Se si volesse approcciare l'argomento - per altro, interessante -, occorrerebbe poter sgombrare il campo da convinzioni che nulla hanno a che fare coll'effettiva struttura della lingua italiana. Nella quale la geminazione consonantica risulta fonologicamente distintiva e si può riscontrare del tutto indipendentemente dalla sede dell'accento tonico nella parola. Soprattutto se si fa riferimento alla posizione dell'accento nell'infinito verbale, dal momento che - almeno, in principio e prescindendo, per il momento, da eventuali processi di tipo analogico - "evolutivamente" ogni "parola" giunta fino a noi "conta per sé". E come "parole"vanno intese - in questo caso - proprio le singole voci verbali, ad es., "piaccio" o "piacciamo", le quali manifestano geminazione consonantica (che si potrebbe anche definire "anetimologica" in quanto non compare nelle voci corrispondenti del latino classico) dovuta a ragioni evolutive ben specifiche, trattate da tutti gli autori che si sono occupati di queste tematiche.
Ne tratta, ad es., il Rohlfs nel § 275 (come pure nei paragrafi precedenti e seguenti) del volumetto dedicato alla
Fonetica della sua
Grammatica storica, ma anche il Castellani nei suoi
Saggi di linguistica - a partire da pag. 95 -, il Patota (nei suoi
Lineamenti di grammatica storica) e molti altri studiosi, italiani e stranieri.
Gli autori dimostrano come già, nel latino volgare, le antiche vocali "i" ed "e" seguite da ulteriore vocale successiva avessero fornito l'esito "j" /j/ e determinato la geminazione della consonante precedente. Per farla breve, dal latino classico "placeo" - in cui "-c-" valeva /-k-/- si sarebbe passati a "plakkjo", da cui il nostro "piaccio", perfettamente "regolare" nel senso evolutivo del termine. Ovviamente si trattò di un evento evolutivo che riguardò sia esiti verbali come forme sostantivali (ad es., il Rohlfs cita tanto "faccio" - verbo - quanto i sostantivi "faccia" - viso - e "ghiaccio"). Esso modificò il confine precedentemente esistente tra sillabe contigue ma, come già anticipato, non fu in alcun modo influenzato dalla posizione dell'accento.
Il Rohlfs, inoltre, tratta questi aspetti evolutivi, relativamente alla flessione verbale, nel § 534 della
Morfologia (il secondo volumetto della
Grammatica storica), nel quale propone molti esempi del latino classico (ad es., "facio", "taceo", "jaceo", "placeo", "noceo" ecc.), i cui esiti - per le ragioni esposte - si presentano geminati nella lingua italiana.
Si tratta, per altro, d'informazioni che, ormai da gran tempo, si trovano adeguatamente sintetizzate e abbondantemente diffuse anche "in linea" nei siti che trattano la lingua italiana. Ad es., nel sito della Treccani:
"Quanto agli esiti dei nessi di consonante + j, le consonanti diverse da r e s si sono raddoppiate innanzi a iod nel II secolo d.C. (Castellani 1980: I, 95-103). Questo stadio arcaico è riflesso dalle labiali: sēpiam > seppia, (h)abeat > abbia, caveam > gabbia, vindemiam > vendemmia; in altri casi al raddoppiamento si accompagnano l’assorbimento di iod e una modificazione articolatoria della consonante, che ha subito affricazione (faciat > faccia, corrĭgiam > correggia), assibilazione (pŭteum > pozzo) o palatalizzazione (vīneam > vigna [ˈviɲːa], fŏlium > foglio [ˈfɔʎːo])."
Una piccola complicazione risulta rappresentata da esiti del tipo di "piacciamo", nei quali il fiorentino ha innovato adottando - alla I pers. plur. dell'ind. pres. - la corrispondente desinenza "-iamo" del congiuntivo. La quale giustifica la geminazione. Infatti, il congiuntivo italiano ha "piaccia"<"placea(m)", "piaccia"<"placea(s)", "piaccia"<"placea(t)" e "piacciamo"<"placeamu(s)", in quanto, nelle forme classiche, si poteva riscontrare "e" seguita da vocale. Mentre, ovviamente, si dice e si scrive "piaci", "piace", "piacete" ecc. in cui /j/ non ebbe mai modo di potersi manifestare. Infatti, il latino classico presentava le forme "place(s)", "place(t)" e "placeti(s)". Nelle quali, dopo "-c-", si poteva riscontrare una vocale sola.
