«Jumpscare»

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domna charola
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Re: «Jumpscare»

Intervento di domna charola »

Sì, in effetti non ho applicato le considerazioni sopra fatte al caso in questione. Non saprei come adattare felicemente... resta però la parte generale delle stesse: la tendenza è sempre ad avere una parola unica che indichi una cosa precisa, quasi sempre il termine straniero entra nella lingua presentandosi così. E questo va tenuto presente, a mio avviso, a livello generale.
Scrivere in una recensione "il regista usa sapientemente i sobbalzi / i sussulti / i soprassalti" non mi soddisferebbe molto. In realtà, in italiano mi dà più l'idea che i sussulti/sobbalzi siano quelli dello spettatore, non quelli del montaggio della pellicola, a meno che non specifichi "un sobbalzo nel ritmo", "un sobbalzo narrativo" o cose del genere.
Pensare a un sussulto o sobbalzo della storia o delle immagini mi viene innaturale, se non specificato. In italiano penserei magari a un'immagine improvvisa, a un'irruzione senza preavviso, un elemento inaspettato, una sorpresa, un salto magari. Perché a ben vedere l'immagine ansiogena che irrompe inaspettata nella narrazione costituisce un salto nel ritmo, nella logica della trama, nella sequenza di immagini.
Quando la protagonista entra dal giardino con gli uccellini che cinguettano, posa la spesa quotidiana sul tavolo, si gira, e sullo schermo appare l'assassino col coltello brandito, c'è un salto logico, qualcosa di non narrato, di non spiegato, perlomeno se si considera il fluire narrativo precedente. Come è entrato? Chi è? cosa ci fa lì? Perché proprio in quel momento? Insomma, manca un pezzo di trama, che magari sarà aggiunta o spiegata dopo.
Quello che percepisco è strutturalmente un salto, e salto a mia volta sulla sedia perché, appunto, non me lo aspettavo, non lo potevo dedurre da quanto visto sino a lì.
brg
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Re: «Jumpscare»

Intervento di brg »

domna charola ha scritto: lun, 07 feb 2022 0:29 Secondo me, nella gran parte degli anglismi che girano, non è tanto la convinzione che siano tecnici a promuoverli, quanto la necessità di un termine nuovo per designare qualcosa di nuovo. Nel momento in cui si ha la percezione che un certo fenomeno/oggetto sia particolare, innovativo, diverso dagli altri, nasce la necessità di dargli un nome.
Le mie obiezioni a tale interpretazione, che non è rara, sono varie.

Una obiezione, l'ho già espressa: è il fatto che questi neologismi impieghino tipicamente un lessico elementare. Infatti, come ho notato, esistono già in inglese termini specifici che meglio descriverebbero il fenomeno, quali ad esempio "start" (nel senso di sussulto o scatto improvviso), "jolt" o "startle". Il fatto che la locuzione adoperi invece termini comunissimi quali "jump", cioè il principale e più generico termine per indicare l'azione del salto, e "scare", che è appunto "spavento", mi dà l'idea di una origine gergale. Insomma, mi dà la stessa impressione di quei ragazzini che dicevano "ladrare" al posto di "rubare", non perché ci fosse la necessità di una nuova espressione, ma perché la loro scarsa dimestichezza con la lingua li portava ad inventarsi nuovi, più semplici termini in sostituzione di altri anche solo marginalmente più difficili.

Un'altra obiezione è che il termine non sia riportato su autorevoli dizionari, quali il Merriam-Webster, o su siti come l'Online Etymology Dictionary, che tipicamente è attento ai neologismi. Ho inoltre controllato: l'espressione è stata aggiunta all'Oxford English Dictionary solamente nel 2018 e, cercando su Google, non si trovano attestazioni della locuzione fino ad anni recentissimi, sebbene il fenomeno sia decisamente più vecchio. La tecnica, se così vogliamo chiamarla, era già ampiamente usata nei videogiochi giapponesi degli anni '90, tra cui il noto Resident Evil del 1996, e certamente è stata mutuata dal cinema dell'orrore. Non sono sufficientemente pratico di cinematografia dell'orrore estremo-orientale per sapere se si tratti di un cliché, che si era diffuso particolarmente nella produzione filmica di quell'area geografica, oppure se sia stato semplicemente ripreso dagli esempi che pure già esistevano nella cinematografia mondiale. Faccio notare inoltre che, tra fine anni '90 ed inizio anni 2000, ci fu una certa diffusione di pellicole dell'orrore nipponiche e degli immancabili rifacimenti americani, che potrebbero aver portato ad una sovraesposizione della tecnica, fino a farla diventare tormentone. Tuttavia l'attestazione dell'espressione è leggermente più tarda: il che mi fa pensare che non si sia diffusa con il cinema, ma con i tormentoni della rete, cioè i famigerati "meme". Dopo il 2010, ma non prima, c'è infatti una certa diffusione di filmati con "jump scare" nel titolo su Youtube, che mi induce a supporre che quella sia la culla del termine, piuttosto che il cinema od i videogiochi.

