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«Pie», «cake» e «tart»
Inviato: sab, 23 lug 2022 10:46
di Carnby
Ho appena scoperto che non solo non abbiamo il traducente «perfetto» per
cheesecake, ma neppure per
pie,
cake e
tart (almeno secondo la
guichipedia, naturalmente).
Re: «Pie», «cake» e «tart»
Inviato: lun, 25 lug 2022 11:11
di domna charola
Però anche "loro" dicono che tart è ripreso dal francese e alla fin fine è la stessa cosa di un pie, con l'unica differenza che la tarte francese è solo un pie con il ripieno scoperto, e non chiuso dalla pasta.
Queste sottili distinzioni nel campo della cucina sono spesso legate anche alla sensibilità gastronomica - quindi alla cultura sottesa - di un popolo. Il problema è che adesso si finisce per importare termini di cui non abbiamo mai sentito il bisogno, solo perché "fa figo", ci si sente molto più tecnici, aggiornati, internazionali... insomma, un gradino più sopra dei comuni mortali.
A partire dal famigerato cake-design, che gira gira è la decorazione di torte (in genere di sapore insulso, perché quello che conta è fare scena...).
Quelle a guscio di pasta, frolla, sfoglia o brisé - aaaaah! qui si apre un altro filone, e al momento perdonate ma si allungherebbe e complicherebbe il discorso, lo uso per capirci, tanto è quasi italiano come forma - in generale ricadono nella categoria delle crostate quando sono dolci, e delle torte salate quando sono salate. Da qui si vede che per noi un paletto significativo è la discriminante dolce/salato, cosa caratteristica della nostra cucina moderna, che invece non interessa tanto all'estero.
Le torte in genere sono quelle a impasto liquido, versato in stampo e più o meno lievitato. Quindi anche noi abbiamo le nostre definizioni e distinzioni. Tra l'altro riflettono un discorso storico. Le crostate sono già riccamente rappresentate nei ricettari medievali, quelle versate in stampo sono molto più tarde.
Sono però sempre definizioni a spanne, se si vuole classificare seriamente, saltano fuori una serie di complicazioni. I termini si formano da sé, con l'uso dei parlanti. Il problema è che oggi i parlanti credono di avere bisogno di nuove parole per indicare le medesime cose, e le vanno a raccattare all'estero. Finché non superiamo questa sudditanza psicologica, non se ne viene fuori.