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Moderatore: Cruscanti

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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Federico ha scritto:...non è detto che ogni cosa debba avere un nome...
Mi sembra invece che ogni cosa dovrebbe avere un nome (non necessariamente uno solo), a meno che si auspichi una frammentazione della lingua in lingue regionali, e un indebolimento della sua funzione primaria, che è, appunto, di comunicare in maniera efficace.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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giulia tonelli
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Intervento di giulia tonelli »

Marco1971 ha scritto:E potrei fornire centinaia di altri esempi. Ho scelto in particolare questi due perché rappresentano chiaramente una lingua colloquiale spontanea. Non si può quindi affermare che questi termini non vengano usati; si può dire, invece, che non vengono adoperati da tutti i parlanti.
D'accordo. I suoi esempi mostrano una lingua spontanea, quindi si puo' dedurre che qualcuno sicuramente usa questi nuovi termini in maniera colloquiale. Troppo pochi, dico io, rispetto ad altre lingue. Molti, troppi parlanti italiani fanno resistenza a usare o inventare termini nuovi o risemantizzati, e questo indipendentemente dai forestierismi. Oppure quelli che dicono "i cosi blu" li conosco solo io? (non e' una domanda retorica, visto che io, come dice Bue, sono fuori da qualsiasi curva statistica).
Comunque non si possono fare studi statistici seri su queste cose, e' troppo difficile, e quindi e' inutile discuterne, ahime', possiamo solo confrontare delle sensazioni, e cercare di corroborarle con qualche dato di fatto.

Sono ovviamente d'accordo sul fatto che in una lingua viva e vitale ogni cosa ha un nome, anzi, penso che in una lingua in salute ogni cosa ha un nome *usato*, non solo una parola che sta su un dizionario ma nessuno usa se non in un articolo tecnico.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

giulia tonelli ha scritto:Molti, troppi parlanti italiani fanno resistenza a usare o inventare termini nuovi o risemantizzati, e questo indipendentemente dai forestierismi. Oppure quelli che dicono "i cosi blu" li conosco solo io? (non e' una domanda retorica, visto che io, come dice Bue, sono fuori da qualsiasi curva statistica).
Fanno davvero resistenza oppure semplicemente non conoscono quei termini usati da altri? C’è stata forse resistenza nell’adottare, perché diffusi da organi ufficiali, parole come regista e autista? Saranno sembrati bizzarri, sulle prime, eppure hanno attecchito.
giulia tonelli ha scritto:Comunque non si possono fare studi statistici seri su queste cose, e' troppo difficile, e quindi e' inutile discuterne, ahime', possiamo solo confrontare delle sensazioni, e cercare di corroborarle con qualche dato di fatto.
I dati di fatto rappresentati da quello che ci offre Google (tra attestazioni e numero di occorrenze) sono naturalmente da prendere con alcune riserve: da una parte i ghiaccini (ho optato per questa nel mio uso personale) sono oggetti che si usano – e quindi eventualmente si nominano – di solito solo d’estate, quando fa caldo; dall’altra Google è, statisticamente parlando, un lontano riflesso delle migliaia di occorrenze parlate. E in questo senso, sono d’accordo con lei: è difficile fare studi statistici precisi a sufficienza senza un vasto campionario di sondaggi condotti presso la popolazione delle maggiori città. (Tra parentesi, i cosi blu possono essere anche cosi rosa.)
giulia tonelli ha scritto:Sono ovviamente d'accordo sul fatto che in una lingua viva e vitale ogni cosa ha un nome, anzi, penso che in una lingua in salute ogni cosa ha un nome *usato*, non solo una parola che sta su un dizionario ma nessuno usa se non in un articolo tecnico.
Concordo con lei, entro i limiti che lei conosce. Ma direi che ogni cosa, in una lingua in salute, ha spesso piú nomi (un altro esempio è quello di spigola/branzino/spinola/[pesce] ragno).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Mi sembra invece che ogni cosa dovrebbe avere un nome (non necessariamente uno solo), a meno che si auspichi una frammentazione della lingua in lingue regionali, e un indebolimento della sua funzione primaria, che è, appunto, di comunicare in maniera efficace.
Non capisco questo ragionamento: non è affatto vero che serve una parola per tutto, perché, se dovesse esserci perfetta corrispondenza (biunivoca o no) fra gli oggetti e il vocabolario, la lingua non servirebbe a nulla: dovremmo, come insegna Swift, andare in giro con una bella carriola e "parlare" solo mostrando gli oggetti stessi.
(Immagino che non serva rievocare la leggenda delle decine di nomi nella neve della lingua degli Eschimesi, fortemente ridimensionata.)
giulia tonelli ha scritto:Molti, troppi parlanti italiani fanno resistenza a usare o inventare termini nuovi o risemantizzati, e questo indipendentemente dai forestierismi. Oppure quelli che dicono "i cosi blu" li conosco solo io?
No, però non vedo quale sia il problema: non tutto può o deve avere un nome; all'interno di una contesto chiarificatore si può ricorrere a termini generici usati all'occasione (ghiacci, mattonelle, ghiaccini, siberini, accumulatori, piastre, ghiacciolini, ghiaccioletti, cosi blu: tutto quello che si vuole), e in sua mancanza usare una definizione, per essere precisi.
Non vedo perché dovrebbe esserci interpretazione, rielaborazione e astrazione (quindi creazione di una parola) su ogni oggetto: il cervello impazzirebbe. Una delle operazioni piú straordinarie svolte dal cervello (dall'ippocampo, se non ricordo male) è proprio quella di escludere dalla nostra attenzione i dettagli inutili, ad esempio mentre guardiamo un paesaggio: se fossimo consapevoli e seguissimo attentamente il movimento di ogni formica, animale e granello di polvere visibile impazziremmo.
Letteralmente: secondo Galimberti (Psiche e Techne) la pazzia, la perdita della ragione, potrebbe consistere proprio nella perdita di questa capacità di astrazione ecc. Del resto Galimberti si rifà spesso a Hobbes.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

