caixine ha scritto:Personalmente non nutro i timori di Decimo.
Attingo le mie prove direttamente dal sito
Raixe Venete, a mostrare che i miei timori sono fondatissimi.
V'è una
Presentazioni siciliana, che liberamente e infondatamente sfoggia questa sua appartenenza geografica.
Dal momento che non è possibile tradurre in dialetto un documento particolarmente ricco di tecnicismi, mi pongo l'obiettivo di analizzarla parola per parola:
Presentazioni siciliana:
il termine
presentazioni è un goffo adattamento dell'italiano
presentazione, reso con un banale mutamento della vocale finale a dare un "tocco di pura sicilianità". L'unico verbo da me conosciuto, ereditato dalla lingua dei miei avi che abbia un minimo legame con la parola
presentazione è
apprisintari (
apprisièntu, apprisintài) cioè
presentare.
L'adattamento "più corretto" dovrebbe essere dunque
*apprisintazioni. Il titolo, nel siciliano della mia provincia, si presenterebbe così:
Apprisintazioni siçiliana.
Salutamu. Bimminutu 'n Venetu!:
ne evinco una certa inclinazione palermitana. Non ho mai riscontrato nel comprensorio ragusano alcuna formula di saluto differente da:
a bbona sira (
buona sera) e al congedo
ti salutu,
ni viriemu (
ti saluto, ci vediamo). L'ibleo esorisce tipicamente con
«Arà, Ddhjuoggi, cchi si rici?» ("
Ehi, Giorgio - nome di fantasia -
che si dice?") o
«Ddhjuoggi, cchi mi cunti?» (
"Giorgio, che mi racconti?").
Fortissimi dubbi sulla legittimità di
bimminutu sulla sua costruzione (la formula di bevenuto è qui di fatto inesistente). Il verbo
vèniri (
viegnu, vinni), cioè
venire, dà come participio passato, quando in posizione debole (cioè non preceduta da consonanti o da preposizioni vocaliche o terminazioni verbali vocaliche che in latino terminavano in consonante)
vinùtu, in posizione forte (nei casi prima negati)
bbinùtu.
Voglio giustificare la scelta del traduttore solo perché, nell'unico caso in cui la consonante finale della parola precedente sia
n, cioè nella sola negazione
nun (
non), la
n e la
v si assimilano in doppia
m (es.:
nu·mminni (
nun +
vinni), cioè "
non è venuto").
Dal momento però che non v'è memoria di parole tronche in siciliano, è improbabile l'esistenza di un
*bin, che dovrebbe significare
bene, da cui la fusione in doppia
m. Da ciò deduco che anche questo vocabolo è in realtà un forzato adattamento direttamente dall'italiano. Non credo esiste un modo per poter traslare nel siciliano della mia provincia questa cortese formula di saluto e di benvenuto.
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Venetu eni na reggioni situata ntra l'Austria e lu mari Adriáticu:
incomprensibile l'assenza dell'articolo,
Venetu (tra l'altro semplice, e direi ridicolo adattamento) in luogo di
u Vènitu/
u Vènutu o ancora meglio di
u Viènitu,
u Viènutu (forme che seguono le regole di adattamento per i motivi che analizzerò in seguito).
Nel siciliano della provincia di Ragusa (che, ricordo, nulla può impedire che sia chiamato
siciliano appunto) le
e brevi latine in posizione non accentata diventano
i, o addirittura
u (in verità le vocali non accentate oscillano molto, e non è possibile additarne una forma migliore fra
i e
u). Inoltre, in un processo simile a quello subito dall'italiano, pur non essendo perfettamente universale, la
e breve in posizione accentata evolve in una e preceduta da una vocale semiconsonantica (nel precedente caso
i).
Il verbo
èni (
è) sarebbe di per sé corretto se posto alla fine della frase, o seguito da una qualunque pausa di punteggiatura; in tutti i restanti casi esso si preserva nella forma
è.
Ad es.:
-
Cu è cchiddu? (si noti il raddoppiamento di
ch dopo posizione forte);
ma
-
Chiddu cu èni?.
Entrambi significano "
Chi è quello?".
Adattamento dall'italiano è
reggioni, che, possedendo il testo un'inclinazione palesemente palermiatana, ha subito un processo differente di quanto piuttosto avverrebbe nella mia provincia. La doppia
-gg- dolce, così come anche la catanese doppia
-ggh- dura, sono pronunciate in siciliano ibleo, con un fenomeno molto vicino al còrso,
-ddhj-, una sorta di occlusiva palato-dentale. Dunque l'adattamento più corretto sarebbe
*riddhjuni, vocabolo tuttavia inesistente e perciò inaccettabile.
