«N-word»
Inviato: dom, 09 lug 2023 10:23
Treccani, sottolineatura mia (scorcio un po' la voce, molto lunga):
Fatto sta che stamani ho letto per la prima volta il termine usato come autocensura tre volte in un articolo di giornale in italiano:
Una volta, mentre avevo in braccio mio figlio appena arrivato dal Congo, mi fermò una signora e con un grande sorriso mi disse: «Che bel bambino, è stupendo, guarda che guanciotte. Peccato che poi crescono». E un’altra: «Ma che amore, lo ha adottato? Meno male, pensavo avesse sposato un N-word». Di questi esempi che fanno sorridere ne avrei a centinaia e all’epoca sorridevo davvero [...]
Se leggiamo libri di afrodiscendenti, ascoltiamo conferenze di afroamericani e proviamo a metterci all’ascolto, scopriremo invece che la parola “di colore” è altamente offensiva e razzista, quasi alla stregua della N-word. Vedo già le vostre facce e lo sbuffo che dice: «ma non si può dire più niente, vedete razzismo dovunque». [...]
Mi lasciò di sasso una gag di due comici italiani, che in televisione, davanti a milioni di spettatori, affermarono che le parole assumono importanza a seconda del tono che si usa. Quindi se io ti sono amico e ti chiamo N-word solo per scherzare, lo faccio senza razzismo e cattiveria. [...]
A parte la questione della parola negro in sé, su cui si potrebbe discutere (qui un filone sul tema), ciò che «lascia di sasso» me è come una persona possa fare discorsi critici sul «colonialismo» (nel senso che certa gente sarebbe [stata] superiore a una cert'altra) inconscio, sull'«unico punto di vista» da rifiutare e combattere, sulla necessità di prendere coscienza, e allo stesso tempo parlare e pensare in un orizzonte mentale che, per richiami storici e culturali, concetti, e soprattutto parole (questo N-word usato come fosse termine ovvio e banale in italiano), mi sembra tradire proprio quello d'una persona che, senza nemmeno rendersene conto, porti attivamente pezzi della cultura della gente «superiore», oggi egemonica (gli Stati Uniti, il mondo angloculturale), ai poveri italiani da civilizzare.
Come mi dice @ElCruscaio, questa è gente «che pensa in inglese pur vivendo all’italiana».
«[I]n ogni altra lingua»?n-word (N-Word, N-word) s, f, inv. Eufemismo sostitutivo dell’ingl. nigger e, in ogni altra lingua, del termine corrispondente (in it. negro). ◆ [...] Come suggerito da Kuti, non c’è sempre una diretta connessione tra n-word e razzismo. Spesso l’emulazione, o peggio ancora l’ignoranza, portano questa parola nei dizionari dei rapper svuotata di ogni significato. Questo però non toglie responsabilità: l’ignoranza è una scusante entro certi limiti. L’utilizzo della n-word è un retaggio razzista e dispregiativo (fatico a credere che qualcuno non lo sappia) che porta dentro sé il sangue del popolo nero estirpato dalla propria terra madre per utilizzo e beneficio del popolo bianco conquistatore. La n-word non è solo un’espressione razzista fine a se stessa, come spesso ci raccontiamo qui in Italia, ma un resoconto vivo dell’orrore della diaspora e del colonialismo. È un peso psicologico di cui noi bianchi non abbiamo alcuna idea. Per questo non abbiamo diritto ad usare quella parola, nemmeno a scopo emulativo di una cultura che, comunque, non conosciamo e non tentiamo di conoscere, né tantomeno proviamo a supportare. (Mattia Barro, Rolling Stone.it, 6 giugno 2020, Musica) • Cos’è la N-Word? Sostanzialmente un insulto razzista, una parola dispregiativa e un vocabolo che non va mai utilizzato in nessun contesto. Il termine N-Word è usato online ed è l’acronimo che sostituisce la parola più utilizzata al mondo per intendere una persona dalla carnagione scura. [...] • «Ma nemmeno se la uso come esempio?» No. «Nemmeno se mi scappa, senza cattiveria?» Assolutamente no. «Neanche se sto riportando il discorso di qualcun altro?». No e no. La n-word non si dovrebbe usare in nessun contesto, ma questo messaggio (specie in Italia) sembra difficile da recepire dato che sono ancora molte le persone bianche che la usano senza farsi troppi problemi. Questo fatto che non si possa dire, poi, fa indispettire chi urla alla "dittatura del politicamente corretto" (che di certo in Italia non possiamo dire che esista, visti gli applausi contro il ddl Zan) denunciando l'ingiustizia per cui «non si può più dire niente». E così c'è chi si impunta e la usa tanto per provocare, come fanno i bambini con le parolacce. La questione, però, è piuttosto seria e viene da chiedersi: perché continuare a difendere l'uso di una parola chiaramente violenta e razzista? Perché continuare a banalizzare il problema invece di ascoltare chi è direttamente coinvolto? (Elisabetta Moro, Cosmopolitan.com, 22 novembre 2021, Lifecoach) [...]
Voce ingl. (propriamente ‘parola che comincia con la lettera N’), attestata per la prima volta in ingl. nel 1985 secondo merriam-webster.com

Fatto sta che stamani ho letto per la prima volta il termine usato come autocensura tre volte in un articolo di giornale in italiano:
Una volta, mentre avevo in braccio mio figlio appena arrivato dal Congo, mi fermò una signora e con un grande sorriso mi disse: «Che bel bambino, è stupendo, guarda che guanciotte. Peccato che poi crescono». E un’altra: «Ma che amore, lo ha adottato? Meno male, pensavo avesse sposato un N-word». Di questi esempi che fanno sorridere ne avrei a centinaia e all’epoca sorridevo davvero [...]
Se leggiamo libri di afrodiscendenti, ascoltiamo conferenze di afroamericani e proviamo a metterci all’ascolto, scopriremo invece che la parola “di colore” è altamente offensiva e razzista, quasi alla stregua della N-word. Vedo già le vostre facce e lo sbuffo che dice: «ma non si può dire più niente, vedete razzismo dovunque». [...]
Mi lasciò di sasso una gag di due comici italiani, che in televisione, davanti a milioni di spettatori, affermarono che le parole assumono importanza a seconda del tono che si usa. Quindi se io ti sono amico e ti chiamo N-word solo per scherzare, lo faccio senza razzismo e cattiveria. [...]
A parte la questione della parola negro in sé, su cui si potrebbe discutere (qui un filone sul tema), ciò che «lascia di sasso» me è come una persona possa fare discorsi critici sul «colonialismo» (nel senso che certa gente sarebbe [stata] superiore a una cert'altra) inconscio, sull'«unico punto di vista» da rifiutare e combattere, sulla necessità di prendere coscienza, e allo stesso tempo parlare e pensare in un orizzonte mentale che, per richiami storici e culturali, concetti, e soprattutto parole (questo N-word usato come fosse termine ovvio e banale in italiano), mi sembra tradire proprio quello d'una persona che, senza nemmeno rendersene conto, porti attivamente pezzi della cultura della gente «superiore», oggi egemonica (gli Stati Uniti, il mondo angloculturale), ai poveri italiani da civilizzare.
Come mi dice @ElCruscaio, questa è gente «che pensa in inglese pur vivendo all’italiana».