Proposte di riforma ortografica di Castellani

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G. M.
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Proposte di riforma ortografica di Castellani

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Ho scoperto solo recentissimamente, leggendo un intervento di Decimo di dieci anni fa, l'esistenza di una proposta di riforma grafica niente meno che del nostro amato Castellani. Appena ho potuto mi sono precipitato in biblioteca! :D

Sapendo che sarà di sicuro interesse per molti frequentatori del fòro, riporto i contenuti salienti dell'articolo.

Nel breve testo Castellani presenta non una, ma ben due proposte di riforma ortografica.

* * *

La prima proposta, poi scartata, era stata pensata per un articolo su Lingua nostra «fortunatamente» rimasto inedito. Castellani scrive [qui trascritto colla grafia della seconda proposta; v. sotto]:
Dicevo, in quell'articoletto, chê sarèbbe urgènte trovare il mòdo di distìnguere nella scrittura quel chê è distinto nella pronuncia, «diversamente si corre davvero il rischio di provocare la scomparsa, in un futuro più ô meno pròssimo, d'alcune oppoşizioni fonemàtiche caratterìstiche dell'italiano». Seguitavo così: «Il difètto dei progètti di riforma chê hò visti finora è nella loro stravaganza, ô nella loro incompletezza ê timidità. Non mi pare chê cambiamenti graduali àbbiano molta probabilità d’imporsi. Perché un sistèma pòssa venir accettato bişogna chê sia complèto, chê permetta di risalire in tutti i caşi alla pronuncia corrètta, sènza chê rimàngan dubbi. Bişogna d'altra parte chê sia immediatamente comprensìbile: gli eventuali segni nuòvi dèbbono lasciare sostanzialmente immutata la fişionomìa del sistèma tradizionale. È anche necessario, per la ràpida diffuşione della riforma, chê quei segni non si dèbban far fare appòsta, mâ sìan già in dotazione â tutte le tipografìe (ê sìan compresi, possibilmente, nelle tastière delle màcchine da scrìvere)».
§ I. Tale prima proposta consisteva delle seguenti innovazioni:
  1. Accenti grafici: si scrivono:
    1. «negli stessi caşi, pressappòco, in cui si hanno in ispagnòlo»;
    2. sulle parole piane con e e o aperte;
    3. su tutti i monosillabi che determinano il raddoppiamento fonosintattico;
    4. accento acuto su o e e chiuse, grave sulle altre vocali, comprese i e u;
  2. ⟨x⟩ per s sonora /z/ [non è precisato, ma si suppone solo nei casi ambigui];
  3. ⟨ç⟩ per z sonora /ʣ(ʣ)/;
  4. dieresi ⟨¨⟩ su i e u pronunciate come vocali (/i/, /u/) e non come «semivocali» (/j/, /w/) davanti a vocale tonica;
  5. lineetta per indicare l'elisione, in fin di parola, d'una i preceduta da consonante palatale (⟨dièci-anni⟩ per /djɛʧ a̍nni/, ⟨gli-amici⟩ per /*ʎ ami̍ʧi/).
Questo sistema venne poi rifiutato da Castellani stesso:
Sistèma praticamente complèto, non molto divèrso dâ quello eşistènte, sènza segni speciali... Già, mâ non avevo badato â un'altra condizione: chê il sistèma nuòvo fosse compatìbile con quello tradizionale. L'uşo di x e ç romperèbbe la continuità frâ la grafìa stòrica ê la grafìa ortofònica (ê lo stesso succederèbbe sê s'accentàssero indiscriminatamente tutti i monosìllabi chê vògliono il raddoppiamento).
* * *

