«Piè» o «pie’»?
Inviato: lun, 08 nov 2004 20:26
Riporto qui un mio intervento che ho tentato di far apparire inutilmente sul Forum dell'Accademia, in cui rispondevo a bubu7 che chiedeva perché mo' presenti il raddoppiamento fonosintattico ma po' no.
Sfruttando il tema del raddoppiamento fonosintattico, portavo l'attenzione su quella che per me (e non per me solo, come vedrà chi vorrà leggere) è un'eccezione bella e buona: mi riferisco alla scrittura piè che è generalmente consigliata dai grammatici in luogo di pie'.
«La questione del raddoppiamento fonosintattico è alquanto spinosa. Parto un po' da lontano. In un suo intervento, apparso su Lingua Nostra nel 1969, Alfonso Leone si chiedeva perché le grammatiche, tra le quali mi pare rientri, oggi, anche quella del Serianni (sebbene allora non fosse ancora stata pubblicata), suggeriscono di scrivere po' coll'apostrofo ma pie' coll'accento (piè). Egli stigmatizzava quest'uso e lo tacciava (dal mio punto di vista, a ragione) come un'incoerenza. Infattti, dato che tutti i monosillabi bivocalici (può, piú, già) tendono a presentarsi come forme accentate, su questa scia molti grammatici suggerirono e suggeriscono la scrizione piè in luogo di pie'. A prova di ciò s'adduce l'evidenza che tutte le parole appartenenti alla suddetta classe (oltre a tutte le parole accentate in genere) mostrano il raddoppiamneto fonosintattico: ma pie' non sempre (per esempio, Piedimonte no; e ce ne sono altri, che al momento non mi sovvengono). Infatti, ci sono delle forme che oscillano e delle quali si può dire che il raddopiamneto fonosintattico non sia "regola" della lingua. Po' rientra nel loro novero. Già il Leone sosteneva che su po' - a quanto ne sapeva lui - c'erano differenze tra un'area e l'altra. Questo però non vuol dire che le parole apocopate non abbiano il raddopppiamento: infatti mo' ce l'ha, e anche ca' e fra'. Quindi non ha senso chiedersi perché tra due forme apostrofate (po' e mo') una abbia il raddoppiamento ed un'altra no. Infatti, l'apostrofo non indica nulla piú dell'apocope, che non ha nulla che vedere col raddoppiamento fonosintattico. Per questo la risposta alla sua domanda è che po' è un'eccezione punto e basta, non c'è altro perché: la lingua ha delle regole, ma non si lascia mai imbrigliare del tutto da esse. Quello che un grammatico dovrebbe fare è non tanto di eliminare le eccezioni, quanto di normalizzarle nell'ambito della lingua stessa. Per questo sarebbe meglio, e qui torno alla proposta del Leone, lasciare l'accento sui polisillabi tronchi, dove la consapevolezza dell'apocope orami non è piú (virtú<virtude, città<cittade etc.), mentre si lascia l'apostrofo in tutte quelle parole in cui tale consapevolezza ancora sussiste ed è ben viva. Sono convinto che tutti coloro che conoscono bene l'italiano avvertono che po' viene da poco, mo' da modo, fe' da fede... e pie' da piede. Nonostante non abbia detto tutto, spero di non essere stato intorto: prolisso di certo. »
Sfruttando il tema del raddoppiamento fonosintattico, portavo l'attenzione su quella che per me (e non per me solo, come vedrà chi vorrà leggere) è un'eccezione bella e buona: mi riferisco alla scrittura piè che è generalmente consigliata dai grammatici in luogo di pie'.
«La questione del raddoppiamento fonosintattico è alquanto spinosa. Parto un po' da lontano. In un suo intervento, apparso su Lingua Nostra nel 1969, Alfonso Leone si chiedeva perché le grammatiche, tra le quali mi pare rientri, oggi, anche quella del Serianni (sebbene allora non fosse ancora stata pubblicata), suggeriscono di scrivere po' coll'apostrofo ma pie' coll'accento (piè). Egli stigmatizzava quest'uso e lo tacciava (dal mio punto di vista, a ragione) come un'incoerenza. Infattti, dato che tutti i monosillabi bivocalici (può, piú, già) tendono a presentarsi come forme accentate, su questa scia molti grammatici suggerirono e suggeriscono la scrizione piè in luogo di pie'. A prova di ciò s'adduce l'evidenza che tutte le parole appartenenti alla suddetta classe (oltre a tutte le parole accentate in genere) mostrano il raddoppiamneto fonosintattico: ma pie' non sempre (per esempio, Piedimonte no; e ce ne sono altri, che al momento non mi sovvengono). Infatti, ci sono delle forme che oscillano e delle quali si può dire che il raddopiamneto fonosintattico non sia "regola" della lingua. Po' rientra nel loro novero. Già il Leone sosteneva che su po' - a quanto ne sapeva lui - c'erano differenze tra un'area e l'altra. Questo però non vuol dire che le parole apocopate non abbiano il raddopppiamento: infatti mo' ce l'ha, e anche ca' e fra'. Quindi non ha senso chiedersi perché tra due forme apostrofate (po' e mo') una abbia il raddoppiamento ed un'altra no. Infatti, l'apostrofo non indica nulla piú dell'apocope, che non ha nulla che vedere col raddoppiamento fonosintattico. Per questo la risposta alla sua domanda è che po' è un'eccezione punto e basta, non c'è altro perché: la lingua ha delle regole, ma non si lascia mai imbrigliare del tutto da esse. Quello che un grammatico dovrebbe fare è non tanto di eliminare le eccezioni, quanto di normalizzarle nell'ambito della lingua stessa. Per questo sarebbe meglio, e qui torno alla proposta del Leone, lasciare l'accento sui polisillabi tronchi, dove la consapevolezza dell'apocope orami non è piú (virtú<virtude, città<cittade etc.), mentre si lascia l'apostrofo in tutte quelle parole in cui tale consapevolezza ancora sussiste ed è ben viva. Sono convinto che tutti coloro che conoscono bene l'italiano avvertono che po' viene da poco, mo' da modo, fe' da fede... e pie' da piede. Nonostante non abbia detto tutto, spero di non essere stato intorto: prolisso di certo. »