La «chiocciola» nei dialetti

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andrea scoppa
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La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di andrea scoppa »

Apro il filone dopo aver letto questa nota dello Zibaldone...

Cosí scrive l'Alberti, nòcciolo. Cosí da cochlea, chiòcciola: noi marchegiani cucciòla.

La parola cucciòla non compare nell'AIS; al suo posto c'è coccia, cioè, a stretto rigore, la sua conchiglia. Dalle mie parti, però, l'animaletto è ancora chiamato alla maniera [dialettale] leopardiana. Qui sono riportati alcuni detti.

Invito a [ri]leggere gl'interventi «forensi» sull'argomento, scritti quasi sempre di sfuggita. Per comodità, cito le parti fondamentali.
Ferdinand Bardamu ha scritto: mar, 20 apr 2021 21:54 La coccinella era [...] un animale sacrale, cui erano attribuiti poteri magici; col venir meno di questa concezione della natura, è scomparso anche il nome popolare, complice anche il fatto che la coccinella non aveva altri impieghi: per esempio, non si mangia. Si mangia, invece, la chiocciola [...].
La chiocciola è un animale altrettanto magico [...], ma aveva e ha mantenuto una sua utilità pratica, nella cucina appunto, anche dopo la morte della civiltà contadina [...].
Millermann ha scritto: dom, 06 mar 2016 21:22 Invece il nome dialettale [di una variante calabrese] del simpatico gasteropode è «caracúellu», sicuramente derivato dallo spagnolo caracol [...].
Ferdinand Bardamu ha scritto: dom, 06 mar 2016 21:37 [D]a me [cioè in provincia di Verona] la chiocciola si chiama bogón; le chioccioline sono le bogonèle. La lumaca (altrimenti detta limaccia o lumacone: insomma, il gasteropode senza conchiglia) è la luméga.
Sixie ha scritto: lun, 07 mar 2016 9:00 [...] [L]a chiocciola o bogon o bòvoli-bovoleti a Venezia; s-cioxi a Treviso; corniòi a Vicenza; bogon- bogoni a Verona e Rovigo [...]. Il simpatico gasteropode viene definito b(u)òvolo o bògolo (bogolon) proprio a motivo della forma a spirale del guscio. Un bòvolo è anche un vortice che si crea sulla superficie dell'acqua o, per analogia, nell'aria. Creature meravigliose, i bogoni, misteriose e arcane: "Bisognava avere pazienza e blandire e minacciare a lungo prima di ottenere il piccolo miracolo", scrive Luigi Meneghello in un suo testo [...] poi continua con una delle numerose filastrocche per far uscire i corni del padrone di casa [...].
u merlu rucà ha scritto: gio, 08 ott 2009 16:01 Nel mio dialetto ligure il termine lumaca (lümasa con s sorda in dialetto) indica la chiocciola, mentre la lumaca senza guscio si chiama bagiaira [...].
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
Ligure
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Re: La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di Ligure »

andrea scoppa ha scritto: sab, 11 dic 2021 3:32 Apro il filone dopo aver letto questa nota dello Zibaldone...

Cosí scrive l'Alberti, nòcciolo. Cosí da cochlea, chiòcciola: noi marchegiani cucciòla.

La parola cucciòla non compare nell'AIS; al suo posto c'è coccia, cioè, a stretto rigore, la sua conchiglia. Dalle mie parti, però, l'animaletto è ancora chiamato alla maniera [dialettale] leopardiana. Qui sono riportati alcuni detti.

Invito a [ri]leggere gl'interventi «forensi» sull'argomento, scritti quasi sempre di sfuggita. Per comodità, cito le parti fondamentali.
u merlu rucà ha scritto: gio, 08 ott 2009 16:01 Nel mio dialetto ligure il termine lumaca (lümasa con s sorda in dialetto) indica la chiocciola, mentre la lumaca senza guscio si chiama bagiaira [...].
Preciso solo che la voce "lümassa" (caratterizzata da /-ss-/</-ʦʦ-/</-ʧʧ-/ nelle varianti che hanno conservato la geminazione consonantica come quelle di tipo genovese) risulta diffusa in tutta la regione - potendosi riscontrare anche esiti quali "limazza" o "limazzera" in zone contrassegnate da parlate arcaiche e dalla transizione di /y/>/i/ - ed è alla base dell'uso - nell'italiano locale - di "lumaca" per chiocciola. Il termine "bagiàira" è esclusivo dell'estremo ponente ligure e non sarebbe, comunque, compreso da dialettofoni di altra provenienza. La radice sembra proprio essere quella di "baggiu" - termine confrontabile con quello di altri dialetti settentrionali - che indica il "rospo"in tutta la regione.

Nel dialetto tradizionale le "lumache" vengono, invece, denominate "lümasse bouze" (l'accento è sull'o):

https://www.nikonclub.it/gallery/755584 ... riziobanzi

In realtà, "bouza" significa "viscida". Letteralmente "bavosa". Così come si chiamano "bouze" le "bavose" - pesci -, di nessun'utilità pratica, ma catturati, un tempo, colle mani o coi secchielli dai bambini tra le scogliere. Il riferimento è al muco che li riveste. La mancanza di [-v-] indica una voce del socioletto popolare, ormai estinto, ma il socioletto borghese, l'unico "sopravvissuto", accettò anticamente la versione popolare (tralasciando la propria) e - attualmente - non si potrebbe pronunciare diversamente.