§ II. La seconda proposta, messa in uso nell'articolo stesso (come nei branetti appena citati) è la seguente:
  1. Accenti grafici (acuto e grave):
    1. si segnano sempre su e e o aperte;
    2. si tralasciano sulle altre vocali, «sê la tònica è la penùltima vocale d'una paròla terminante in vocale ô l'ùltima vocale d'una paròla terminante in consonante; si segna negli altri caşi»; ma
      • «[s]ono dâ considerarsi â parte le voci chê hanno alla fine, dopo almeno un'altra sìllaba, i ô u seguite dâ vocale: in queste voci l'accènto si segna sê i, u sono tòniche (pendìo, ecc.), altrimenti si tralascia (ampio, ecc.)»;
    3. si lasciano come sono sui monosillabi tradizionalmente accentati;
  2. si mette l'accento circonflesso ⟨ˆ⟩ [proposta suggerita da Fiorelli]:
    1. sugli altri monosillabi che producono il raddoppiamento fonosintattico (oltre a quelli accentati);
    2. «sulla vocale finale di qualunque altra voce chê nell'uşo odièrno abbia potere rafforzativo» (es. ⟨qualchê⟩);
    3. nelle maiuscole, Castellani segnerebbe normalmente gli accenti acuto e grave, lasciando invece cadere il circonflesso «comê si fâ di nòrma in franceşe per i tìtoli dei libri»;
    4. «Eccezioni: non si ha il raddopiamento [sic] dopo Geşù, nella sola espressione Geşù Cristo; ê non è possibile [sic, senz'accento] indicare il raddoppiamento (costante dopo ogni voce chê finisca in vocale) della d di Dio (dèi, dèa, dèe). Né è possìbile indicare la èsse doppia di Spìrito Santo (salvo scrivendo Spiritossanto)»;
  3. ⟨ş⟩ per s sonora /z/, solo nei casi ambigui;
  4. ⟨z̧⟩ per z sonora /ʣ(ʣ)/;
    • (Castellani spiega questa scelta grafica: «Avevo pensato dapprincipio anche ad altri segni (èsse lunga ê z̧èta lunga [cioè, rispettivamente, ⟨ſ⟩ o forse ⟨ʃ⟩ (v. sotto) e ⟨ʒ⟩]). Mâ le cediglie mi sémbran più pràtiche, più ‹econòmiche›: sèrvono sia per le minùscole chê per le maiùscole, si pòssono aggiùnger dopo, si pòssono sostituire con vìrgole; ê pòi rispóndon mèglio al critèrio fondamentale del nòstro sistèma, chê è quello di non alterare la fişionomìa delle lèttere normalmente usate. Per la stampa, c'è l'inconveniènte chê i due caràtteri vanno fatti fare appòsta». In una nota a piè di pagina precisa: «Com'è nòto, l'èsse con cediglia è adoperata in romèno ê in turco (dovê vale èsse palatale); quindi può èsser già disponìbile in qualchê tipografìa»);
  5. dieresi su i vocalica se:
    1. l'i è immediatamente precedente a una tonica (⟨vïale⟩ ma ⟨vialetto⟩);
    2. l'i ha pronuncia propria dopo ⟨sc⟩, indipendentemente dalla posizione dell'accento (⟨scïare⟩ e anche ⟨scïatore⟩);
  6. dieresi su u vocalica se:
    1. l'u è immediatamente precedente a una tonica e segue una g (⟨argüisco⟩ ma ⟨arguivamo⟩);
    2. l'u precede un'o aperta (⟨arcüò⟩, ⟨attüò⟩, ⟨tolüòlo⟩);
  7. s'intende che l'elisione di i in ci e gli (e degli, agli, ecc.) avviene sempre, anche se non è segnata graficamente; negli altri casi, «molto rari», «la caduta della i può èssere indicata, mèglio chê con una lineetta, con un apòstrofo: dièci'anni»;
  8. le parole in cui il gruppo gl di gli rappresenta /ɡl/ Castellani le lascerebbe come eccezioni, conservando la grafia normale; tutt'al più, «si potrèbbe aggiùngere un'h: ganghlio, ghlìcine», ma ribadisce che a parer suo quest'espediente non è necessario.
Come osservazione generale, scrive che:
Si può scrìvere, anzi bàttere â màcchina qualcòsa in grafìa sòlita, ê pòi méttere i segni diacrìtici (così hò fatto io per questa nòta); ê per tornare dalla grafìa ortofònica â quella tradizionale basta levare gli accènti gravi ê acuti non finali3, gli accènti circonflessi, le cediglie, le dïèreşi. [...]

3 E gli accènti gravi sulle voci verbali (chê nella scrittura normale è più spesso sènz'accènto), , , , stò, .
* * *

Dopo questo sforzo sintetizzatore-trascrittorio, per eventuali integrazioni sui temi a margine, e miei commenti, mi riservo d'intervenire successivamente. :twisted:
Ultima modifica di G. M. in data sab, 22 gen 2022 14:27, modificato 2 volte in totale.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di Infarinato »

Sí, lo conosco bene, caro G.M., e le mie osservazioni sul Suo ottimo saggio (che purtroppo non ho piú avuto il tempo di ultimare :-() vertevano proprio sulle (inconsapevoli) similitudini col lavoro castellaniano e gli spunti che poteva trarne per un’eventuale nuova edizione del Suo libro… :-)
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di andrea scoppa »

Ma il Castellani scrisse qualcosa anche sull'uso degli accenti nei polisíllabi apocopati e nei cultismi terminanti in -Vs?
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di G. M. »

Infarinato ha scritto: lun, 17 gen 2022 13:03 Sí, lo conosco bene, caro G.M., e le mie osservazioni sul Suo ottimo saggio (che purtroppo non ho piú avuto il tempo di ultimare :-() vertevano proprio sulle (inconsapevoli) similitudini col lavoro castellaniano e gli spunti che poteva trarne per un’eventuale nuova edizione del Suo libro… :-)
La ringrazio ancora molto per l’apprezzamento; e non si preoccupi: penso che passerà un po’ di tempo prima che l’editore mi chieda una seconda edizione (o che io insista per farla —non per mancanza di voglia, ma per mancanza di tempo :P—). Per cui, se desidera, faccia pure senza fretta. :)
andrea scoppa ha scritto: lun, 17 gen 2022 15:51 Ma il Castellani scrisse qualcosa anche sull'uso degli accenti nei polisíllabi apocopati e nei cultismi terminanti in -Vs?
In quel testo lì, no; altrove, non so.
Per i termini in -Vs (presumo intenda latinismi e grecismi del tipo ictus, virus, topos, polis) immagino che Castellani li considerasse parole non italiane (sign. 2) e quindi non interessate da una riforma dell’ortografia italiana.

Nell’intervento iniziale ho aggiunto ora «§ I» per la prima proposta e «§ II» per la seconda, così possiamo citare i singoli punti più sinteticamente.

Al § II.4, per l’«esse lunga», ieri ho scritto fra parentesi «cioè […] ⟨ʃ⟩». Ma poi, ripensandoci nel pomeriggio, mi sono ricordato che nell’uso tipografico tradizionale l’esse lunga è quest'altra: ⟨ſ⟩, come scritto per esempio qui (primo capoverso). Le due spesso sono praticamente uguali nel corsivo (un esempio qui, nel sottotitolo). Se sapete dirmi qualcosa in proposito vi ringrazio, altrimenti correggo la mia nota stando più sul vago.

Qualche osservazione.