giulia ha scritto:Quindi esiste una "non reattivita'" dell'italiano, una sua resistenza a coniare neologismi o a risemantizzare parole esistenti...
Non mi sembra questo il caso. Di nomi ce ne sono anche troppi, tutti italianissimi.
La mia curiosità è nata dalla momentanea incomprensione tra il mio siberini e il ghiacciolini del gestore dell'agriturismo sardo in cui ho trascorso la mie ultime vacanze. Altri ospiti hanno parlato di ghiaccioletti...
Marco ha scritto:Il «termine unico», «panitaliano», non può imporsi, a mio parere, che dal prevalere d’una denominazione diffusa attraverso l’industria.
Certo. O attraverso l'industria o comunque tramite messaggi diffusi da mezzi di comunicazione come la televisione.
Federico ha scritto:Sul nome: probabilmente non ce n'è uno semplicemente perché non serve;
Bontà sua...
Federico ha scritto:del resto perché complicarsi la vita con una parola come siberini...
In famiglia li abbiamo sempre chiamati così, senza apparentemente soffrire di turbe psichiche... :)
giulia ha scritto:Sono ovviamente d'accordo sul fatto che in una lingua viva e vitale ogni cosa ha un nome, anzi, penso che in una lingua in salute ogni cosa ha un nome *usato*, non solo una parola che sta su un dizionario ma nessuno usa se non in un articolo tecnico.
Non penso che funzioni proprio così.
In una lingua, quando serve un nome, questo viene creato (ex novo o riciclando parti preesistenti). Quando il nome non serve più (vedi la ricca nomenclatura dell'agricoltura ormai ridotta ai minimi termini) esso cade nel dimenticatoio e viene solo registrato, quando va bene, dai lessici storici (letterari o tecnici).
Ovviamente, ma non credo che nessuno abbia mai pensato il contrario, non tutte le cose che potrebbero essere denominate lo sono effettivamente, ma solo quelle che "servono".
I siberini servono, e quindi i nomi sono stati creati (anche se molti continuano a chiamarli "cosi", questo non vuol dire...). La stranezza è che un oggetto tanto comune (e comune da tanto tempo) non sia riportato nei vocabolari (magari con diverse denominazioni accompagnate dalla nota "regionale").

FUORI TEMA.