La mia terza obiezione è che più che la necessità di dare nomi nuovi a fenomeni nuovi, si sia diffusa la necessità, tutta commerciale e pubblicitaria, di dare nomi nuovi a cose vecchie per farle sembrare nuove ed alla moda. Un esempio notevole di ciò è l'espressione "graphic novel". Il termine è nato quando Will Eisner, fumettista americano, decise di fare fumetti all'europea. Il fumetto tradizionale americano, il "comic", era tipicamente venduto in giornaletti di carta leggerissima di poche pagine, come il Corriere dei Piccoli per intenderci, mentre le storie di più ampio respiro che voleva realizzare Eisner richiedevano un centinaio di pagine in formato albo, come i fumetti franco-belgi o quelli della Bonelli. La conclusione fu che l'editore si inventò un termine nuovo, "graphic novel" appunto, per giustificare il rincaro di prezzo dovuto al nuovo formato. Nessun americano avrebbe speso più di un dollaro per un "comic book", ma con una "graphic novel" il discorso poteva cambiare. Così, se uno apre la Treccani alla voce "graphic novel" ci trova scandalosamente scritto:
[...] Celebri autori italiani di g. sono per esempio H. Pratt e A. Pazienza [...]
Potenza della propaganda.

domna charola ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:01 Quando la protagonista entra dal giardino con gli uccellini che cinguettano, posa la spesa quotidiana sul tavolo, si gira, e sullo schermo appare l'assassino col coltello brandito, c'è un salto logico, qualcosa di non narrato, di non spiegato, perlomeno se si considera il fluire narrativo precedente. Come è entrato? Chi è? cosa ci fa lì? Perché proprio in quel momento? Insomma, manca un pezzo di trama, che magari sarà aggiunta o spiegata dopo.
Quello che percepisco è strutturalmente un salto, e salto a mia volta sulla sedia perché, appunto, non me lo aspettavo, non lo potevo dedurre da quanto visto sino a lì.
Credo che ci sia un fraintendimento. La locuzione non ha sfumature di significato così raffinate. Il salto del "jump scare" è tipicamente riferito allo spettatore che sobbalza sulla sedia. L'Oxford English Dictionary così descrive l'aggiunta dell'espressione:
and a jump scare is much as it sounds – a sudden or unexpected event, typically involving a loud sound, intended to startle an audience.
rif. https://public.oed.com/blog/oed-3-the-r ... 8-release/

*Aggiunta* Ho guardato anche la storia della voce di Wikipedia: è stata creata nel dicembre del 2014. La voce su Wiktionary (il dizionario di Wikipedia) è del gennaio dello stesso anno e la citazione più "antica" che riporta è del 2011. L'autrice di tale citazione è Mira Grant, nata nel 1978, autrice principalmente di romanzetti d'appendice per ragazzi (Guerre Stellari et similia): all'epoca della citazione aveva trentatré anni e proveniva dalla subcultura (lo dico senza voler essere polemico) giovanile. L'origine memetica del termine mi sembra sempre più probabile.
domna charola
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Re: «Jumpscare»