Questa è l'effettiva (e unica) ragione fondativa in conseguenza della quale la lingua italiana ha "piaccio", ma "piaci" e "piace", non certo la bizzarria degli autori o presunte "irregolarità" attribuibili all'ortografia o alla morfologia.
Per altro - relativamente alla desinenza "-iamo" - si può notare come alcuni territori italiani abbiano mantenuto, nelle parlate tradizionali, le desinenze originarie: "lavamo", "tenemo", "dormimo" ecc.. Senza passare (come Firenze e, poi, lo stesso italiano) alle corrispondenti desinenze del congiuntivo.
La considerazione della morfologia italiana senza la consapevolezza degli eventi determinati dalla derivazione linguistica è una "visione" priva di comprensione, che obbliga a tenere in considerazione una serie infinita di "irregolarità" soltanto apparenti, ma "evolutivamente" caratterizzate da un'evidenza lampante. E, talora, all'opposto, a non "riconoscere" come tali "irregolarità" effettive. Almeno, sotto il profilo della derivazione linguistica storicamente intesa.
Infatti, nessuno esclude che possano esistere davvero esiti considerabili "in qualche modo" quali "irregolari". Anche se tutto sta nel comprendere se si stia impiegando questo termine nella stessa accezione.
Evolutivamente, per quanto analizzato, "nuoccio"<"noceo" risulta perfettamente "regolare", ma, evidentemente, non si potrebbe considerare tale "nociamo", dal momento che l'esito del congiuntivo era "noceamu(s)" ... Cioè vocale seguita da altra vocale ... E, pertanto, l'esito evolutivo "regolare" si dovrebbe presentare geminato, cioè come *
nocciamo. Ma, evidentemente, così non è.
Diversamente, ad es., occorre considerare "evolutivamente" regolare - almeno sotto il profilo dell'assenza della geminazione - la voce "cuocio". Infatti, la forma etimologica risulta "coquo" e, dal momento che "-qu-" venne trattato come "-c-", va considerata una "base di partenza" del tipo di "coco", nella quale non risultano presenti due vocali, a differenza di "placeo", e si ha, quindi, evidentemente l'esito "cuocio", privo di geminazione. Inoltre, in modalità del tutto conforme all'etimologia specifica, tutta la coniugazione di questo verbo si presenta, a differenza di ciò che si può riscontrare nel caso di "piacere", priva di qualsiasi alternanza con forme geminate. Si dice, infatti, "cociamo" e anche - nelle persone sing. della flessione del cong. - "cuocia" ecc..
Il Rohlfs, al § 537 della
Morfologia, cita le forme antiche "coco" e "nuoco", che egli riferisce come "anticamente usato insieme a
nuoccio", e scrive, inoltre, che esso "fu forse influenzato da
cuoco."
Ma, a meno che non mi sia sfuggito alla lettura, lo studioso non affronta il quesito specifico proposto in questo filone.
Chiarito, quindi, che cosa costituisce la "regolarità" nella derivazione storicamente intesa - dal latino popolare - della lingua italiana, occorrerebbe riuscire a trovare un autore che si sia focalizzato sull'interessante argomento e abbia individuato in modo attendibile le ragioni (dovute, eventualmente, ad analogia o ... ad altro? ...) che possano giustificare perché si dica - e si scriva - "piacciamo", ma "nociamo".
