guidoalberto ha scritto: lun, 13 dic 2021 14:10
Ma insieme a menorà ci sono molti altri termini in lingua ebraica che sono di uso comune nella comunità ebraica italofona.
Non so se sia appropriato metterli in un dizionario di italiano.
Secondo me vale la pena considerare tutti quei termini che sentiamo utili a esprimerci su un dato argomento con la precisione di solito offerta dalla ricchezza lessicale dell'italiano.
Nel caso, la domanda di fondo è, più o meno: quando parlo di candelabri in un contesto ebraico, a cosa mi riferisco esattamente (di volta in volta)? Se parlo di uno specifico candelabro con funzioni proprie, cultuali, che non sono solo quella di reggere candele per illuminare, e se questo ha esattamente sette braccia disposte in un certo modo, come quello mitico del Tempio, allora sto parlando proprio di una menorà, e non di un generico candelabro, quindi il termine mi torna utile per esprimere con precisione l'oggetto.
Questo per lo meno sino a che si abbia a che fare con termini italianizzati o italianizzabili. Chiaro che se il termine univoco sintetico inequivocabile è un impronunciabile insieme di suoni preso di peso da un'altra lingua, il discorso cambia radicalmente. Ma se il termine regge in italiano, perché privarsene?
guidoalberto ha scritto: lun, 13 dic 2021 14:10Per il resto degli italofoni, volendo fare allo stesso tempo un po' di economia di vocaboli e un po' di chiarezza, mi sembrava sufficiente parlare del candelabro (ebraico).
Il problema è proprio questo: fare economia di vocaboli va un po' assieme all'idea di avere una lingua più semplice, più povera. Non riesce a convincermi. Istintivamente cerchiamo parole precise e concise, termini unici che evitino i giri di frase, e questo secondo me è uno dei motivi del successo dei dilaganti anglismi: quando devo usare un sostantivo e un aggettivo per specificare, e dall'altra parte mi si offre il termine singolo, pulito e chiaro... ecco, pochi resistono e lo vediamo ogni giorno.