Intervento di domna charola »

brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24 La mia terza obiezione è che più che la necessità di dare nomi nuovi a fenomeni nuovi, si sia diffusa la necessità, tutta commerciale e pubblicitaria, di dare nomi nuovi a cose vecchie per farle sembrare nuove ed alla moda. Un esempio notevole di ciò è l'espressione "graphic novel". Il termine è nato quando Will Eisner, fumettista americano, decise di fare fumetti all'europea. Il fumetto tradizionale americano, il "comic", era tipicamente venduto in giornaletti di carta leggerissima di poche pagine, come il Corriere dei Piccoli per intenderci, mentre le storie di più ampio respiro che voleva realizzare Eisner richiedevano un centinaio di pagine in formato albo, come i fumetti franco-belgi o quelli della Bonelli. La conclusione fu che l'editore si inventò un termine nuovo, "graphic novel" appunto, per giustificare il rincaro di prezzo dovuto al nuovo formato. Nessun americano avrebbe speso più di un dollaro per un "comic book", ma con una "graphic novel" il discorso poteva cambiare. Così, se uno apre la Treccani alla voce "graphic novel" ci trova scandalosamente scritto:
Parto dal fondo perché - mea culpa - non mi sono soffermata a delimitare il campo, pur avendolo pensato… ovviamente ci sono un sacco di prestiti dettati solo dalla moda o addirittura dalla volontà di confondere le acque. Queste due categorie le considero assolutamente non giustificabili, e quindi le ho tagliate fuori a priori dal discorso. Tanto per fare un esempio, il famigerato greenpass rispetto alla certificazione, o cose similari.
Hanno già un nome italiano perché sono oggetti - come giustamente nota - ben noti, e non ha alcun senso trovargliene altri in idiomi alieni.
Fuori tema
Ma già l'esempio sopra citato - graphic novel - mi lascia perplessa. Non so quanto il neologismo inglese sia stato dettato dal rincaro del prezzo dell'albo, albo che del resto sarebbe stato molto più corposo, una sorta di libretto rispetto a un giornaletto. Di fatto, questo maggior numero di pagine corrisponde anche a un altro respiro della storia, molto più ampia nella trama e nell'approfondimento di eventi e personaggi. Quindi si tratta di un oggetto diverso.
Noi italiani siamo spesso portati a pensare al fumetto come un prodotto di serie B, infantile e di esile spessore letterario, quindi perdiamo un po' di vista le differenze che possono esserci all'interno di un genere narrativo che si avvale di testo e disegni coordinati. Il disegno è un linguaggio, e con esso si possono articolare numerosi livelli di narrazione, dalla vignetta al poema epico.
Quindi, come distinguo il racconto dal romanzo o dal ciclo in più romanzi nello scritto, così è anche nel fumetto.
Il punto qui non è voler indicare con un nome nuovo qualcosa di già esistente - che non è vero - bensì di voler esportare pari pari anche da noi il termine che in area anglofona è stato scelto. Ma questo è un altro filone…
brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24 Una obiezione, l'ho già espressa: è il fatto che questi neologismi impieghino tipicamente un lessico elementare. Infatti, come ho notato, esistono già in inglese termini specifici che meglio descriverebbero il fenomeno, quali ad esempio "start" (nel senso di sussulto o scatto improvviso), "jolt" o "startle". Il fatto che la locuzione adoperi invece termini comunissimi quali "jump", cioè il principale e più generico termine per indicare l'azione del salto, e "scare", che è appunto "spavento", mi dà l'idea di una origine gergale. Insomma, mi dà la stessa impressione di quei ragazzini che dicevano "ladrare" al posto di "rubare", non perché ci fosse la necessità di una nuova espressione, ma perché la loro scarsa dimestichezza con la lingua li portava ad inventarsi nuovi, più semplici termini in sostituzione di altri anche solo marginalmente più difficili.
Ma questo è un problema relativo alla lingua inglese e da discutersi in un foro ad essa dedicato. Parlando invece dell'uso di termini stranieri in italiano, poco importa se questi all'origine siano gergali, dotti, inventati, privi di significato o altro... al limite, potrei prendere anche un termine totalmente di fantasia, inventato su due piedi con una forma fonotatticamente non italiana.
Il punto non cambierebbe: da un lato, ho bisogno di un termine nuovo per meglio delimitare un campo, definendo entro esso una partizione nuova, dall'altro sto facendo una scelta che - italianamente e linguisticamente parlando - grida vendetta.