§ II.2. Il circonflesso mi pare una scelta assai interessante per rappresentare l’RF (/ɛrreɛ̍ffe/; ‘raddoppiamento fonosintattico’). È un simbolo che già ci appartiene, e si tratterebbe solo di dargli una seconda funzione (che diventerebbe poi, per frequenza, chiaramente la “prima”). Mi sembra che, formalmente, non ci sia possibilità di confusione fra le due funzioni: non ci sono casi di riduzione di /-jo/ che diano dei monosillabi al plurale, né casi di RF eccezionale dopo polisillabi non tronchi che finiscano per i (o ce ne sono? Non me ne viene in mente neanche uno). Poi, certo, nella pratica una confusione (per cui si legge il circonflesso “classico” col valore di quello nuovo) è sicuramente una possibilità.

Un problema può essere la notevole pesantezza grafica. Questi circonflessi diventano molto “vistosi” non solo perché numerosi ma per il fatto di trovarsi su parole tanto brevi, spesso proprio costituite da solo una vocale: ciò li fa spiccare ancora di più. (Questa della pesantezza grafica, per qualsiasi soluzione al problema dell’RF, era infatti —ed è— una delle principali preoccupazioni irrisolte nel mio progettino di riforma grafica, a cui fa riferimento Infarinato).

Allo stesso tempo, so che l’abitudine, per queste cose, è fondamentale. Li troveremmo “pesanti”, se li usassimo da sempre? Magari ci sembrerebbero bellissimi e ci vanteremmo delle nostre “lettere colla punta”, così logiche e precise! :P (E se qualcuno ci proponesse di toglierli per ragioni di leggerezza estetica, gli risponderemmo: «Barbaro! Toglieresti gli ornamenti a una cattedrale gotica, per farla più “leggera”?»).
Dal punto di vista «estètico», gli accènti parranno tròppi. Mâ il bèllo ê il brutto, in questo campo, sono escluşivamente question d’abitùdine. Una pàgina in grèco non sembra cèrto brutta â nessuno… E â chî verrèbbe in mente di lamentarsi perché in franceşe ci son paròle con due ô trê accènti ciascuna [...]?
Forse non direi «esclusivamente» come Castellani, ma sicuramente direi «in modo rilevante».

In ogni caso, mi farebbe piacere approfondire e, quando potrò, cercherò il testo di Fiorelli (articolo Del raddoppiamento da parola a parola, in Lingua nostra, XIX, 1958).

§ II.2.c. Non capisco bene perché togliere i circonflessi (e solo loro) dalle maiuscole. Una volte che si mettono in uso, usiamoli sempre, no? ;)

§ II.2.d. Mi sembra che il problema dell’RF di Dio, dèi, ecc., si possa risolvere riprendendo semplicemente lo stesso simbolo: ⟨D̂io⟩, ⟨d̂èi⟩, eccetera. Chiaramente non è “proprio la stessa cosa”, visto che il circonflesso segnalerebbe qui ‘la consonante che raddoppia’, mentre altrove ‘la vocale dopo la quale si raddoppia’; ma mi sembra comunque un’estensione piuttosto intuitiva. È un po’ bizzarro, ma dopotutto non molto più “inusitato”, graficamente, di z e s cedigliate.

Ancora più banalmente, non mi è chiaro perché non si possa scrivere ⟨Spìritô Santo⟩ col circonflesso (posto, naturalmente, che ⟨Spiritossanto⟩ univerbato va benissimo), solo in questa locuzione cristallizzata, mentre altrove ⟨spìrito⟩ senza ⟨ô⟩.

Nel caso di Gesù Cristo, invece, escludendo l’introduzione d’un ulteriore nuovo simbolo specifico per rappresentare ‘l’accentazione non raddoppiante’, lì sì che la soluzione potrebbe essere l’univerbazione: ⟨Geşucristo⟩. (Simile, per esempio, allo spagnolo Jesucristo —la forma estesa sarebbe addirittura Jesús Cristo—… e anche già usato in italiano: un esempio). E idem nel caso, visto di recente, di sì sì e no no.

§ II.5–6. Questo mi lascia un po’ perplesso. Non si scrive ⟨vïaletto⟩ né ⟨argüivamo⟩ —presumo— per non confliggere col significato tradizionale della dieresi in poesia. Si scrive però in ⟨scïatore⟩, accettando il (possibile) conflitto… a questo punto sembrerebbe forse più sensato avere la stessa cosa ovunque, per uniformità, e usare la dieresi anche negli altri casi. Che si scelga di usare ⟨¨⟩ con un nuovo significato, oppure no e scrivere ⟨sciatore⟩ in poesia ove trisillabo (/*[ˌ]ʃia-to̍-re/), in ogni caso si avrà un’ambiguità. Il problema è che, per quanto ne capisco io, questa questione grafica (tenendo in conto anche la poesia) non si può proprio risolvere completamente col solo uso della dieresi… purtroppo, perché mi sembrerebbe proprio il simbolo “giusto”.

A parte i punti osservati sopra, il (secondo) sistema, pur molto valido, manca di rappresentare e e o aperte fuor d’accento primario (se ne è parlato da qui in avanti). (Sarà una minuzia, ma qui possiamo essere minuziosi… :)).