La parola "baggiu" è trattata dagli studiosi come derivata da uno stadio evolutivo quale "bab(u)lu(m)>babbju>baggiu". Il che è assolutamente possibile se il termine fosse entrato in uno stadio linguistico in qualche modo "latinizzato". Ma il significato attribuito alla voce dagli etimologisti non può che risultare meramente speculativo. A meno che non si voglia innovare il panorama tradizionale e prendersi la libertà d'ipotizzare in "bab(u)lu(m)" una radice confrontabile con quella di "bava" nel senso di viscidume, dato che il dialetto verace tuttora esclude l'impiego dell'aggettivo "viscido" (reso tramite molti corrispondenti locali, tra i quali il più diffuso sembra essere, ad es., "leppegûzu").
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marcocurreli
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Re: La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di marcocurreli »

In sardo campidanese è sitzigorru.
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Ligure
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Re: La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di Ligure »

Inoltre, le chiocciole caratterizzate da opercolo - nei dialetti di tipo genovese e in molte altre parti della regione linguistica - sono dette "lümasse pajje".

La voce "pajje" altro non è se non il part. pass. femm. plur. del verbo "paî" /pa'i:/ = digerire, smaltire, ma, in questo caso, ha significato attivo - non passivo -, cioè "che hanno smaltito": /pa'i:e/>/'paie/>/paije/>/'pajje/.

Infatti, le chiocciole, prima di formare l'epiframma (o epifragma, da ἐπίϕραγμα) in previsione del letargo, liberano completamente l'intestino. L'eventuali feci residue intossicherebbero il gasteropode, che non potrebbe sopravvivere al letargo.

Anche Dante - almeno, una volta - sembra essersi avvalso del verbo riferito:

https://www.treccani.it/vocabolario/patire2/

P.S.: ovviamente, tutti i dialetti della Liguria - come gran parte dei dialetti settentrionali - possiedono il verbo "patî" = soffrire, ma si tratta d'un italianismo, per quanto radicatissimo. In posizione intervocalica, in voci di derivazione diretta, /-t-/ viene, invece, ridotto allo zero fonico o sonorizzato in /-d-/ in varietà linguistiche non liguri.

Quindi, dato che non risulta esistano ragionevoli ipotesi etimologiche in merito all'etimo di "paî" /pa'i:/ = digerire, smaltire, non sembrerebbe affatto strampalato ritenere che si tratti - assai banalmente - della regolare derivazione dal lat. "patior" - inf. class. "pati", "regolarizzato" in "patire" (da cui "patisco" ecc.) - nell'accezione di "incassare".

Partendo da un significato del tipo di "sopportare, tollerare", ad es., una sbornia piuttosto che una bevuta o una nutrizione equilibrata e giungendo a essere impiegato nel senso di "smaltire", da cui, successivamente, si sarebbe pervenuti anche a "digerire".

P.P.S.: altrettanto ovviamente, tutti i dialetti liguri hanno, ormai, forme analoghe all'esito genovese "diggerî", ma si tratta d'evidenti italianismi. Nel sistema linguistico locale /ʤe/ dal lat. "ge" ed /-r-/ non risultano possibili. Se si trattasse di derivazione diretta, a Genova, ad es., si dovrebbe usare la pronuncia "dizei" */di'zei/, ma un tale esito - del tutto regolare - non è mai esistito né nel capoluogo né in alcun punto della regione.

La specializzazione di "paî" /pa'i:/ negli aspetti del metabolismo potrebbe, per altro, giustificare il ricorso - e non solo nella linguistica ligure - a un italianismo ("patî" = soffrire) per indicare un aspetto certamente meno vitalistico dell'esistenza (rispetto al ciclo della nutrizione), ma difficilmente eliminabile in toto.

Quindi, linguisticamente, potrebbe trattarsi - sostanzialmente - dello stesso verbo. Riscontrabile tanto nella versione diretta locale quanto come prestito locale dalla lingua di cultura in base a un differenziale semantico convenuto e risalente alla formazione delle parlate settentrionali.
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u merlu rucà
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Re: La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di u merlu rucà »

Secondo Mariafrancesca GIULIANI, Opera del Vocabolario Italiano (CNR, Firenze), in Tra lessicografia e geolinguistica (rileggendo Folena), il toscano patire deriva (come prestito) dal tipo settentrionale paì(re) < PAIDIRE REW 6151, mentre la forma indigena toscana è smaltire.
Largu de farina e strentu de brenu.
Ligure
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Re: La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di Ligure »

È un verbo che - come molti altri - dopo tanti secoli di onorato servizio anela a un meritato periodo di quiescenza.

Le prime attestazioni liguri sono nell'Anonimo (1284-1311), che così descrive il "peccato della gola":
Sì è ingorda de strangotir / che tu no poi (puoi) mezo pair.

In un'epoca di carenza diffusa di carboidrati e grassi nell'alimentazione dei più era "peccato" solo se si mangiava il doppio di quanto sarebbe stato necessario ... :wink:

P.S.: il verbo rimane nel linguaggio d'alcuni vecchi per distinguere il significato metaforico da quello della digestione fisiologica (per cui s'impiega l'italianismo precedentemente segnalato): "Questu nû (nu-u = non lo) possu paî" = "Di ciò non riesco (proprio) a farmi una ragione / non riesco (proprio) a farmene una ragione".
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Carnby
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Re: La «chiocciola» nei dialetti

Intervento di Carnby »

Qui martinone o martinaccio, per le chiocciole di dimensioni più grandi, generalmente di bassa qualità.
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