Situata è addirittura termine eccessivamente prezioso, estraneo al sistema fonetico siciliano.
'ntra l'Austria, forma corretta (almeno).
Chiaramente non siciliano di Ragusa è
...e lu mari Adriàticu, dove spicca stonando la
l dell'articolo, qui scomparsa, e che dovrebbe essere reso
...e u mari Addriàticu (è qui del tutto arbitrario l'adattamento di
Adriatico)... o forse, per la gioia dei Veneti, a sottolineare la pronuncia non sempre certa, potremmo scrivere l'articolo: łu.
Avi pressapocu 4.500.000 abitanti:
anche questa breve frase, come ogni italofono può comprendere, consta di due adattamenti mal foggiati dall'italiano (il 75 % della frase).
Dal momento che non v'è stata, nemmeno in passato, una contabilità di precisione in lingua siciliana, per indicare
circa al giorno d'oggi si ricorre agli adattamenti
cicca,
quasi, o, riferendomi al testo che sto analizzando,
priessappuoco che è forma iblea quanto palermitana (pertanto non riesco a giustificare la scelta del traduttore). D'uso certamente più siciliano, simile alla forma italiana, è
viess'e quattru miliuna.... (
verso i quattro milioni).
Abitanti... anche in
Wikipedia è presente un divertente
abbitanti, ma sono entrambe formecalcate dall'italiano, che io non ho mai udite.
Li citati principali di lu Venetu sunnu Venezia...:
grossi problemi sono ravvisabili anche in questa frase. Al di là dell'articolo in
l, per il quale reinvio al commento precedente, è
citati a destare profondi sospetti e dubbi e a far storcere la bocca all'intera comunità sicelofona: l'unico termine dialettale con cui ho sentito indicare una città è stato
centru (
centro abitato)... Molto usato è anche il termine italiano crudo, così come per molti altri, cioè
città: sorvolo sul wikipediano
*cità.
Entro finalmente in contatto con una preposizione articolata:
di lu. In ibleo esso è semplicemene
rô.
Il che è spiegabile dal fatto che: la
d in posizione semplice è sempre
r, la
r in posizione forte è sempre
d.
Ad es.:
-
'Stao
'ssa pettra è ttruoppu ranni., (cioè "
Questa pietra è troppo grande");
dove però
- A bbirri tà fiddhju quant'è
ddanni!, (cioè "Da vedere tuo figlio, quanto è maturo!").
Tornando alla preposizione articolata: in ibleo
di è, come specificato prima,
ri, che è fortemente soggetta a elisione quando seguita da vocale. Da ciò una probabile ricostruzione
*ri (l)u > *ri u > *r'u > rô (l'accento circonflesso indica un allungamento vocalico).
Nonostante il traduttore sia da ammirare per non aver tentato disperatemente di adattare anche tutti i nomi delle città venete (per le quali però alcuni equivalenti siciliani esistono), non riesco a capacitarmi del verbo
sunnu (
sono terza persona plurale). La forma attestata e sicuramente la più popolare resta
sù (dal latino
sunt).
Li genti di lu Venetu sunnu chiamati "Veneti":
come spiegato in precedenza sul diverso esito della -g- dolce nelle varie zone dell'Isola, il termine da noi adoperato per
gente è
ddhjenti e non
genti. Inoltre
a ddhjenti è femminile e singolare nell'articolo, e spesso, ma non sempre, plurale nella coniugazione del verbo con esso collegato.
Evitando di soffermarmi in costrutti già commentati in precedenza, inciampo però in
chiamati.
Il siciliano ibleo ha la particolare caratteristica di sostituire tutti i gruppi
-ch-, cioè
c dura, con
-ci- cioè
c dolce. Uniche eccezioni restano
chiddu e
chissu, che alcuni autori riportano nella forma grafica
quiddu e
quissu.
Perciò i "sicilianissimi"
chiamari,
acchiappari,
chiòviri e
chiummu nella provincia di Ragusa sono rispettivamente
ciamari,
acciappari,
ciòviri e
ciummu (influenze venete?

), cioè in italiano
chiamare,
acchiappare,
piovere e
piombo.
Perdonatemi... ma purtroppo l'orario non mi consente di continuare... in un futuro intervento sintetizzerò le perplessità del restante testo.
In breve, caro caixine, ho ben onde nel nutrire il timore che uno dei dialetti regionali, spacciandosi per
siciliano universale, finisca col divorare i linguaggi subregionali, che invece si preservano nel momento in cui hanno come unico sistema superiore l'Italiano.