…Per altre considerazioni, al prossimo intervento…
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di andrea scoppa »

G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 In quel testo lì, no; altrove, non so.
Per i termini in -Vs (presumo intenda latinismi e grecismi del tipo ictus, virus, topos, polis) immagino che Castellani li considerasse parole non italiane (sign. 2) e quindi non interessate da una riforma dell’ortografia italiana.
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 Mâ il bèllo ê il brutto, in questo campo, sono escluşivamente question d’abitùdine.
Suppongo che, con questo sistema di scrittura, le parole uscenti in -Vn, -Vm, -Vl, -Vr, acute e con -V- chiusa non siano graficamente accentate. Ragion per cui, voci come «pompon», «totem», «tunnel» e «radar» si dovrebbero scrivere pompòn, tòtem, túnnel e ràdar; mentre «ramadan», «imam», «festival» ed «elisir» rimarrebbero senz'accento. Al contrario, «virus», «lapis» e «gratis» ubbidirebbero alle regole delle parole piane con terminazione vocalica, e s'avrebbe accendigàs. A ogni modo, se possibile, meglio ottare per traducenti e adattamenti totali: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8.
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 Mi sembra che il problema dell’RF di Dio, dèi, ecc., si possa risolvere riprendendo semplicemente lo stesso simbolo: ⟨D̂io⟩, ⟨d̂èi⟩, eccetera.
Ddio, ddèi, ddèa, ddèe? Oppure si potrebbe introdurre un nuovo simbolo da mettere al posto di -dd-, ma mi sembra eccessivo.
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 (posto, naturalmente, che ⟨Spiritossanto⟩ univerbato va benissimo)
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 Nel caso di Gesù Cristo, invece, escludendo l’introduzione d’un ulteriore nuovo simbolo specifico per rappresentare ‘l’accentazione non raddoppiante’, lì sì che la soluzione potrebbe essere l’univerbazione: ⟨Geşucristo⟩.
A mio modesto avviso, «Spiritossanto», «Gesucristo» e «avemmaria» sono belle forme da riesumare.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

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andrea scoppa ha scritto: mar, 18 gen 2022 17:19 Suppongo che, con questo sistema di scrittura, le parole uscenti in -Vn, -Vm, -Vl, -Vr, acute e con -V- chiusa non siano graficamente accentate. [...] Al contrario, «virus», «lapis» e «gratis» ubbidirebbero alle regole delle parole piane con terminazione vocalica [...]
Non serve fare supposizioni: guardi meglio il § II.1.b. :wink:

Preciso comunque che, se non se ne fa un adattamento completo, mi sembrerebbe meglio considerare quelle voci come forestierismi non (totalmente) adattati, da scrivere in corsivo senza modificarne la grafia (come oggi scriviamo captatio benevolentiae e non captaz(z)io benevolenzie, anche se quest'ultima è effettivamente la nostra pronuncia).

Scendendo più nei dettagli, si potrebbe considerare invece l'ipotesi di scrivere tutti i forestierismi come si pronunciano secondo la nostra grafia, come si fa spesso per gli anglicismi (e altri forestierismi, e nomi propri) in lingue che non usano l'alfabeto latino (a volte anche in quelle che lo usano, per esempio l'azero; perlomeno nella nostra enciclopedia preferita :P). Anche così, naturalmente mantenendo il corsivo, per rimarcarne la non piena inclusione nel nostro sistema, essendo l'adattamento puramente grafico: ⟨Il compiùter non vâ onlàin, bişogna fare un àpgreid del sòftuer⟩.
andrea scoppa ha scritto: mar, 18 gen 2022 17:19 Ddio, ddèi, ddèa, ddèe? Oppure si potrebbe introdurre un nuovo simbolo da mettere al posto di -dd-, ma mi sembra eccessivo.
Anche quella (la prima) è una possibilità (inoltre: ⟨Ddio⟩, ⟨dDio⟩ o ⟨DDio⟩? Cfr. questo); ma:
  • risulta piuttosto brutta e contraddittoria se usata dopo una consonante (⟨Il Ddio degli ebrèi⟩, ⟨non ddèi mâ uòmini⟩) o a inizio di frase (⟨Ddio è il creatore⟩), dove questa doppia non si pronuncia;
  • se si sceglie una grafia variabile, come l'odierna dopo una consonante mentre con ⟨d⟩ doppia dopo una vocale, c'è la scomodità di cambiare la grafia: formalmente non mi sembra nulla di troppo alieno alla nostra lingua (scriviamo ⟨l'altr'anno⟩ modificando la grafia normale delle parole per rappresentare la loro pronuncia in quel caso), ma comunque non comodissimo;
  • in ogni caso, è in parziale contrasto cogli altri casi di raddoppiamento, dato che qui scriveremmo la doppia in estremo di parola esplicitamente, mentre negli altri sarebbe sottintesa. (Viceversa, si potrebbe renderla esplicita ovunque... :twisted:).
Per cui, se si sceglie un simbolo per l'RF "normale", mi sembra più semplice estenderlo anche a questo caso speciale.
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 [...] non ci sono casi di riduzione di /-jo/ che diano dei monosillabi al plurale [...]
(Intendevo, naturalmente, dei monosillabi monovocalici; altrimenti ce ne sono sì, saî, gaî, guaî, cuoî... [Correggetemi se dico sciocchezze, ché per me la "sillaba" è sempre stata un'entità un po' difficile da padroneggiare :mrgreen:]).
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

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G. M. ha scritto: mer, 19 gen 2022 0:04 Non serve fare supposizioni: guardi meglio il § II.1.b. :wink:
M'era sfuggito! La ringrazio di avermelo fatto notare.
G. M. ha scritto: mer, 19 gen 2022 0:04 Per cui, se si sceglie un simbolo per l'RF "normale", mi sembra più semplice estenderlo anche a questo caso speciale.
Per il momento sospendo il giudizio. Ma una soluzione mi piacerebbe molto: nel mio dialetto, di parole che si comportano similmente ce ne sono un monte. V.g. mmàchina, mmèrda, ccuşí, qqui, lli ecc.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di andrea scoppa »

