Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

Moderatore: Cruscanti

Intervieni
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Segnalo quest’articolo che mi ha passato @G. M.. Nulla di nuovo per noi: la piacevole sorpresa è che, una volta tanto, il nostro pensiero in fatto di anglicismi compaia in una pubblicazione d’area liberal-progressista. (Sono consapevole che una rondine non fa primavera, che il problema è molto complesso, che le soluzioni proposte nel pezzo sono tutt’altro che soddisfacenti, ecc. ecc., ma godiamoci questa piccola soddisfazione).
Avatara utente
G.B.
Interventi: 875
Iscritto in data: gio, 15 ago 2019 11:13

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di G.B. »

Non sorprenderà, ma l'articolo è già stato sottoposto a critiche.
G.B.
Avatara utente
Freelancer
Interventi: 1897
Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Freelancer »

Quest'articolo lascia il tempo che trova e bene ha fatto Sgroi a criticarlo. La vera soluzione è stata indicata da Tullio de Mauro alcuni anni fa, citata da me in questa sede, basata sull'osservazione, con la quale concordo in pieno, che quanto più si conosce l'inglese meno si infioretta il proprio italiano di parole inglesi. Quindi quel che occorrerebbe è far sì che la maggioranza degli italiani capisca, parli e scrivi bene l'inglese. Il che ovviamente è un sogno.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

Freelancer ha scritto: dom, 08 gen 2023 21:21La vera soluzione è stata indicata da Tullio de Mauro alcuni anni fa, citata da me in questa sede, basata sull'osservazione, con la quale concordo in pieno, che quanto più si conosce l'inglese meno si infioretta il proprio italiano di parole inglesi.
La pensavo anch’io cosí. Ma sono giunto alla conclusione opposta: non solo non cambierebbe nulla, ma sarebbe pure peggio, perché gli italiani potrebbero avere allora un bacino lessicale piú ampio da cui attingere nuove parole. Non vedo in che modo una migliore conoscenza dell’inglese possa evitare cose come «una procedura fast di beatificazione»… Sono convinto che non sia una questione d’ignoranza, ma di soggezione alla seduzione culturalpolitica del mondo anglosassone. (Non voglio però dilungarmi sulla mia opinione, altrimenti il tema ci porterebbe fuori fòro).
Avatara utente
G. M.
Interventi: 2312
Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di G. M. »

[Non solo Ferdinand mi ha preceduto scrivendo, ma ha pure usato parole simili. Anche se mi trovo d'accordo con quanto dice, nel mio intervento esprimo concetti un po' diversi (non in opposizione), per cui lo pubblico così come l'ho scritto senza modifiche.]
Freelancer ha scritto: dom, 08 gen 2023 21:21 La vera soluzione è stata indicata da Tullio de Mauro alcuni anni fa, citata da me in questa sede, basata sull'osservazione, con la quale concordo in pieno, che quanto più si conosce l'inglese meno si infioretta il proprio italiano di parole inglesi. Quindi quel che occorrerebbe è far sì che la maggioranza degli italiani capisca, parli e scrivi bene l'inglese. Il che ovviamente è un sogno.
Un tempo ero più o meno allineato a quelle posizioni. Studiando la questione della lingua internazionale, ho poi cambiato idea. Ma c'è un'altra ragione per cui la ritengo dubbia, a parte il mio desiderio di neutralità tra i popoli, una ragione che riguarda l'efficacia, considerata puramente entro i confini italiani. La posizione di De Mauro, che nel mondo della linguistica gode d'indubbia popolarità, per varie ragioni —anche la Gheno l'approva, ricordo che una volta me l'ha parimenti indicata come soluzione in una discussione—, secondo me manca di considerare un punto fondamentale: una cosa ovvia, che però passa inosservata, perché ci si concentra sui dettagli e si perde di vista il quadro complessivo, che richiede di distanziarsi dalle cose e ampliare il campo visivo. Io stesso, che ora cerco di far notare la cosa, ho impiegato anni ad accorgermi di questa «ovvietà».

