Se i cultismi «rappresentano un elemento stabile della tradizione linguistica italiana, sfruttato prevalentemente in alcuni suoi settori orientati alla ricerca di forme elitarie distanti dalla lingua usuale (per es., il linguaggio poetico)» (
Tesi 2010), probabilmente si spiega perché Boccaccio, Ottimo, Villani e forse anche Dante abbiano usato senza problemi
caos nelle loro opere; pur valendo nel loro tempo la restrizione delle finali consonantiche.
Se
anche padre Césari (p. 41, seconda colonna in basso), che proprio filoneista non era (né classicista), registra
caos, non
cao né
caosso, nel suo Vocabolario, bisogna trarne che alcune parole hanno una storia ricca in certi contesti e povera in altri.
Caos è termine colto, richiama miti d'altri tempi; basta la forma, con quella strana combinazione vocalica, a renderlo «poco italiano»: porci una vocale d'appoggio non aiuta proprio in questo caso. Lasciamolo a un registro sostenuto, là dove usarlo non è meramente casuale, ma richiama qualcosa della tradizione che esso porta con sé. Non imbellettiamo il nulla: scegliamo le parole per il valore che hanno.
Se si vuole toscaneggiare, toscaneggiare
davvero, ci sono tante altre locuzioni e tanti altri termini, anche piú espressivi, che comunicano lo stesso concetto. Purtroppo (?) in questo caso la tradizione letteraria non ci ha consegnato un grecismo adattato (come invece è accaduto per
Minosse ecc.): pazienza. Si può ridurne la circolazione usandolo responsabilmente.