Fuori tema
andrea scoppa ha scritto: mer, 19 gen 2022 3:16mmèrda
L'ho sentito anche da qualche giovine toscano. :o
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di Infarinato »

G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 …non ci sono casi di riduzione di /-jo/ che diano dei monosillabi al plurale…
No, non ci possono essere casi d’ambiguità con monosillabi [monovocalici] di codesto tipo, ché in tal caso (mi viene in mente solo chiò) il singolare dovrebbe (deve) avere la o accentata /ɔ/ (ed essere quindi scritto con ò) e avere un plurale invariato (altrimenti, dovrebbe essere la /i/ accentata, per cui il plurale sarebbe obbligatoriamente in -ii /ı̍i).
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 § II.2.c. Non capisco bene perché togliere i circonflessi (e solo loro) dalle maiuscole. Una volte che si mettono in uso, usiamoli sempre, no? ;)

§ II.2.d. Mi sembra che il problema dell’RF di Dio, dèi, ecc., si possa risolvere riprendendo semplicemente lo stesso simbolo: ⟨D̂io⟩, ⟨d̂èi⟩, eccetera.
L’unica ragione per cui il Castellani non ha fatto codeste ragionevolissime proposte è che ai quei tempi si scriveva ancora a macchina, e TEX e Unicode erano ancora di là da venire… E persino certi sistemi operativi odierni non sono in grado di rendere le combinazioni , con un unico carattere in ogni circostanza! ;)

Diacritico per diacritico, preferirei, però, usare il segno di lunga, cosí da rendere disponibile l’accento circonflesso per usi piú tradizionali: , sē mai, comē, qualchē, d̄io (o meglio, ḏio, come per ogni altro carattere con asta ascendente).
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 Ancora più banalmente, non mi è chiaro perché non si possa scrivere ⟨Spìritô Santo⟩ col circonflesso (posto, naturalmente, che ⟨Spiritossanto⟩ univerbato va benissimo), solo in questa locuzione cristallizzata, mentre altrove ⟨spìrito⟩ senza ⟨ô⟩.
Sí, l’univerbazione è davvero l’unica opzione, spirito raddoppiando la consonante successiva solo in Spirito Santo, e nemmeno in un generico spirito santo.

Discorso uguale e opposto per Gesú Cristo.
G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 § II.5–6. Questo mi lascia un po’ perplesso. Non si scrive ⟨vïaletto⟩ né ⟨argüivamo⟩ —presumo— per non confliggere col significato tradizionale della dieresi in poesia. Si scrive però in ⟨scïatore⟩, accettando il (possibile) conflitto… a questo punto sembrerebbe forse più sensato avere la stessa cosa ovunque, per uniformità, e usare la dieresi anche negli altri casi.
Anche qui credo che il tentativo sia quello di limitare il piú possibile i diacritici, non di segnalare la possibilità di una sineresi, ma concordo: si scriva sempre ï quando la pronuncia normale della parola lo richiede.
andrea scoppa ha scritto: mer, 19 gen 2022 3:16 [U]na soluzione mi piacerebbe molto: nel mio dialetto, di parole che si comportano similmente ce ne sono un monte. V.g. mmàchina, mmèrda, ccuşí, qqui, lli ecc.
Com’è stato già ricordato, la proposta del Castellani si applica alla lingua italiana (e alla pronuncia tradizionale dell’italiano): sarebbe assai arduo elaborare una riforma ortografica che contemplasse anche altre varietà italoromanze…
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

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Infarinato ha scritto: mer, 19 gen 2022 16:50 Com’è stato già ricordato, la proposta del Castellani si applica alla lingua italiana (e alla pronuncia tradizionale dell’italiano): sarebbe assai arduo elaborare una riforma ortografica che contemplasse anche altre varietà italoromanze…
Sono d'accordo con lei. Vorrei solo «prendere in prestito» l'eventuale proposta, quella per risolvere la questione § II.2.d., al fine di contrassegnare (piú elegantemente) le pregeminazioni nel mio dialetto.
È cosí piana e naturale e lontana da ogni ombra di affettazione, che i Toscani mi pare, pel pochissimo che ho potuto osservare parlando con alcuni, che favellino molto piú affettato, e i Romani senza paragone.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

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Infarinato ha scritto: mer, 19 gen 2022 16:50 Diacritico per diacritico, preferirei, però, usare il segno di lunga, cosí da rendere disponibile l’accento circonflesso per usi piú tradizionali: , sē mai, comē, qualchē, d̄io (o meglio, ḏio, come per ogni altro carattere con asta ascendente).
Come mai proprio il segno di lunga? Mi sembra una scelta curiosa, dato che quelle vocali sono anzi "caratterizzate" dalla brevità, essendo sempre in sillaba chiusa... avrei detto piuttosto, allora, un segno di breve. :?: (Però poi in effetti quella d è lunga e non breve... :mrgreen:).

