DON FERRANTE ha scritto: dom, 27 set 2020 0:51
Così, da non perito in quest'ambito: la sincope della "u" e la conseguente assimilazione -bl->bbj non può essere spiegazione di per sé sufficiente?
Per quanto mi periti - e non poco! - a scrivere alcunché dopo l'illuminante (a dir poco!) commento fornitole da Infarinato, qualora intendesse approfondire alcuni aspetti fondativi, può tenere presente che la transizione evolutiva cui lei accenna è tutt'altro (e ben altro!) di una semplice
assimilazione.
Nel panorama delle lingue neolatine è uno dei tratti (inclusi gli sviluppi dei nessi consonantici
cl-,
gl-,
pl- ed
fl- etimologici) che meglio concorrono a identificare le specificità della fonologia italiana - di matrice fiorentina/toscana - rispetto agli altri idiomi nazionali di origine latina.
Mutatis mutandis lo stesso vale anche nell'ambito della dialettologia italiana in relazione alle differenze fonologiche esistenti tra le parlate "geograficamente (e non solo!) centrali" e le altre.
Inoltre, andrebbe osservato che si parlava di un timbro vocalico (aperto o chiuso) e la qualità delle vocali accentate italiane dipende (e deriva) - in generale - dalla
quantità (in realtà, dalla
qualità già indotta, a suo tempo, dalla
quantità) rispettiva dei fonemi vocalici etimologici) indipendentemente dalla condizione d'apertura (in cui alla vocale segue consonante semplice) o di chiusura (in cui a vocale segue fonema consonantico geminato) della sillaba che si riscontra - a evoluzione avvenuta - nella lingua italiana.
DON FERRANTE ha scritto: dom, 27 set 2020 0:51
O che forse l'atteso dittongamento in sillaba libera (ĕ>iè) non sia avvenuto perché prima sono occorse la sincope e l'assimilazione e quindi nĕb(u)la>nĕbbia>nēb-bia>nébbia?
Come si evince dall'inquadramento generale adeguatamente fornitole da Infarinato e dal mio tentativo di chiarimento, non si possono impiegare - neppure in una rappresentazione "amichevole" di una transizione evolutiva - i diacritici relativi alla
quantità in esiti lessicali che appartengono già chiaramente alla lingua italiana.
Tutt'al più, in italiano, essendosi "allungati" i timbri vocalici in sillaba accentata aperta (com'è "naturale" che sia), si può attribuire alla
quantità valore fonologico allofonico.
Permanendo il valore fonologico contrastivo della
durata/geminazione consonantica. In quanto non "vincolato", cioè non "prevedibile". Ma il passaggio
nĕbbia>nēb-bia travisa la realtà. Nella voce
nebbia (anche se si pronunciasse in modo non neutro il timbro vocalico accentato) si avrebbe, comunque, esclusivamente valore allofonico breve della vocale.
Dal momento che la geminazione successiva impedisce tuttora quello che è stato l'allungamento
quantitativo verificatosi nelle sillabe "aperte" - così lo definisce il Loporcaro -. Ma in
nebbia, comunque si pronunci la vocale accentata, permane indubitabilmente una "sillaba chiusa".
Quindi, intendendo proprio esagerare e tenendo ben presente che non si tratta affatto della
quantità vocalica della lingua latina, al massimo soltanto
nĕbbia ... Alla luce di quanto ampiamente argomentato la rappresentazione di una sillaba italiana come
nēb- costituisce una "contraddizione in termini". Essa potrebbe essere soltanto
nĕb-. Altrimenti, non sarebbe italiano ...
Infatti, in italiano, la rappresentazione
nĕb- risulta
ridondante. Ovviamente,
neb- non può che implicare "necessariamente"
nĕb-. La
chiusura implica
quantità allofonicamente breve. Ecco esemplificato il concetto di
vincolo o, se si preferisce, di
prevedibilità della quantità vocalica. Collegate, in italiano, tranne in posizione finale assoluta di parola (dove la vocale può essere soltanto "breve") da una complementarità inversa tra
durata/geminazione consonantica e
quantità vocalica nell'ambito di un paradigma fonologico che ha fatto parlare d'
isocronismo sillabico.
Quanto mi sono
affannato a scrivere intende soltanto richiamare la banalità e l'evidenza delle caratteristiche fondative e fonologiche della lingua italiana di cui tutti noi - più o meno consapevolmente - non possiamo che avvalerci in ogni istante in cui si parli.
Scrivendo nel modo più semplice possibile, ma totalmente corretto - pur senza preoccuparmi di dover ricorrere a termini linguisticamente impeccabili -.
In italiano l'apertura o la chiusura di fonemi vocalici quali
e oppure
o non dipendono affatto dall'apertura o dalla chiusura della sillaba.
Il timbro chiuso e quello aperto si possono riscontrare tanto in sillaba aperta quanto in sillaba chiusa.
Ci mancherebbe. Altrimenti, non si tratterebbe d'italiano!
Se "scegliamo" di non esprimerci mediante una pronuncia neutra e di optare per una "variante locale", varierà la distribuzione dei timbri rispetto a una dizione corretta, ma l'associazione tra timbro vocalico e apertura/chiusura della sillaba, in generale, non appartiene alla linguistica italiana.
Perfino le varietà dialettali italiane (come, per altro, anche il cosiddetto "italiano locale" delle varie regioni e delle tante città) possono avere esiti vocalici evolutivi difformi rispetto a quelli fiorentini. Ma essi - sia pure con
risultati diversi da quelli toscani - dipendono pur sempre dalla
quantità del fonema vocalico latino etimologico. Che, in realtà, ne
condizionava - già "allora" - la
qualità.
Unica
eredità - "gestita" più o meno "bene" (mi riferisco alla possibilità delle varianti di pronuncia locali e al relativo dibattito teorico, che esulano ampiamente dall'argomento affrontato) - che a noi è rimasta.
Mentre la nostra
quantità, come mi pare d'aver chiarito, non discende affatto da quella latina, ma risulta determinata unicamente dalla condizione della sillaba, cioè è
prevedibile e costituisce caratteristica
allofonica.
Se si preferisce, un inevitabile
epifenomeno dovuto alle concrete modalità d'articolazione con cui tutti noi si parla.
P.S.: come le ha scritto - con altre parole, ma relative allo stesso
concetto - Infarinato, fu proprio la condizione di
chiusura della sillaba a impedire la
pseudodittongazione di
nebbia, mentre essa poté verificarsi in
nieve, pur derivando - entrambi gli esiti - da etimi caratterizzati da /ĕ/. Anche questa è una caratteristica della lingua italiana di matrice fiorentina. Come visto, essa non rappresenta un vincolo per la lingua castigliana, che ha
nieve, ma pure
niebla. Come si verifica anche nei dialetti italiani, ma il tema non può essere affrontato per non perdere la
focalizzazione dell'intervento.