Per quanto riguarda il mio giudizio sulla trattazione che ne fa Wikipedìa (trattazione imprecisa e approssimativa) non m'interessa aprire una polemica. Ritengo però istruttivo giustificare la mia affermazione analizzando il brano considerato.
I Siberini contengono una sostanza, liquida a temperatura e pressione ambiente (20°C [la temperatura ambiente non è definibile e sicuramente d'estate è maggiore di 20 gradi], 1 atm) e solida a temperatura "un po' inferiore" [che significa "un po' inferiore"? il congelamento avviene a temperature inferiori allo zero non "un po' inferiore" a quella ambientale]; tale sostanza è una sostanza [!] o miscela di sostanze dalle caratteristiche simili a quelle dell'acqua: elevato calore specifico e passaggio di stato ad una temperatura di circa 0°C (a pressione ambiente) [non è vero; essendo, in genere, soluzioni acquose, il passaggio di stato avviene a temperature significativamente più basse di zero gradi]. Tali caratteristiche sono quelle necessarie al funzionamento dei siberini come "accumulatori di freddo": se messi in freezer essi impiegano un tempo piuttosto lungo per arrivare ad una temperatura "circa uguale" [perché "circa"?] a quella del freezer (ad es. -18°C) [i normali congelatori dei frigoriferi a quattro stelle devono garantire una temperatura di almeno -30 gradi] in quanto la quantita' di energia (calore) che devono cedere è elevata (a parita' di massa un blocco di ferro alla stessa temperatura iniziale (ad es. 20°C) cederebbe una quantita' di calore molto inferiore per arrivare alla stessa temperatura finale (ad es. -18°C), anche perché in tale intervallo di temperatura la sostanza contenuta nei siberini cambia di stato (da liquido a solido), liberando un ulteriore calore latente senza cambiare la propria temperatura). Una volta raggiunta (o quasi) la temperatura del freezer essi sono in grado di assorbire ovviamente una elevata quantita' di energia (calore) prima di arrivare a "temperatura ambiente", garantendo il mantenimento, in un contenitore adeguatamente isolato, di una temperatura sensibilmente inferiore di quella ambiente per un tempo almeno altrettanto lungo [tempo altrettanto lungo di cosa? i tempi di congelamento e di scongelamento dipenderanno rispettivamente dalla temperatura del congelatore e da quella ambientale unita, quest'ultima, alla capacità isolante della borsa termica].
Buon Ferragosto a tutti! :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Federico
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Intervento di Federico »

bubu7 ha scritto:In famiglia li abbiamo sempre chiamati così, senza apparentemente soffrire di turbe psichiche... :)
Certo, ma per chi non sia abituato non c'è bisogno di u