Il possibile errore che scorgo in tale posizione è una dimenticanza: si dimentica il fatto che le lingue sono difficili. Perché lo dimentichiamo? Perché noi che passiamo tanto tempo a ragionare e riflettere di contaminazioni interlinguistiche, in tutte le possibili, sottili e dotte sfumature (non solo noi qui su Cruscate, ma più ampiamente chiunque si interessi di lingua e —per esempio— abbia opinioni più o meno ragionate sulla questione dei forestierismi), siamo abituati a discuterne quasi sempre con persone simili a noi, per quanto riguarda competenze, cultura, predisposizioni, interessi, anche se magari d'idee opposte su molti temi: si crea in noi, in modo «naturale» ma comunque da evitare, l'errore di percezione della «bolla», per cui viviamo per così dire in un mini-mondo, con regole diverse dal mondo più grande in cui questo si trova, ma crediamo che le regole del minimondo siano le regole del mondo tutto.

Nel nostro caso, lo sbaglio può produrre risultati che richiedono almeno di essere discussi. Il primo fatto è riconoscere la differenza tra il minimondo e il mondo: per me, per lei, per Ferdinand, per De Mauro, la Gheno e Castellani, le lingue sono qualcosa di molto più facile da maneggiare di quanto lo siano per la stragrande maggioranza degli esseri umani. Non solo sono più facili, ma sono molto più interessanti: se qualcuno di noi dovesse essere meno portato naturalmente, per esempio per mancanza di memoria o per distrazione, ovvia però con l'interesse e la cura che pone nel maneggiare il mezzo linguistico, maggiori rispetto a quelli della media della gente. L'artista che non nasce con un talento può comunque produrre valide opere d'arte, se sopperisce alla mancanza di talento con la pazienza e la costanza nel lavoro.

Per «noi», è indubbio che «insegnare meglio l'inglese aiuterà a ridurre gli anglicismi»: credo che tutti noi abbiamo una conoscenza dell'inglese ben maggiore di quella dell'«italiano medio», e allo stesso tempo siamo molto più consapevoli e —se ne usiamo— usiamo gli anglicismi in maniera più parsimoniosa che l'italiano medio: fra le due cose sembra esserci una correlazione praticamente nel 100% dei casi. Ma possiamo estendere quanto osserviamo tra di noi a tutto il mondo là fuori? Questo è il punto centrale che dimentichiamo e sul quale, secondo me, dovremmo avere i piedi di piombo.

Le persone faticano a maneggiare la lingua. Parecchie faticano a padroneggiare persino la propria lingua madre: banalmente perché non sono dotate per la lingua, e/o non sono interessate. Ciò non è necessariamente una «colpa», né un «difetto» che vada corretto: è solo la variazione statistica, per cui noi ci troviamo sul picco della montagna e quasi tutti sono sotto di noi.

Parlare bene una lingua richiede tempo e fatica, allenamento e costanza. Parlare bene una seconda lingua richiede molto tempo e molta fatica, molto allenamento e molta costanza. Siamo sicuri che, nell'ipotesi di far investire così tante energie nello studio dell'inglese a tutte le persone meno dotate di noi, si otterrà l'effetto sperato? O non ci sarà invece il rischio di una maggior contaminazione, semplicemente perché nella loro testa c'è meno spazio, meno memoria, meno interesse per la lingua, per cui la maggior conoscenza dell'inglese va a rubare posto alla conoscenza dell'italiano? E una volta imparato bene l'inglese, chi è meno portato per la lingua non potrebbe pensare che l'italiano è inutile o meno utile, e quindi non degno di sforzi per conoscerlo e parlarlo bene? «Parlo già l'inglese, m'impegnerò a migliorarlo per figurare bene in tutti i contesti, voglio investire le mie risorse in modo utile per la mia vita, perché mai dovrei perdere tempo a curare la precisione formale dell'italiano, che non serve a niente e di cui non importa niente a nessuno? Ahahah, ok boomer, ciao dinosauri».

Può darsi che De Mauro avesse ragione; può darsi che sbagliasse. Non ho una risposta certa a queste domande. Ma penso che bisognerebbe ragionarne, e non dare per iscontata la soluzione di De Mauro che così tanti danno per iscontata.

