«Apeiron»

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Moderatore: Cruscanti

Avatara utente
G.B.
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Re: «Apeiron»

Intervento di G.B. »

G. M. ha scritto: mer, 13 lug 2022 16:16
G.B. ha scritto: mer, 13 lug 2022 15:04 Secondo me, Ligure ha reso evidente un problema fondamentale: a chi gioverebbero simili traduzioni? A chi sono rivolte?
È noto che Migliorini consigliasse di dire e scrivere auditorio invece che auditorium , ma auditorium era ed è una parola comune, «destinata a un largo uso»; è evidente «che un archeologo, un numismatico, uno storico del diritto che si rivolgono ai loro compagni di studio, possono e debbono servirsi dei termini antichi inalterati».
Giovano a me, se un domani dovessi usarle. :twisted: :wink:
Guardi, anch'io mi diletto a italianare; e, laddove non ci siano problemi (o non voglia, semplicemente, citare e mi capita spesso), cerco di usare le forme piú italiane...
G. M. ha scritto: mer, 13 lug 2022 16:16 Naturalmente comprendo l'obiezione. Il problema è classico: dove si fissa l'asticella? Certo neanche Anassimandro è una parola comune «destinata a un largo uso», e la quasi totalità degli italiani, dopo averla sentita qualche decina di volte sui banchi di scuola, non la userà più per il resto della propria vita. Eppure non vediamo nulla di male nell'usare (esclusivamente, per quanto ne so io) la forma italianizzata.
... Il fatto è che Anassimandro è attestato fin da Boccaccio e l'Uso non l'ha «riellenizzato»; *apíro, purtroppo, né si regge su solide attestazioni, né usa tra gli «addetti ai lavori».
Ciò detto, uno può anche usarlo, ci macherebbe[.]
Ultima modifica di G.B. in data dom, 17 lug 2022 19:47, modificato 1 volta in totale.
G.B.
Ligure
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Re: «Apeiron»

Intervento di Ligure »

Ho letto con interesse (e con piacere) i diversi contributi che si sono susseguiti. Francamente, non ne ho riscontrato nessuno "frettoloso" in quanto un'adeguata sintesi del testo consente sempre di poter approfondire posizioni e argomenti se ne vengono forniti i riferimenti.

Ringrazio chi ha risposto alle mie osservazioni e mi ha presentato, nel contempo, ulteriori considerazioni e spunti su cui riflettere.

Alcuni aspetti, particolarmente quelli relativi alla lingua greca, sfiorano un po' contenuti di tipo specialistico e mal si prestano a un'espansione su un foro dedicato alla lingua italiana, ma chiunque ne risulti interessato può trovare materiali su cui effettuare eventuali verifiche. Su altri aspetti non poco è già stato detto e ognuno ha avuto la possibilità di illustrare la propria posizione e di proporre contributi personali.

Per un nuovo appuntamento (e un aggiornamento - su questo come su altri temi relativi all'evoluzione della lingua, i diversi livelli di consapevolezza in merito da parte dei locutori (opportunamente citati), l'importanza di alcune "norme" e la creazione di nuove parole -) si potrebbe attendere (e seguire) il processo evolutivo dell'italiano nella società attuale per i prossimi 10-20 anni in cui, probabilmente, si potranno delineare più compiutamente linee di tendenza già emerse o, anche, si potrebbero rendere maggiormente evidenti fenomeni e processi attualmente caratterizzati da minore diffusione.
Avatara utente
G.B.
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Re: «Apeiron»

Intervento di G.B. »

Approfitto della gentile risposta di Ligure per chiarificare la mia ultima frase, invero frettolosa:
G.B. ha scritto: mer, 13 lug 2022 17:20 Ciò detto, uno può anche usarlo, ci macherebbe: se ponderata, è una nobilissima scelta! :)
Aggiungendola, qualche giorno fa, intendevo dire che *apíro è ben formato, richiamandosi a un'ampia tradizione di grecismi con esito analogo, perciò sarebbe (e stavolta uso un ben ponderato sarebbe) «nobilissimo» usarlo.
G.B.
Ligure
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Re: «Apeiron»

Intervento di Ligure »

La posizione esposta - per altro, ulteriormente e cortesemente precisata nel precedente messaggio - risultava, almeno, a mio avviso, già sufficientemente chiara, anche se è sempre possibile (e utile) esplicitare in modo più ampio concetti e opinioni personali.

