
«Appausarsi»
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«Appausarsi»
Chi chiàstiera con me lo sa già: ho coniato tempo fa il verbo appausarsi («fare una pausa»), che mi sembra agile e svelto. Breve m’appauso.
Che ne dite?

Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Re: «Appausarsi»
Marco1971 ha scritto:Chi chiàstiera con me lo sa già: ho coniato tempo fa il verbo appausarsi («fare una pausa»), che mi sembra agile e svelto. Breve m’appauso.Che ne dite?
Il verbo chiastierare è stato pure coniato da lei? E che significa?
Chiastierare è una parola macedonia (sull’esempio francese di clavarder, clavardage), tratto da chiacchierare e tastiera. È anche nella nostra lista.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Che obbrobrio cacofonico! Che bisogno ce n'è?Marco1971 ha scritto:Chiastierare è una parola macedonia (sull’esempio francese di clavarder, clavardage), tratto da chiacchierare e tastiera. È anche nella nostra lista.
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La cacofonia è un giudizio personale. Sicuramente, se non esistesse e l’avessi proposto, le sarebbe parso cacofonico anche chiacchierare. Chiastierare, in fondo (ma anche questo è un giudizio personale), ha un che di onomatopeico, suggerisce (forse solo a me?) il rumore che si fa pigiando i tasti.
Ma per appausarsi avevo aperto questo filone...
Ma per appausarsi avevo aperto questo filone...
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Re: «Appausarsi»
Non capisco di preciso in che contesto si collocherebbe: nello stesso di staccare?Marco1971 ha scritto:Che ne dite?
Non direi: nel gergo chiastieristico mi sembra che staccare significhi scollegarsi, e non semplicemente fare una pausa, pur restando collegati.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non voglio esprimermi sull'orecchiabilità del termine *chiastierare.
Ma il suo uso produce un'oggettiva mancanza di comprensione del messaggio che si vuole trasmettere.
Costringe il lettore o a una fastidiosa richiesta di chiarimenti oppure a una ricerca, in prima istanza sui lessici e quindi in rete, per sciogliere il significato del termine inventato (che, attenzione!, non si può considerare un neologismo).
In questo modo si sacrifica uno degli obiettivi primari dello strumento linguistico: l'efficienza della comunicazione.
Ogni lingua ha le sue prerogative e l'italiano, in questo caso, per esprimere il concetto, preferisce creare per adattamento (un adattamento non perfetto, lo riconosco) il termine chattare oppure ricorrere a una locuzione.
A mio parere *chiastierare, per l'italiano, non è una «conversione naturale», sulla base del vocabolo «accattato», bensì una costruzione cervellotica che «disordina» la lingua.
Su questa strada la lingua si trasformerebbe da strumento di comunicazione di una comunità nazionale a tanti gerghi per iniziati creati da frotte di onomaturghi, non importa se più o meno improvvisati.
Su *appausarsi il mio giudizio è più benevolo. Si tratta di un derivato dal significato trasparente di un termine italiano. Può starci benissimo in una discussione informale, anche tra estranei, e non penso che possa creare difficoltà di comprensione.
Ma il suo uso produce un'oggettiva mancanza di comprensione del messaggio che si vuole trasmettere.
Costringe il lettore o a una fastidiosa richiesta di chiarimenti oppure a una ricerca, in prima istanza sui lessici e quindi in rete, per sciogliere il significato del termine inventato (che, attenzione!, non si può considerare un neologismo).
In questo modo si sacrifica uno degli obiettivi primari dello strumento linguistico: l'efficienza della comunicazione.
Ogni lingua ha le sue prerogative e l'italiano, in questo caso, per esprimere il concetto, preferisce creare per adattamento (un adattamento non perfetto, lo riconosco) il termine chattare oppure ricorrere a una locuzione.
A mio parere *chiastierare, per l'italiano, non è una «conversione naturale», sulla base del vocabolo «accattato», bensì una costruzione cervellotica che «disordina» la lingua.
Su questa strada la lingua si trasformerebbe da strumento di comunicazione di una comunità nazionale a tanti gerghi per iniziati creati da frotte di onomaturghi, non importa se più o meno improvvisati.
Su *appausarsi il mio giudizio è più benevolo. Si tratta di un derivato dal significato trasparente di un termine italiano. Può starci benissimo in una discussione informale, anche tra estranei, e non penso che possa creare difficoltà di comprensione.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Come qualsiasi termine (vecchio o nuovo) usato per la prima volta.bubu7 ha scritto:Ma il suo uso produce un'oggettiva mancanza di comprensione del messaggio che si vuole trasmettere.