[Ricordavo vagamente —il cielo mi ha benedetto con molte doti, ma purtroppo non colla memoria, che ho piena di buchi— di aver letto queste considerazioni in qualche autore. Facendo una ricerca nel mio computiere trovo uno spunto che mi ero segnato per un libretto che stavo scrivendo, ma non vi ho indicato fonti in modo preciso. Nei prossimi giorni se avrò tempo proverò a guardare meglio.]
Ultima modifica di G. M. in data dom, 08 gen 2023 23:23, modificato 1 volta in totale.
Avatara utente
Ferdinand Bardamu
Moderatore
Interventi: 5085
Iscritto in data: mer, 21 ott 2009 14:25
Località: Legnago (Verona)

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Ferdinand Bardamu »

All’intervento approfondito e preciso di Giulio aggiungo solo una cosa: anche i Paesi dove la conoscenza dell’inglese è ottima sono alle prese con lo stesso fenomeno. Per esempio, anche in Isvezia, tra i primi dieci Paesi al mondo per conoscenza dell’inglese, si parla di «svenglese», e si paventa la perdita del dominio in alcuni ambiti, in particolar modo nella scienza, in cui (cito dall’articolo della radio svedese) «il 99 percento delle tesi è scritto in inglese». E questo lo dice un rappresentante dello Språkrådet (il consiglio della lingua svedese, la Crusca svedese, insomma) che per il resto è piuttosto cauto («Quasi tutti i prestiti sono adattati allo svedese attraverso le desinenze, le forme plurali, la grafia, e cosí via. Non sono una minaccia»).
Avatara utente
Freelancer
Interventi: 1897
Iscritto in data: lun, 11 apr 2005 4:37

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Freelancer »

Io non so quanto bene uno svedese o un danese medio o che so io conosca l'inglese, dovrei parlare con questa persona per rendermene conto, e forse non sarebbe sufficiente. Ma mi sento di ribadire che - in base solo alla mia esperienza, per carità, e a quanto vedo in alcuni, non tutti!, dei miei colleghi che vivono qui negli Usa da oltre 20 anni (io vivo qui da più di 30 anni): se una persona scrive fast invece di veloce/rapida, sia per darsi un tono sia per impressionare il suo pubblico o che so io, secondo me questa persona, per quanto pensi o dica di conoscere l'inglese o ne dimostri effettivamente una certa competenza nell'uso, non ha ancora smitizzato questa lingua perché non la conosce a fondo, non ne comprende dettagliatamente i meccanismi e insomma a volte le parole inglesi le risultano più attraenti per tutta una serie di motivi dei quali abbiamo parlato e sui quali lascio che siano altri a dilungarsi. Magari nuovi utenti o utenti non storici che non hanno ancora letto tutte le pagine dedicate negli anni precedenti a questi argomenti.
Utente cancellato 676

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Utente cancellato 676 »

Fuori tema
Freelancer ha scritto: dom, 08 gen 2023 21:21quel che occorrerebbe è far sì che la maggioranza degli italiani capisca, parli e scrivi bene l'inglese.
https://www.youtube.com/watch?v=z0-LGfAZIK4 Si scherza, naturalmente!
Utente cancellato 676

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di Utente cancellato 676 »

G. M. ha scritto: dom, 08 gen 2023 22:47Può darsi che De Mauro avesse ragione; può darsi che sbagliasse. Non ho una risposta certa a queste domande. Ma penso che bisognerebbe ragionarne, e non dare per iscontata la soluzione di De Mauro che così tanti danno per iscontata.
Direi che sono proprio tanti esempi contemporanei, come Licia Corbolante o Vera Gheno, entrambe versate in inglese, a smentire la tesi di De Mauro, visto che indulgono sovente in inutili forestierismi.
Avatara utente
G. M.
Interventi: 2312
Iscritto in data: mar, 22 nov 2016 15:54

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di G. M. »

Un altro possibile contresempio è quello della Germania: anche i tedeschi in inglese hanno una very high proficiency (decima posizione nella stessa classifica), molto meglio della moderate proficiency di italiani, spagnoli e francesi (rispettivamente alle posizioni 32, 33 e 34), eppure i giornali tedeschi sembrano usare più anglicismi di quelli spagnoli e francesi (vi propongo l'interessante conta di Peter Doubt: 1, 2, 3*).