PS. Mi correggo: non sono sempre in sillaba chiusa, almeno non davanti a /w/ e /j/.
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di G. M. »

G. M. ha scritto: mar, 18 gen 2022 11:34 In ogni caso, mi farebbe piacere approfondire e, quando potrò, cercherò il testo di Fiorelli (articolo Del raddoppiamento da parola a parola, in Lingua nostra, XIX, 1958).
Sono riuscito a procurarmelo. :) Il testo è un breve saggetto che illustra il funzionamento del raddoppiamento fonosintattico, con utili dettagli pratici e osservazioni interessanti. Purtroppo non dice molto per la questione di cui ci interessavamo qui: la proposta è una semplice osservazione di passaggio in una nota a piè di pagina, senza spiegazioni aggiuntive sulla scelta del simbolo o altro. La riporto integralmente (nota 6 a p. 123):
(6) In grafie ortoepiche a scopo didattico, e magari in un'eventuale riforma ortografica che si fondasse su un'applicazione generalizzata e regolarizzata dell'accento scritto, questo segno [«l'accento scritto»] potrebbe utilmente essere adoprato per indicare il raddoppiamento, oltre che l'accento tonico. Naturalmente non mancherebbero alcuni inconvenienti: non si potrebbe accentare la vocale finale di quei pochi bisillabi piani che raddoppiano; e si confonderebbero tra loro alcuni monosillabi che hanno uguale pronunzia (es. da e ; se ne distinguerebbero in compenso altri che l'hanno diversa: es. se congiunzione e se particella pronominale). All'uno e all'altro inconveniente si potrebbe rimediare usando l'accento circonflesso, come segno del solo raddoppiamento, per quelle vocali finali che nell'odierna ortografia normale non portano accento né grave né acuto (es. comê fare, dâ noi, sê credi). Del resto....c'è tempo di pensarci.
La nota 4, a p. 122, mi fa scoprire cose che non conoscevo:
(4) Anche nei testi in grafia ortoepica il raddoppiamento sintattico non è indicato, stante la difficoltà di rappresentarlo con segni chiari e non ingombranti. Fanno eccezione il Piccolo italiano del Hecker [sic], nelle prime otto edizioni, e l'Italian Conversation Grammar del Chisini. Questi due veramente ottimi manuali di conversazione, il secondo dei quali non è più in commercio mentre il primo ha avuto nel '56 un'edizione postuma accuratamente peggiorata, si servono del segno di legamento, o in altre parole di quella parentesi tonda disposta orizzontalmente che si trova spesso usata per indicare in testi didattici la liaison del francese.
Non ho nessuno dei due libri tra le mani, ma qui si vedono alcuni pezzetti del primo dove possiamo vedere tale soluzione (qui rappresento tale simbolo con un «breve combinatorio inferiore», combining breve below, U+032E): «che ̮giù», «è ̮bèll' e ̮passato», «e ̮política», «utilità ̮prática». Interessante anche questa soluzione.

Merita infine di essere riportata la nota 28 a p. 126:
(28) La difficoltà [dei «settentrionali [che] non hanno consonanti doppie nei dialetti e quindi trovano difficoltà a fare i raddoppiamenti parlando in lingua»] è accresciuta dall'insufficienza della grafia [normale odierna dell'italiano, che non rappresenta l'RF]. Ma non credo che questa sia qualcosa di decisivo: il tipo del settentrionale colto che fa sentire tutte le consonanti doppie all'interno di parola e non fa mai i raddoppiamenti sintattici, esiste senza dubbio in teoria, ed è bene che esista per comodità didattica, ma gli esemplari che è dato d'incontrare son piuttosto pochi.
È notevole come, in nemmeno cent'anni (appena 64, per l'esattezza, dal 1958 al 2022), questo «tipo» che per Fiorelli era poco più che un caso teorico sia diventato la realtà normale e ampiamente maggioritaria del settentrione. Anche in questo vediamo la lungimiranza quasi "profetica" di Castellani, quando diceva che senza rappresentarle nella grafia «si corre davvero il rischio di provocare la scomparsa, in un futuro più ô meno pròssimo, d'alcune oppoşizioni fonemàtiche caratterìstiche dell'italiano».
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di Millermann »

Mi permetto d'intervenire anch'io in questo filone perché ho seguito con interesse quanto da lei cosí minuziosamente riportato, e vorrei bonariamente fare alcune osservazioni. :)

Premetto che, nel mio piccolo, non sento alcun bisogno di una riforma ortografica dell'italiano: mi ritengo abbastanza tradizionalista per quanto attiene alle regole ortografiche, tuttavia ho spesso fantasticato su innovazioni –intelligenti– per migliorarle.

Uno degli aspetti che mi hanno sempre interessato è proprio quello del modo di rendere evidente, nella grafia, il raddoppiamento fonosintattico: trovandomi talvolta a scrivere dei testi nel mio dialetto, che lo prevede, sento spesso il bisogno di una regola, semplice e non pesante, per rappresentare graficamente tale aspetto.

Al contrario, non ravviso una simile necessità in italiano: trovo naturale e arricchente che esistano pronunce diverse da quella normale a causa dei vari accenti regionali, e introdurre dei binari rigidi entro cui incanalarla mi sembra un'inutile forzatura.

Ciò detto, ho qualche perplessità riguardo alle proposte suggerite (mi riferisco, naturalmente, alle due principali: la proposta di cui al § II [suggerita da Fiorelli] con l'accento circonflesso sulla «vocale dopo la quale si raddoppia» e l'altra [usata da Hecker e Chisini] col simbolo del «legamento» tra la vocale raddoppiante e la consonante «raddoppiata»).

Ebbene, la mia obbiezione è dettata dal fatto che entrambe le proposte mi sembrano controintuitive. :? Cozzano, cioè, col significato suggerito dal simbolo usato, e anche se non si creano ambiguità, si ottiene un risultato valido forse per la decodifica da parte di un calcolatore, ma non di un essere umano. :P

Nel primo caso, l'accento circonflesso agisce normalmente «allungando» o comunque modificando il carattere su cui è posto, e non quello successivo. Cosí, scrizioni del tipo comê fare, dâ noi, sê credi mi suggeriscono di allungare la vocale (‹comee fare›, ‹daa noi›, ‹see credi›) e non il RF (vedi anche la nota in fondo).