E perché, di grazia, non si può considerare un neologismo?bubu7 ha scritto:Costringe il lettore o a una fastidiosa richiesta di chiarimenti oppure a una ricerca, in prima istanza sui lessici e quindi in rete, per sciogliere il significato del termine inventato (che, attenzione!, non si può considerare un neologismo).
Infatti non è una conversione, è una neoformazione. In che cosa disordinerebbe la lingua?bubu7 ha scritto:A mio parere *chiastierare, per l'italiano, non è una «conversione naturale», sulla base del vocabolo «accattato», bensì una costruzione cervellotica che «disordina» la lingua.
Se una parola si diffonde diventa patrimonio comune. È naturale che ci debba essere una prima volta, passata la quale il termine non crea piú incomprensione. È lapalissiano, ma bisognava dirlo.bubu7 ha scritto:Su questa strada la lingua si trasformerebbe da strumento di comunicazione di una comunità nazionale a tanti gerghi per iniziati creati da frotte di onomaturghi, non importa se più o meno improvvisati.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Non è proprio la stessa cosa.Marco1971 ha scritto:Come qualsiasi termine (vecchio o nuovo) usato per la prima volta.bubu7 ha scritto:Ma il suo uso produce un'oggettiva mancanza di comprensione del messaggio che si vuole trasmettere.
Se io uso, per la prima volta, un termine vecchio (o nuovo, ma con una certa diffusione), il mio interlocutore ha una discreta probabilità di conoscere il termine. E comunque, può sempre porre rimedio alla sua ignoranza consultando un dizionario o sfruttando la sua competenza linguistica.
Se io uso un termine, non proprio trasparente, che ho inventato, il mio interlocutore mi deve necessariamente chiedere il significato.
Se questa moda si diffondesse, il nostro interlocutore dovrebbe ripetutamente chiedere, alle diverse persone che hanno inventato termini diversi per designare lo stesso oggetto, il significato del termine.
Questa operazione andrebbe moltiplicata per le diverse parole che ognuno di noi si sentirà in diritto d'inventare, creando una crescita esponenziale dell'incomprensione reciproca.
Se per lei questo modo di fare non disordina l'italiano (ben più di una manciata di forestierismi), mi chiedo cos'altro potremmo fare per danneggiare maggiormente la nostra lingua.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Re: «Appausarsi»
Non mi pronuncio su chiastierare ma appausarsi non mi dispiace. La mia metà genovese non può che far riferimento al dialettale apôsàse, il cui significato ('riposarsi') direi che possa rientrare in un campo semantico simile.Marco1971 ha scritto:Chi chiàstiera con me lo sa già: ho coniato tempo fa il verbo appausarsi («fare una pausa»), che mi sembra agile e svelto. Breve m’appauso.Che ne dite?

Il discorso di bubu mi fa un effetto un po’ strano. Faccio un esempio. Immaginiamo che io usi la parola amístide, ignota ai vocabolari (ma usata da D’Annunzio): Google permette di trovarla (intervento mio nel foro della Crusca) e di capirne il senso. Lo stesso vale per chiastierare, il cui senso e la cui formazione sono spiegati in queste e quelle pagine. A ogni modo l’esperienza dimostra che questo verbo è lungi dall’esser cosí opaco quando inserito nel contesto d’una conversazione (e non bisogna neanche sottovalutare la sagacità altrui). Certo, se ognuno s’inventasse i propri termini non ci si capirebbe piú, ma la nostra lista, copiata in vari siti, vorrebbe appunto scongiurare una tale evenienza, offrendo sostituti validi (e già molti ne hanno adottati alcuni). Infine non vedo perché si dovrebbe a tutti i costi evitare che il lettore faccia uno sforzo: la ricerca lo condurrà a ampliare il suo vocabolario. E può anche darsi che chiastierare non avrà successo (è ancora presto per dirlo), ma non si può ragionevolmente affermare che disordini o danneggi la lingua.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
Scusi, non avevo capito che si trattava di questo contesto.Marco1971 ha scritto:Non direi: nel gergo chiastieristico mi sembra che staccare significhi scollegarsi, e non semplicemente fare una pausa, pur restando collegati.
Non so se staccare abbia questo significato specifico di cui parla, ma appausarsi mi pare piuttosto innaturale, o forse continuo a non capire in che occasione andrebbe usato: al momento di scollegarsi come dice lei, non si direbbe semplicemente «ti/vi saluto» contrapposto al «torno subito» o «m'assento un attimo» della breve interruzione della comunicazione?
Per il resto, lo trovo perfettamente legittimo, e continuo a ritenere piuttosto forzato il discorso di bubu, per i soliti motivi.
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