Smaralda ha scritto:Pregiatissima Domna Charola, per quanto mi riguarda non sono i sensi di colpa che mi inibiscono in merito ad un eventuale uso o non uso di questo o quel termine.
Sinceramente, io ho scritto in risposta e a commento di quanto scritto dall'utente Carnby, considerando che in generale sul concetto di "desueto" opera un preciso meccanismo.
Se poi lei si sente chiamata in causa, lo ritengo indipendente dalla constatazione in sé.
Personalmente, per motivi di lavoro ho affrontato spesso la questione dei termini poco usati o troppo tecnici, e continuo con assoluta convinzione a pensare che, se un termine viene usato nel contesto, se ne diffonde l'uso, e la lingua ci guadagna.
Se poi si fa divulgazione o comunque attività di formazione su temi specifici, ritengo basilare perseverare in questo approccio.
Gli studenti che davanti a un documento in corso (non antiquato, tutt'oggi prodotto) si trovano a disagio nel leggere "opificio", "guado", "colle" etc., ricavano più giovamento a imparare questi termini in poche decine di minuti, che nel trincerarsi dietro un "sono desueti".
Nel secondo caso, semplicemente, la persona si preclude delle possibilità di lettura e di conoscenza di materiali scritti che possono avere un certo interesse per lui; citavo la crema del mondo scritto, i grandi Autori, per avere un esempio eclatante e indiscutibile, ma posso dire lo stesso anche per un documento tecnico come la cartografia ufficiale di uno Stato, anche se non ha lo stesso pregio letterario.
Anche nel caso però che non riuscissi convincente con questi studenti, resta il fatto che io *desuetamente quelle scartoffie le leggo e le comprendo, loro no (e qui, nel parlato ci metteremmo un "tié, arrangiati"; sulla rete, è invalso l'uso invece delle faccine).
Il dato di fatto è che una volta l'idea di ampliare gli orizzonti era guardata come un valore positivo.
Oggi, una certa banalizzazione legata forse alla maggior velocità negli scambi, sta portando a un diffuso atteggiamento del tipo: "io amo la cultura, voglio interessarmi di cose alte, però sono quelli che trattano questi argomenti a sbagliare, perché usano un linguaggio che non si usa colloquialmente per strada".
In quest'ottica, si pretende di appiattire la comunicazione a pochi termini semplici, perdendo peraltro molto in spessore e precisione.
Ora, non è il caso di roboante/reboante, che grossa differenza di comprensione non c'è.
Però in molti altri casi, si punta l'indice accusatore ("Desueto!!!..." ) su parole che fino a qualche anno fa si sarebbero appuntate, per verificarle sul vocabolario e poi impararle.
Di fatto, stiamo passando dal "ora ti faccio vedere che ho imparato anch'io a parlare come chi si occupa dell'argomento" al "ma smettila di far vedere che sai le cose e parla come mangi".
E' l'atteggiamento e la sua diffusione in sé che mi preoccupa, perché "la lingua si evolve" sta trasformandosi in una comoda scusante per sedersi, anziché camminare ad esplorarla.
E, nella quantità di persone con cui ho avuto a che fare, questa situazione mi è parsa tangibile e effettiva.
Ovvio che non avendo mai avuto a che fare con lei personalmente, è esclusa a priori dal ragionamento, che parte da dati sperimentali e ne trae delle considerazioni conseguenti.
A volte a scrivere ci si spiega male, a volte a leggere di corsa ci si lascia travolgere dalla prima impressione.
Fuori splende il sole, suvvia... non pensi che il mondo ce l'ha con lei e dietro ogni affermazione generica, riferita a un insieme anonimo e impersonale, si celi un bieco giro di frase per riferirsi a lei nella fattispecie!
Le "persone della strada" (la "gente", con un termine abusato) sono milioni e milioni, e non necessariamente ci si deve sentire compresi fra esse.
Dimenticavo: ammetto che - come dice un mio amico - le virgole "le acquisto con le offerte speciali" e quindi talvolta non faccio caso a un loro deprecabile spreco

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