Stesso ragionamento, piú o meno, per l'altra proposta: il legamento mi suggerisce di togliere, non d'aggiungere qualcosa. Cosí mi verrebbe spontaneo «legare» un vado a ̮casa non raddoppiando, bensí unendo tra loro le due parole («vado acasa»).

Invece, una possibilità che mi convince, e che appoggerei senza riserve, è quella (cui s'è accennato di sfuggita nel trattamento delle eccezioni) d'inserire un accento circonflesso proprio sopra la consonante raddoppiata. Quindi, ad esempio: vado a ĉasa a M̂ilano.

Ciò significa, ovviamente, che tale accento non è parte integrante della parola (a meno che non sia pregeminante), ma compare solamente quando essa, a causa di quella precedente, è soggetta al RF.
Un riferimento per chi legge, dunque, piuttosto che per chi scrive, il quale ha facoltà d'ignorare, se le sue conoscenze non glielo consentono, l'inserimento del diacritico.

Del resto, esisteranno sempre testi «precedenti alla riforma», non facenti uso della nuova simbologia, i quali risulteranno meglio integrati se questa non sarà «obbligatoria».

Anche la leggibilità del testo ne guadagnerebbe, poiché l'accento non comparirebbe se non è necessario (evitando, cosí, di appesantire inutilmente grafie come vado â scuola â Imperia ;)). Si risolverebbero, inoltre, alla radice i problemi legati alle eccezioni, precedentemente citati.

L'unica controindicazione che trovo è la difficoltà di applicazione, visto che questo tipo di accento sulle consonanti è raro da trovare. Esiste, anche qui, un «carattere combinatorio» Unicode per l'accento circonflesso, ma non saprei dire se risulti semplice inserirlo o no.

In ogni caso, per rispondere anche al nostro Andrea Scoppa, mi sembra un metodo perfetto per riprodurre la pronuncia dialettale o regionale «pregeminante» (la m̂àchina, fai ĉuşí, andiamo l̂í…) di cui avevamo parlato qui un po' di tempo fa. ;)

Nota: Nei dialetti meridionali l'accento circonflesso è spesso usato per esprimere le vocali lunghe derivanti dalla contrazione di piú vocali vicine. Ad esempio «dâ» (=dalla o della), «â» (=devi, lett. hai (d)a), ecc. Ed è questo uno dei motivi per cui l'uso (graficamente identico) per indicare il RF mi appare controintuitivo: riterrei, infatti, auspicabile che una nuova norma riguardante la grafia dell'italiano non contrastasse con quelle già applicate ad altre lingue minori esistenti nella nostra penisola. :)
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

Intervento di G. M. »

Millermann ha scritto: mar, 05 apr 2022 15:50 Ebbene, la mia obbiezione è dettata dal fatto che entrambe le proposte mi sembrano controintuitive. :? Cozzano, cioè, col significato suggerito dal simbolo usato, e anche se non si creano ambiguità, si ottiene un risultato valido forse per la decodifica da parte di un calcolatore, ma non di un essere umano. [...]
Concordo pienamente con la sua osservazione: la soluzione che propone lei sarebbe molto più facile da leggere... e allo stesso tempo molto più difficile da scrivere. Questo secondo tipo di soluzione implica che lo scrivente abbia una padronanza molto alta dei meccanismi del raddoppiamento. Se invece il simbolo è scritto sulla parola che genera il raddoppiamento, basta ricordare la grafia della parola singola senza particolare difficoltà; ma è vero che così è più difficile per la lettura... C'è un notevole guadagno da un lato ma anche una notevole perdita dall'altro. Francamente, così su due piedi, non saprei dire (non per me ora, né per introdurre il sistema nel paese; ma nell'ipotesi di aver già integrato e usare normalmente, spontaneamente, una delle due soluzioni) da che lato penda la bilancia. :?
Millermann ha scritto: mar, 05 apr 2022 15:50 Invece, una possibilità che mi convince, e che appoggerei senza riserve, è quella (cui s'è accennato di sfuggita nel trattamento delle eccezioni) d'inserire un accento circonflesso proprio sopra la consonante raddoppiata. [...] Ciò significa, ovviamente, che tale accento non è parte integrante della parola (a meno che non sia pregeminante) [...] Anche la leggibilità del testo ne guadagnerebbe, poiché l'accento non comparirebbe se non è necessario [...]. L'unica controindicazione che trovo è la difficoltà di applicazione, visto che questo tipo di accento sulle consonanti è raro da trovare.
Volendo applicare tale logica, non sarebbe allora meglio (come ventilavo brevemente sopra) rinunciare del tutto a un nuovo simbolo, e scrivere direttamente doppia la consonante? È vero che un testo stampato così sarebbe un po' più lungo, ma la logica interna dell'ortografia ne avrebbe un chiaro guadagno in chiarezza ed efficenza, dato che, come scrive Fiorelli nel testo citato (nota 3, p. 122), «le consonanti ad esso [l'RF] soggette son pronunziate esattamente come quelle che, raddoppiate nella scrittura, son chiamate comunemente doppie anche in riferimento alla pronunzia»: considerato questo, mi sembrerebbe "inutile" avere due soluzioni grafiche diverse per i due casi.
  • /ke ppekka̍to, tra kka̍sa mi̍a e kka̍sa su̍a non ʧɛ ppju̍ nnemme̍no un a̍lbero/*
  • ⟨Che ppeccato, tra ccasa mia e ccasa sua non c'è ppiù nnemmeno un albero⟩
  • ⟨Che p̂eccato, tra ĉasa mia e ĉasa sua non c'è p̂iù n̂emmeno un albero⟩
Millermann ha scritto: mar, 05 apr 2022 15:50 Nei dialetti meridionali l'accento circonflesso è spesso usato per esprimere le vocali lunghe derivanti dalla contrazione di piú vocali vicine. [...] Ed è questo uno dei motivi per cui l'uso (graficamente identico) [...] mi appare controintuitivo [...]
Come già osservato da Infarinato, e com'è stato in almeno un altro caso relativamente famoso, la proposta di usare il circonflesso deriva presumibilmente dalla facilità di batterlo a macchina e stamparlo colle tecnologie dell'epoca. Oggi possiamo immaginare soluzioni alternative senza difficoltà (o quasi). :)
Fuori tema
Millermann ha scritto: mar, 05 apr 2022 15:50il RF
Iiiih, trovo così contrintuitiva questa scrizione, non riesco a non leggerla /il ɛrreɛ̍ffe/... :mrgreen: Forse dovremmo aprire un filone anche su questo. :P
[*Non so mai bene dove segnare o omettere gli accenti quando trascrivo la pronuncia di una frase; qui non è importante per il tema trattato e vado un po' a caso.]
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Re: Proposte di riforma ortografica di Castellani