Non che io voglia sempre fare l'avvocato del diavolo e difendere l'autorevolezza di ogni voce di Wikipedia (semmai l'opposto), però qualche osservazione si può fare.
I Siberini contengono una sostanza, liquida a temperatura e pressione ambiente (20°C [la temperatura ambiente non è definibile e sicuramente d'estate è maggiore di 20 gradiè una convenzione come un'altra; in chimica a seconda dei sistemi si usano spesso temperature di riferimento intorno ai 20° C per le costanti ecc.], 1 atm) e solida a temperatura "un po' inferiore" [che significa "un po' inferiore"? il congelamento avviene a temperature inferiori allo zero non "un po' inferiore" a quella ambientaleovviamente l'autore sta banalizzando e ne è consapevole, come dimostrano le virgolette; s'intende dire che il punto di fusione non deve essere troppo basso, altrimenti non c'è cambiamento di stato e non si libera il calore latente]; tale sostanza è una sostanza [!] o miscela di sostanze dalle caratteristiche simili a quelle dell'acqua: elevato calore specifico e passaggio di stato ad una temperatura di circa 0°C (a pressione ambiente) [non è vero; essendo, in genere, soluzioni acquose, il passaggio di stato avviene a temperature significativamente più basse di zero gradimi sembra che ci sia una grande variabilità; e comunque quelli normalmente in commercio non possono solidificare a temperature troppo distanti dallo 0]. Tali caratteristiche sono quelle necessarie al funzionamento dei siberini come "accumulatori di freddo": se messi in freezer essi impiegano un tempo piuttosto lungo per arrivare ad una temperatura "circa uguale" [perché "circa"?bah, forse si vuol dire che la temperatura all'interno del congelatore non è costante e quindi la temperatura del contenuto oscilla leggermente attorno a quella media] a quella del freezer (ad es. -18°C) [i normali congelatori dei frigoriferi a quattro stelle devono garantire una temperatura di almeno -30 gradichiamarli normali mi sembra difficile: non sono la maggioranza, e comunque questa temperatura è in genere limitata a un cassetto] in quanto la quantita' di energia (calore) che devono cedere è elevata (a parita' di massa un blocco di ferro alla stessa temperatura iniziale (ad es. 20°C) cederebbe una quantita' di calore molto inferiore per arrivare alla stessa temperatura finale (ad es. -18°C), anche perché in tale intervallo di temperatura la sostanza contenuta nei siberini cambia di stato (da liquido a solido), liberando un ulteriore calore latente senza cambiare la propria temperatura). Una volta raggiunta (o quasi) la temperatura del freezer essi sono in grado di assorbire ovviamente una elevata quantita' di energia (calore) prima di arrivare a "temperatura ambiente", garantendo il mantenimento, in un contenitore adeguatamente isolato, di una temperatura sensibilmente inferiore di quella ambiente per un tempo almeno altrettanto lungo [tempo altrettanto lungo di cosa? i tempi di congelamento e di scongelamento dipenderanno rispettivamente dalla temperatura del congelatore e da quella ambientale unita, quest'ultima, alla capacità isolante della borsa termicasi vuol dire che il contenuto della borsa frigo viene tendenzialmente mantenuto a una temperatura costante vicina a quella di fusione per tutto il tempo del cambiamento di stato; il calore latente è costante quindi a parità di condizioni la durata della fusione è direttamente proporzionale a quella della solidificazione].
Certamente ha ragione, bubu: una voce poco chiara e approssimativa. La invito a migliorarla, premendo "modifica".
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Senza leggere tutta la discussione, che mi leggerò con calma poi, io li ho sentiti chiamare pastiglie (di ghiaccio).
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
Bue
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Intervento di Bue »

Quando li si usava a casa mia, quasi 40 anni fa, mi pare li si chiamasse ghiaccioli, anche se con un po' di imbarazzo perché il termine non li distingueva dai cubetti di ghiaccio e dai ghiaccioli dolci che si compravano al bar(re) (e che costavano 10 lire, se non ricordo male).
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Intervento di bubu7 »

A questo punto vi chiederei se conoscete la denominazione "ufficiale" in qualche altra lingua. Per ufficiale intendo una voce presente su un vocabolario.
Grazie in anticipo per le risposte. :)
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
Gino Zernani
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Intervento di Gino Zernani »

Bue ha scritto:Quando li si usava a casa mia, quasi 40 anni fa, mi pare li si chiamasse ghiaccioli, anche se con un po' di imbarazzo perché il termine non li distingueva dai cubetti di ghiaccio e dai ghiaccioli dolci che si compravano al bar(re) (e che costavano 10 lire, se non ricordo male).
No, ricorda bene.
A titolo meramente statistico io uso tuttora ghiaccioli.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:A questo punto vi chiederei se conoscete la denominazione "ufficiale" in qualche altra lingua. Per ufficiale intendo una voce presente su un vocabolario.
Grazie in anticipo per le risposte. :)
Per l’inglese, il termine esatto sembra essere freezer pack (la definizione non è molto scientifica, ma l’oggetto è quello):
Il Cambridge Advanced Learner’s Dictionary ha scritto:freezer pack a plastic container filled with water or other liquid which can be frozen and then put in a container holding food and drink, in order to keep the food and drink cold.
Per il francese, ho chiesto nel foro e attendo le risposte. Il GDT canadese dà le denominazioni bloc réfrigérant, plaque réfrigérante, bloc-glace.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Sulle confezioni, mi dice l’amico Jacques, si trova scritto accumulateurs de froid.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Marco1971 ha scritto: Per l’inglese, il termine esatto sembra essere ...
Grazie mille, Marco, era proprio la risposta che desideravo. :)

Alla fine, dopo che avrò raccolto materiale sufficiente, proporrò la questione a qualche lessicografo di mia conoscenza...
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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