Penso che, sul caso di "apeiron" (ἄπειρον), quanto c'era da potersi dire sia stato dibattuto ed è stato anche - opportunamente - osservato che si tratta di una voce "di nicchia", impiegata molto "settorialmente" e in modo prevalente nella didattica e nei testi di storia della filosofia.

Da estraneo totale rispetto al mondo e alla cultura filosofica non mi dilungo su considerazioni relative alla mancanza di volontà di traduzione del termine specifico da parte degli "addetti ai lavori" in quanto potrebbero essere ritenute inutilmente polemiche e non è certamente questa la mia intenzione.

D'altronde, com'è già stato opportunamente fatto notare, il termine filosofico appare come "apeiron" anche in non poche lingue di cultura europee. E, pertanto, chi s'occupa di filosofia può anche invocare l'internazionalità culturale della voce "originaria", anche se, in lingue diverse dall'italiano, la loro intrinseca "carenza di trasparenza" - se rapportata all'effettiva pronuncia - fa sì che la "condivisione" riguardi esclusivamente la scrizione del termine e non il modo concreto di proferirlo.

Non m'inoltro in considerazioni relative all'evoluzione semantica dell'aggettivo greco ἄπειρος (di cui ἄπειρον rappresenta il neutro) in quanto scivolerei fuori tema, mentre, per altro, al di fuori della filosofia - come avviene, per altro, anche nel caso del greco attuale -, per esso esistono traduzioni in italiano per le quali basta consultare i lessici.

Né - per gli stessi motivi - posso approfondire il fatto della differenza esistente - in greco - con un altro aggettivo (per altro, del tutto omografo e omofono) che significa "inesperto, ignorante".

Evidenza che potrebbe fornire spunti anche a considerazioni di tipo filosofico, se competenze linguistiche di questo tipo costituissero patrimonio usuale in questo contesto di studi.

Ed è possibile che Anassimandro ci abbia effettivamente pensato.

Ovviamente, sia pure a partire da una voce "di nicchia", sono stati affrontati argomenti di carattere ben più generale sulla formazione delle parole e la consapevolezza dei locutori, nel rispetto della diversità delle attitudini al riguardo.

Anche in questo caso il mio riferimento all'aspettativa di una verifica su tempi lunghi non è dovuto a ignavia personale rispetto all'approccio dialettico (infatti, ammesso che essa possa valere qualcosa, ho avuto modo più volte di poter esprimere la mia opinione e la ripetitività potrebbe risultare addirittura "prevaricatrice").

Inoltre, nelle mie opinioni non c'è nulla di particolarmente personale o specifico ed esse risultano semplicemente informate alla consapevolezza (che non riguarda certamente soltanto me stesso) del complesso intreccio delle varie "agenzie sociali" nell'evoluzione di un sistema linguistico (soprattutto di quelle non competenti e disinteressate nel merito degli aspetti linguistici e di possibili "riferimenti" e "prescrizioni"). Ma anche qui mi fermo per non inoltrarmi nell'ambito della socio-linguistica in cui occorrono competenze "verticali", pur risultando egualmente molto difficile la formulazione di previsioni attendibili.

S'era partiti - nel dibattito - dalla considerazione relativa all'incisività di possibili indicazioni, proposte o "riferimenti" e qui davvero concludo. Con un ricordo scolastico relativo alla nostra lingua. A un elenco antico di "prescrizioni" elaborato - secondo quanto mi venne insegnato - nello scriptorium (non "scrittoio", voce che ha altra pronuncia e indica un singolo oggetto) dell'antico monastero di Bobbio (PC) e denominato Appendix Probi.