Detto altrimenti, risulta totalmente comprensibile e giustificata la motivazione tesa a conoscere che ha animato il filone. Dal momento che anche la stessa precisa consapevolezza delle transizioni evolutive che hanno condotto, in generale, alla formazione della lingua italiana e, nello specifico, alle caratteristiche riscontrabili nelle voci prese in considerazione non può rendere l'attuale locutore banalmente pago di dover pronunciare "piaccio" e "piacciamo", ma "nuoccio" e "nociamo" - esito il quale, sotto un profilo meramente evolutivo, se ci si arresta alla forma del verbo "noceo" fornita, ad es., dal Rohlfs, non potrebbe che essere considerato strutturalmente del tutto "equivalente" agli altri precedentemente riferiti e caratterizzati da geminazione consonantica -.
P.S.: Tuttavia, mediante la consultazione di un qualsiasi prontuario - anche di quelli disponibili in rete come, ad es.:
https://en.wiktionary.org/wiki/nuocere#Italian -,
ci si rende ben presto conto che, a differenza di quanto avvenne per il verbo "piacere", il cui etimo può essere fatto direttamente risalire al lat. classico - "placēre" (da cui "placeo") - così non si verificò per "nuocere", che proviene dal lat. volgare "nocĕre" (da cui "noco"), a sua volta dal lat. classico "nocēre" (da cui "noceo").
E, allora, si possono anche rileggere con ulteriore attenzione le informazioni fornite dal Rohlfs in estrema sintesi. E considerare, in questo caso specifico, la possibile "eterogeneità" nella derivazione di "nuocere". Se il Rohlfs cita - in diretta corrispondenza - il latino "noceo" e l'italiano
noccio, ciò implica che egli attribuisce la forma
noccio (o
nuoccio) e tutte quelle geminate appartenenti alla coniugazione del verbo italiano alla derivazione "diretta" dal lat. classico "noceo" - due vocali di seguito e, quindi, geminazione -, mentre il riferimento all'antico esito "nuoco" da lui citato - in parallelo a "nuoccio" - oltre a mostrare che vi fu, anticamente, anche "suppletivismo" di forme verbali per quanto concerne il verbo "nuocere", aiuta a spostare l'attenzione sul fatto che, per altre forme della flessione quale, ad es., "nociamo", venne adottato l'esito "regolare" in modo conforme al fatto che la forma italiana è "nuòcere" - e non * "nocére" - quale derivata dal lat. popolare "nocĕre". Tuttavia, occorre tenere in conto - come effettivamente il Rohlfs fa - che l'etimo appropriato di alcuni esiti del verbo italiano "nuòcere" va ancora ricercato nel latino classico "nocēre". Infatti, esclusivamente un esito quale "noceo" (e non certamente "noco" del lat. popolare) può giustificare l'attuale forma italiana "nuoccio". Idem va detto, al cong., relativamente a "nuoccia" - rispettivamente da "nocea(m)","nocea(s)", nocea(t)" -, esito geminato che può provenire unicamente da "nocēre" e non da "nocĕre">"nuòcere". In quanto quest'ultimo verbo latino non ha mai - nella sua flessione verbale - due vocali consecutive che possano aver determinato geminazione evolutiva "anetimologica" nella lingua italiana.
Appare, quindi, chiaro che il diverso comportamento di alcune voci di "nuòcere" rispetto a quelle corrispondenti di altri verbi va attribuito al fatto che non tutte le voci italiane attuali di questo verbo derivano da quelle del latino volgare, ma risultano ancora presenti voci geminate provenienti dalla coniugazione del latino classico - come evidenzia il Rohlfs stesso -. In quanto "nuòcere" poté "attingere" a due distinti paradigmi verbali.
Ma così, evidentemente, non poté verificarsi per verbi quali "fare", "tacere", "giacere", "piacere" ecc..
Infatti, "facio" - "faciamu(s)", "taceo" - "taceamu(s) - e analogamente gli altri - non poterono che fornire le note forme italiane geminate in quanto non esistevano forme etimologiche "alternative", trattandosi sempre - in tutti i casi riferiti - della derivazione da un unico paradigma verbale latino. Nel quale compaiono sempre - inevitabilmente - due vocali dopo "-c-", da cui non può che conseguire esclusivamente esito geminato in italiano: "faccio", "facciamo", "taccio", "tacciamo" ecc..