«Stampare»?

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domna charola
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«Stampare»?

Intervento di domna charola »

Leggo sull'Eco di Bergamo:

"Amalgamare la panna semi montata e mescolando dall’alto verso il basso, riporre negli appositi stampini di silicone e congelare in freezer.
Dopo essersi rassodato, stampare e riporli in frigorifero."

https://www.ecodibergamo.it/stories/Ric ... 428937_11/

Credo si riferisca allo sformare o togliere dallo stampo... come aspetto esteriore è parola perfettamente italiana, però per me aveva un altro significato... perplessa.
E' accettabile una forma del genere? Iniziando per s non si può costruire come s-formare, se pensavano questo sarebbe allora s-tampare, che però non esiste e non ha senso. O no?...
Avatara utente
Millermann
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Re: «Stampare»?

Intervento di Millermann »

domna charola ha scritto: gio, 05 mag 2022 17:49E' accettabile una forma del genere?
Per me no. Iniziando per s, non è ovviamente possibile aggiungere il prefisso s-, ma occorrerebbe ricorrere, eventualmente, a de-, che ha spesso un valore intercambiabile col primo.

E, in effetti, in Rete si trovano alcuni sparuti esempi di destampare, anche col significato di sformare, che però trovo siano degl'inutili occasionalismi! :roll:

Peraltro, nella frase da lei citata, e ripetuta piú volte nella ricetta (all'apparenza d'alta cucina :P), quello che piú stona non è neppure il verbo usato in un'accezione inesistente, bensí l'agrammaticalità dell'insieme: che cosa significa mai, e qual è il soggetto di *«Dopo essersi rassodato, stampare e riporli in frigorifero»? :shock:
In Italia, dotta, Foro fatto dai latini
domna charola
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Re: «Stampare»?

Intervento di domna charola »

Beh, mi consolo... temevo di essere io che non ero aggiornata. Grazie.
In effetti, anche la forma di tutta la frase non regge, ma su due piedi, il termine incriminato eclissava il resto.
Fuori tema
Rimane, a margine, una considerazione sulla scuola, le piattaforme sociali e le battaglie perse.
Perché qui stiamo parlando dei ragazzini di un istituto alberghiero - liceali, quindi, come età - ai quali viene dato uno spazio per scrivere su di una testata, sia pure a diffusione provinciale, ma di una certa caratura; voglio dire, non è il giornalino parrocchiale, e a parte questi scivoloni, tratta esaurientemente anche le notizi nazionali, insomma, è un "giornale vecchia maniera" a tutti gli effetti, che si paga in edicola.
Allora, da un lato, che un (futuro) cuoco sappia scrivere, o parlare, in buon italiano potrebbe anche importare poco, quello che contano sono i voti alti nella capacità di preparare adeguatamente un piatto. Il problema sorge però quando si apre la possibilità - o, da grandi - la velleità di scrivere, magari anche libri veri e propri.
Insomma, dal punto di vista educativo mi lascia perplessa questo sdoganare qualsiasi strafalcione, buttando alle ortiche la cura della lingua, nel momento in cui si concede il privilegio di scrivere pubblicamente; significa avallare, far credere accettabile qualcosa che non lo è, e quindi di riflesso autorizzare chi ha scritto a sentirsi capace e perseverare nella strage linguistica. L'importante è scrivere qualcosa, con parole proprie, e acquisire visibilità, col pubblico che mette i "mi piace" e se per caso parte un pollice verso, segue la polemica contro chi "non ha capito l'impegno di questi ragazzi etc. etc.".
A monte, immagino sempre un insegnante che, prima di inviare questi testi al giornale, li avrà pur letti e corretti... ah no, è l'insegnante che insegna a usare questa terminologia "tecnica", che stupida a non pensarci!
E la revisione da parte della Redazione stimata dell'Eco di Bergamo? ...non pervenuta.
In un panorama del genere, qualsiasi battaglia per la lingua mi sembra non solo persa in partenza, ma quasi del tutto inutile
(considerazioni fuori filone, all'inizio di una mattinata pessimisticamente grigia).
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