P.S. I ragazzini dicevano "ladrare" non perché ignoravano il termine corretto, ma perché a quell'età c'è la necessità di crearsi un proprio linguaggio alternativo a quello corretto degli adulti, è una questione di processi di crescita, e quindi anche di necessità di riconoscersi come parte di un gruppo. Gli stessi ragazzini, in un compito scritto a scuola, usavano i termini corretti.
brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24 Un'altra obiezione è che il termine non sia riportato su autorevoli dizionari, quali il Merriam-Webster, o su siti come l'Online Etymology Dictionary, che tipicamente è attento ai neologismi. etc. […]
Anche questo è inerente alla storia della lingua inglese e dell'evoluzione dei termini in seno a essa. Non cambia il fatto che il termine sia stato importato da noi per indicare qualcosa nei nostri discorsi in italiano.
Il punto è che chi scrive di cinema rileva l'esistenza di una specifica tecnica del racconto per immagini in movimento, e ha necessità di parlare riferendosi ad essa. Quindi cerca un nome da dargli. Un nome che sia uno, e non una perifrasi che lo definisca. Qualcosa come il rapporto che c'è fra "automobile" e "veicolo a quattro ruote a motore": il primo è il nome dell'oggetto, il secondo è la spiegazione che ne dà il vocabolario. Ecco, il nostro critico cinematografico sta cercando la sua "automobile", e non ha bisogno del giro di parole che la spiega perché sa già cos'è.
Quindi, il problema per lui è trovare questo nome. La cosa più comoda è appoggiarsi a quello che fanno gli altri. La proposta di chi invece ha a cuore la lingua italiana è: proviamo ad aiutarlo a trovare un singolo termine che sia soddisfacente e italiano.
brg ha scritto: lun, 07 feb 2022 13:24 Credo che ci sia un fraintendimento. La locuzione non ha sfumature di significato così raffinate. Il salto del "jump scare" è tipicamente riferito allo spettatore che sobbalza sulla sedia. L'Oxford English Dictionary così descrive l'aggiunta dell'espressione:
"and a jump scare is much as it sounds – a sudden or unexpected event, typically involving a loud sound, intended to startle an audience."
Forse, ma non ne sono così convinta.
"Un jump scare è esattamente quello che si legge: un evento improvviso o inaspettato, tipicamente accompagnato da un suono forte, volto a spaventare lo spettatore"… più o meno.
Allora mi chiedo: il "salto" qui è riferito al salto narrativo improvviso, o al salto che si ipotizza farebbe lo spettatore? Tutto sommato mi importa anche poco, essendo - come detto sopra - un filosofeggiare sulla lingua inglese, della quale peraltro non sono così addentro per permettermi di farlo.

Noto però che la tecnica in questione comporta effettivamente un salto narrativo - termine da noi già in uso nello scritto - un'improvvisata, un qualcosa di non annunciato, mentre il sobbalzo è il risultato che - nelle intenzioni del regista - questo salto narrativo dovrebbe provocare nello spettatore.
Allora, il nostro problema è nel denominare la tecnica cinematografica, non le sue presunte conseguenze.
Avatara utente
G.B.
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Re: «Jumpscare»

Intervento di G.B. »

Non mi piace insistere, ma la Rete testimonia un uso di spavento (nonché —ripeto— di scena spaventosa) che ancora concorre con l'anglicismo. Direi di contentarcene...
Nelle immagini che seguono abbiamo individuato una serie di spaventi improvvisi del genere horror, quelle sequenze che ci fanno saltare dalla poltrona provocando dentro di noi adrenalina disturbante. (FONTE)

Una critica sentenziava: “Sinister contiene praticamente tutto quello che odio dell’horror moderno, una valanga a casaccio di spaventi improvvisi e trucchetti scricchiolanti... (FONTE)

Quanto ai film horror più riusciti, sono quelli nei quali una regia geniale riesce a cambiare costantemente il tipo di stimolo pauroso da sottoporci, con una progressione di scene preparatorie e successivi spaventi che non permette di rilassarsi fino all'inevitabile conclusione, qualunque essa sia. (FONTE)

Costruito tutto senza ricorrere allo spavento facile, ma con un’angoscia crescente acuita da un finale affatto conciliante. (FONTE)

Un po' perché i troppi che abbiamo visto ci hanno in fondo anestetizzato, e un po' perché spesso i nuovi registi del genere puntano sul facile effetto spavento che fa saltare sulla sedia...
(FONTE)

Il risultato è discreto sul piano dell’effetto spavento, considerando anche l’agile durata del lungometraggio... (FONTE)
Quest'ultima innovazione, in particolare, effetto spavento, in certi contesti mi sembra che possa tornare utile.
G.B.
domna charola
Interventi: 1624
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: «Jumpscare»

Intervento di domna charola »

Ecco, "effetto spavento" mi sembra quello che calza di più per la tecnica in sé.
Dopo tutto, ricalca come struttura il traducente di un'altra ben nota - ma ormai superata - tecnica cinematografica, il day for night, che in italiano veniva reso come "effetto notte" (come il titolo del famoso film di Truffaut).

