga leggibile dopo decenni, lo fa solo per "parlare scrivendo" con qualcuno o più e soddisfare un desiderio di base: approvazione, affermazione di sé momentanee :)
Chi vuole scrivere cose da tramandare, lo fa in spazi appositi: giornali, diari, libri (sempre in spazi virtuali, certo)...
domna charola ha scritto: gio, 02 feb 2023 16:50 E in questa base "media" italiana che permette il collegamento fra generazioni distanti nel tempo, c'è la marcata preferenza per i giri di frase e non per le derivazioni dirette da un termine all'altro.
Non sono del tutto convinto che solo una lingua del genere sia tramandabile: l'aspetto creativo da stimolare non deve creare parola dal nulla (che so, conio il termine gruffo a cui attribuisco il significato di "sbuffo accompagnato da un mezzo ringhio"), piuttosto combinare e scombinare affissi e lessemi (spero di star usando i due termini in maniera corretta) per esprimere concetti senza dover ricorrere a perifrasi: se ho il verbo digrignare, mi basterà togliere il prefisso intensivo di- per poter comunicare un'azione comprensibile a tutti senza paura di fare troppi danni, invece di dire contorcere il viso in modo da mostrare i denti stretti.... Queste creazioni, a loro volta, svilupperanno dei sensi figurati andando ad arricchire la capacità espressiva della lingua.
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