La lingua di tutti noi - infatti - ha origine proprio dal "sovvertimento" netto di quelle prescrizioni. Proprio nel significato dell'ordinalità geometrica nel piano della scrittura monastica. Cioè invertendo la destra colla sinistra. Se pure il testo riporti l'indicazione oculus non oclus (e molte altre simili), la lingua di noi tutti (e non solo quella degl'italiani) proviene dall'inversione del "precetto". Essa, infatti, è figlia di una realizzazione linguistica che potrebbe essere designata - tenendo conto del concreto sviluppo diacronico della nostra lingua - come oclus non oculus (insieme con molte altre di questo tipo) ...

Risulta, infatti, il termine "stigmatizzato" quello che ha valore esplicativo e fondativo per quanto concerne la lingua che noi parliamo.

Anche se, evidentemente, accanto a "occhio" e a "occhiali" esiste l'aggettivo "oculare" - con lo stesso contrasto riscontrabile tra"specchio","specchiarsi" e "speculare" ecc.

Infatti, in italiano, la conformità alla norma implica l'inversione del precetto: "specchio" implica speclum non speculum, cioè l'opposto di quanto prescrive l'Appendix.

Mentre è soltanto l'eccezione che risulta conforme alla norma, cioè, ad es., una voce quale "speculare", che non è il "nomale" esito italiano, corrisponde al testo - non invertito - dell'indicazione normativa: speculum non speclum!

Ovviamente la stragrande maggioranza dei locutori italiani è del tutto inconsapevole (e, per altro, totalmente disinteressata) del fatto che non poche delle caratteristiche definitorie dell'italiano siano sorte dalla negazione - nei fatti linguistici - d'un'antica "prescrizione" - o Appendix - e che, al tempo stesso, voci quale "oculare", "speculare" ecc. rappresentino eccezioni rispetto alla "nuova norma" (la lingua italiana) derivata dall'inversione dell'antica "ingiunzione linguistica", l'Appendix, appunto.

E, dato che è stato riferito che anche voci oggettivamente "non conformi alla norma" quali, ad es., "oculare" o "speculare" vanno benissimo, un filosofo razionalista s'interrogherebbe sul valore effettivo d'istituire e indicare una "norma" o delle Appendices ...

Ma, allora, è la "prescrizione" che tenta d'inseguire una "prassi" già diffusa? O, addirittura, visto che a posteriori ci tocca "invertire" i "termini prescrittivi" per poter comprendere com'è davvero andata la vicenda, non è che, in realtà, la "prescrizione" segnali - del tutto implicitamente - una marea che avanza(va) fino a sommergere completamente l'antico (o preesistente) "edificio normativo"?

Anche qui mi fermo in quanto si tratterebbe, probabilmente, di materia da socio-linguisti o filosofi del linguaggio.
brg
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Iscritto in data: mer, 12 gen 2022 20:53

Re: «Apeiron»

Intervento di brg »

Bene, ora che abbiamo sviscerato il problema dell'apeiron, passiamo a qualcosa di più serio: il logos eracliteo. Senza dilungarsi troppo, però, poiché esistono svariate decine di termini filosofici greci, che sono tipicamente citati nella loro lingua originale (lasciando perdere le questioni sulla pronuncia classica ed altri gineprai del genere), ancora da trattare.

Finiti i greci, poi, c'è da passare agli altri. Io propongo per primi i tedeschi con i loro Übermensch e Zeitgeist.

Uscendo dalla recita, il problema, su cui voglio porre l'attenzione, non è che questi termini non vengano tradotti, quando infatti vengono sempre tradotti. Il problema è, bensì, primo punto, che le traduzioni vengono tipicamente considerate inadeguate a rendere appieno il senso originale del termine e, secondo punto, che per molto tempo chi studiava determinati sistemi filosofici conosceva anche le lingue in cui questi erano stati formulati; per cui, fornite una o più possibili traduzioni, si forniva anche la parola nella sua forma originale, in quanto si riteneva quest'ultima più esplicativa ed espressiva. Ora probabilmente le condizioni sono cambiate, ma la tradizione è rimasta. Come comportarsi? La questione mi pare molto complicata, più complicata che dover tradurre qualche termine (pseudo-)tecnico dall'inglese o qualche espressione gergale che oggi è sulla bocca di tutti e domani nella memoria di nessuno.
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