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G. M. ha scritto: mer, 06 apr 2022 12:39 Volendo applicare tale logica, non sarebbe allora meglio (come ventilavo brevemente sopra) rinunciare del tutto a un nuovo simbolo, e scrivere direttamente doppia la consonante?
Qui è a me che viene da fare «iiih!» (scherzo, naturalmente! ;)): davvero le scrizioni che ha portato a esempio le sembrano intercambiabili? :shock:
Anche se altre lingue ammettono consonanti doppie a inizio di parola (vedi lo spagnolo con ll), per l'italiano ciò mi sembra inaccettabile, perfino per le parole pregeminanti.

Tra parentesi, come dicevo prima, scrivendo in dialetto mi trovo spesso in una situazione simile: ci sono tre importanti paroline che sono contemporaneamente pregeminanti e geminanti: (‹per›), chí (‹che› pron./agg. interr. o esclam.) e la loro combinazione pecchí (‹perché›): ebbene, non riesco proprio a scriverle ppè, cchí e ppecchí! Riuscirei invece benissimo ad accettare le forme col circonflesso p̂è, ĉhí, p̂ecchí. :)

Piuttosto, non si potrebbe fare il... contrario di quanto propone, anche in corpo di parola? :mrgreen: Siamo cosí abituati a grafie come faidaté o pallavolo che si potrebbe segnalare il raddoppiamento con il circonflesso: faidat̂é sarebbe sicuramente piú «accettabile» di faidatté, e lo stesso per pallav̂olo, cion̂onostante o piucchep̂erfetto.
Ufficialmente, si potrebbe stabilire che «l'accento circonflesso su una consonante indica il rafforzamento facoltativo della stessa, proprio di una pronuncia sorvegliata». :idea:
G. M. ha scritto: mer, 06 apr 2022 12:39 Concordo pienamente con la sua osservazione: la soluzione che propone lei sarebbe molto più facile da leggere... e allo stesso tempo molto più difficile da scrivere.
Beh, è leggendo che s'impara, di solito: non ci si potrà aspettare di trovare questi accenti su qualsiasi testo; cosí come non saranno presenti sui testi preesistenti, non lo saranno neppure su quelli informali o sugli appunti (laddove oggi si usano abbreviazioni e forme non canoniche come quelle con ‹k› al posto di ‹ch›).

Però, a forza di vederli sui testi «importanti» (libri scolastici, enciclopedie, riviste specializzate), anche in Rete, il pubblico prenderebbe coscienza perlomeno dell'esistenza del RF e del fatto che, scegliendo di ignorarlo, starebbe adottando una pronuncia piú «trascurata».
Che poi è quello che si vorrebbe far capire a chi, invece, ritiene che la pronuncia priva di RF sia quella elegante e impeccabile, mentre l'altra sia rozza e provinciale. ;)
Fuori tema
G. M. ha scritto: mer, 06 apr 2022 12:39 Iiiih, trovo così contrintuitiva questa scrizione, non riesco a non leggerla /il ɛrreɛ̍ffe/...
Forse perché lei la considera una sigla stabilizzata; io invece la svolgo mentalmente e leggo il raddoppiamento ecc. ;)
L'Accademia della Crusca in quest'articolo afferma che le sigle
In qualità di nomi vengono spesso precedute dall'articolo e questo è un altro punto di possibili dubbi e incertezze, in particolare quando si tratti di sigle straniere. La regola, dettata anche in questo caso più dall'uso che dalla norma, vuole che si scelga l'articolo in funzione del genere e del numero della testa dell'espressione completa sintetizzata nella sigla[.]
In quest'altro, piú dettagliato, dice inoltre che
Se invece le sigle sono pronunciate per lettere distinte, avremo il e un quando il nome della prima lettera cominci per consonante: il CNR ([il ci - enne - erre], un BR [bi - erre]). Con le lettere il cui nome abbia iniziale vocalica, l'uso è molto incerto.
e in proposito, al punto 11, cita alcuni esempi contrastanti.
Applicando tali «regole» si può teoricamente dire sia il RF sia l'RF; in effetti, se si guarda a questo filone, nomi illustri del nostro fòro hanno scelto la prima possibilità. Tuttavia anche la sua alternativa è senz'altro apprezzabile, e suona sicuramente meglio, se si pronuncia la sigla cosí com'è scritta. :)
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