Negli altri esempi, il termine potrebbe essere riferito anche a quanto recepisce lo spettatore, all'effetto che la tecnica provoca anziché alla tecnica in sé. Credo ci sia di mezzo una questione di diversa percezione nell'uso dei termini nelle due lingue.
Magari per un inglese è automatico spostare il nome dell'effetto - lo spavento che fa saltare - sulla causa. In italiano lo sento strano. Mi vien da dire "che spavento che ho preso! ho visto un fantasma..", o "la vista del fantasma è stata spaventosa / mi ha spaventato", mentre più difficilmente direi, se non in un uso colloquiale, popolare "il fantasma è uno spavento".
Avatara utente
G.B.
Interventi: 869
Iscritto in data: gio, 15 ago 2019 11:13

Re: «Jumpscare»

Intervento di G.B. »

domna charola ha scritto: mar, 08 feb 2022 17:43 ...mentre più difficilmente direi, se non in un uso colloquiale, popolare "il fantasma è uno spavento".
Ma infatti non si dice: «Il fantasma è un jumpscare»; almeno, credo.
Piuttosto: «Il fantasma [in questione] è il protagonista di tutti i jumpscare della pellicola»; e qui sostituire spaventi non istona.
Piú strano (piú nuovo) sarebbe: «La pellicola è piena di spaventi»; ma già se io aggiungessi «spaventi improvvisi», non sentirebbe poi cosí di nuovo, eppure è la stessa metonimia, «lenita», «mascherata» —per cosí dire— da un aggettivo...

Pianissima la frase: «La pellicola è piena di scene spaventose»; nuova e piú sostenuta quest'altra: «La pellicola fa grande uso dell'effetto spavento», che piú si confà a bocche esperte di cinema.
Tutto sommato, si tratta di «giostrarsela», tenendo presenti i vari registri e contesti... per chi vuol passare indisturbato.
G.B.
domna charola
Interventi: 1624
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: «Jumpscare»

Intervento di domna charola »

Concordo sulla questione di registri e contesti, è una cosa che volevo scrivere già in un altro filone. Possono coesistere più modi di rendere lo stesso concetto, a seconda di come e dove si sta parlando o scrivendo. Nello specifico del parlare di cinema - che credo sia il contesto in cui il termine jumpscare ricorre maggiormente - si confà a mio avviso il tono "sostenuto".

Sull'esempio del fantasma, invece, non mi riferivo a un fantasma che appare alo spettatore in una scena di filme, stavo solo cercando di comporre delle frasette come esempio. Dalle mie parti, popolarmente si definisce "spavento" anche una persona o cosa che si reputa terrificante anche in senso lato, ad esempio "la sciura Marietta quando esce sul balcone con i bigodini in testa è uno spavento", oppure "riordina la tua camera perché è uno spavento": è un modo colloquiale per dire "fa spavento".
Allora, tornando al fantasma dell'esempio, direi "quel fantasma è uno spavento" se la sua riuscita fosse veramente venuta male, fosse tutto tranne che terrificante; insomma, quasi un paradosso, con un fantasma talmente mal messo da far paura perché non riesce a far paura... in questo risento di quel tipo di costrutto di cui sopra, che mi è familiare in questo significato.
Se invece fosse veramente un fantasma serio, che fa paura, lo spavento sarebbe mio, mentre lui sarebbe spaventoso. Insomma, non riesco a pensare, in un contesto serio, il termine "spavento" come riferito alla cosa che provoca spavento. C'è una contorsione mentale che non aiuta a rendere univoco e significante il termine, secondo me, nell'ambito cinematografico.
Avatara utente
Carnby
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Iscritto in data: ven, 25 nov 2005 18:53
Località: Empolese-Valdelsa

Re: «Jumpscare»

Intervento di Carnby »

Ma di trasalimento come traducente «ufficiale» che ne dite?
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