Amazzone sarebbe il riferimento più immediato, per il mondo mediterraneo: la mitica popolazione di donne guerriere che ripetutamente si incontrano nella mitologia greca. Senonché è già stato usurpato con il mero significato di cavallerizza o atleta a cavallo, dando per scontato che le Amazzoni combattessero solo a cavallo, probabilmente, e assecondando un'inconscia paura per l'idea di una donna armata, idea prontamente censurata: le amazzoni attuali cavalcano e saltano ostacoli, e basta...
Donna guerriera e guerriera sono troppo generici, comprendendo tutto l'orizzonte, dalla mitologia ai racconti fantastici sino all'approccio scientifico a sepolture dai corredi ambigui.
La traduzione letterale per il personaggio delle saghe norrene sarebbe "vergine guerriera", poiché questa è l'esatta sfumatura di
maiden: nei dizionari, "ragazza nubile, signorina", che equivale, nel perbenismo borghese vigente sino al secolo scorso, a "vergine", facendo coincidere il matrimonio con il compimento delle funzioni fisiologiche della donna.
Oggi, volendo aggiornare, resta integro il significato di "ragazza, giovane", sottinteso nel concetto di "nubile"; passato lo stadio di ragazza, infatti, la non sposata /vergine diveniva direttamente "zitella".
Storicamente, il concetto di verginità è un punto forte. La vergine è percepita infatti nelle culture europee come una creatura liminale, ha già gli attributi della donna ma non ha ancora compiuto il suo ruolo, che si completa col matrimonio; con esso diviene donna compiuta, in grado di procreare.
La vergine è in uno stato di passaggio fra il mondo dell'infanzia e il mondo adulto, non è né carne né pesce; quindi può divenire altro da ciò che è. Può non compiere il suo percorso completo, e deviare in un'altra direzione, venendo in qualche modo accettata, perché non è propriamente una donna, o meglio, non lo è ancora.
Può divenire allora una porta per la comunicazione col divino, rivestendo quindi la funzione sacerdotale, oppure un difensore, brandendo le armi; accede quindi alle altre due funzioni, che normalmente le sarebbero precluse.
Nella mitologia, spesso suscita desiderio, a riprova che può essere "recuperata", che si tratta solo di uno stato anomalo; d'altra parte, le amazzoni, "vere" donne che si riproduco e combattono sono percepite come un'aberrazione, una stranezza assoluta, sottolineata nelle narrazioni anche dal fatto che hanno relegato i maschi in posizione assolutamente subalterna: non sono compagne di battaglia, ma mettono in scena un vero e proprio capovolgimento dei ruoli.
Nell'ambito delle guerriere che combattono a fianco dei maschi - senza essere in posizione dominante, ad esempio una regina - il concetto di verginità come scelta di vita assolve anche al compito di rassicurare sulla moralità di tali personaggi e di escludere qualsiasi possibilità di rapporti promiscui in seno al gruppo di combattenti. Il cantore epico che mette in scena le proprie eroine mette le mani avanti e sottolinea il muro che le separa dalle "donne di tutti", anch'esse al seguito dei guerrieri ma non altrettanto ammirabili. Questo tratto - una donna può essere a fianco degli uomini solo se è garantito che non accadano cose "sconce" - arriva sino a epoche recenti, basti pensare con quanta enfasi l'agiografia abbia sottolineato la pulzellitudine di Giovanna d'Arco, vero e proprio marchio di garanzia per proporne eroicità e santità.
Quindi, tornando alle nostre ragazze-dello-scudo - donne che abbandonano il loro ruolo femminile per darsi all'esercizio delle armi - a me sembra che rientrino pienamente nella definizione di vergine guerriera dato che in genere vengono descritte appunto come giovani donne che lasciano il proprio ruolo nella famiglia per seguire i guerrieri in battaglia.
Resta comunque, a mio avviso, una spiegazione o definizione, che può comprendere anche analoghi personaggi di altre mitologie; se dovessi tradurre in italiano una saga nordica, propenderei per mantenere il significato letterale, per salvare quel senso di titolo che assume nei testi originali norreni, e solo in quelli.
Magari lo alternerei, nella narrazione, con i generici guerriera, donna in armi, eroina o simili, a seconda dell'occorrenza, ma salvando l'originale nelle situazioni in cui non serve solo un generico riferimento al personaggio, ma si vuole sottolinearne il ruolo e il rango.
La "ragazza dello scudo" sarebbe in questo senso analoga al "comandante in capo", al "gran sacerdote" e a tutti gli altri titoli/cariche composti da due o più termini, spesso inseriti proprio per rendere il tutto più altisonante.