Come al solito, purtroppo la mia ignoranza del tedesco m'impedisce di reperire facilmente informazioni utili; come aneddoto, riporto che su Facebook mi scrivono questo:
è una teoria [quella di De Mauro: «inglese migliore» = «meno anglicismi»] almeno in parte contraddetta dal fatto che in Germania l'inglese è generalmente più e meglio parlato che da noi e usano più anglismi di noi

[...]

non ho statistiche ma nel linguaggio colloquiale, almeno fra le persone grosse modo sotto i 40 (che generalmente parlano piuttosto bene l'inglese) è frequentissimo sentire addirittura anglicismi come happy, nice, impressed, fun. Per non parlare del "denglisch", tutte le parole pseudo-tedesche come handy o shooting.
In rete si trovano diversi articoli di giornali o blog che danno una dimensione indicativa del fenomeno.
Esiste anche l'iniziativa Anglizismus des Jahres (che considera gli anglicismi un fenomeno positivo), ed esistono ovviamente posizioni contrarie.
Non sono dati scientifici ma mi sembra difficile sostenere che l'uso di anglicismi sia correlato a una scarsa conoscenza dell'inglese.
Naturalmente, si potrebbe supporre che la correlazione esista comunque ma che Italia, Germania e Giappone circa l'alta anglicizzazione siano casi particolari per ragioni storiche: in tal caso è un fattore da tenere in considerazione, se altera il risultato.

*PS. Mi rendo conto solo ora che la conta sembra essere stata fatta in valori assoluti, non in valori relativi. Ciò, ovviamente, potrebbe purtroppo privarla di qualsiasi valore, se la quantità di testo confrontata non è pressoché identica in tutti i casi. :?
domna charola
Interventi: 1632
Iscritto in data: ven, 13 apr 2012 9:09

Re: Micromega, «La nuova questione della lingua: l’italiano e l’inglesorum»

Intervento di domna charola »

Secondo me, è difficile fare confronti fra paesi diversi circa la relazione fra conoscenza dell'inglese e uso di anglismi nella lingua madre, perché entra in gioco anche un fattore "mentalità", legato alla cultura locale. Non è detto che la percezione che abbiamo noi - col nostro vissuto storico, economico, sociale, culturale - dell'integrità della lingua e dell'estraneità dei termini stranieri sia il medesimo per altri popoli; è questione sia proprio di distanza linguistica, che di storia.
Rimanendo all'interno del nostro paese, una migliore conoscenza dell'inglese porterebbe per lo meno a evitare gli inserimenti di termini in maniera totalmente scorretta rispetto all'uso inglese; per migliore conoscenza però si dovrebbe arrivare a un livello decisamente alto, non la semplice infarinatura del parlato/ascoltato, che non permette l'approfondimento grammaticale e linguistico.

Personalmente, sono un cane nel parlare in inglese, però per motivi di studio e di lavoro lo scrivo e leggo correntemente, e mi sono accorta che tendo a ragionare a compartimenti stagni: se devo metter giù un testo in inglese, mi viene da pensarlo in inglese direttamente, e per un po' tutto il cervello lavora in quella direzione, anche se deve formulare a voce domande banali non inerenti al testo, poi stacca e torna all'italiano; analogamente, se studio in inglese, ripeto e prendo appunti in inglese. Lo strato più profondo del cervello però apprende anche in italiano, ovviamente, ma tenendo ben separati i termini.
Mi risulta invece pressoché impossibile dare al volo la traduzione di un termine inglese isolato dal contesto, chiedo sempre di vedere l'intera frase; quando incontro il termine entro un discorso italiano quindi mi infastidisce perché spesso non lo collego a nulla, è perfettamente opaco, un corpo estraneo privo di significato e che potrebbe appartenere a qualsiasi lingua.
Se avessi una conoscenza dell'inglese di tipo appiccicaticcio, tipo manuale a frasi fatte delle elementari e elenchi di vocaboli col disegnino a fianco, probabilmente mi verrebbe più semplice trasferire il singolo termine in una frase italiana, perché sarebbe solo un termine con un significato equivalente a fianco, senza sfumature, profondità, complessità, anziché un frammento di un flusso comunicativo in sé coerente ma non riducibile ai singoli fattori.
Però queste sono in effetti considerazioni molto personali.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 27 ospiti