Il computiere alfin riconosciuto

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Marco1971
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Il computiere alfin riconosciuto

Intervento di Marco1971 »

Il DOP, alla voce computer, scrive:

Raro l’adatt. it. computiere.

Raro. Ma è la prima volta che lo vedo in un dizionario (la mia versione cartacea del DOP, precedente a quella in linea, non ne fa menzione). Evviva! :D
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Una buona notizia: un dizionario che non insegue solo gli ultimi prestiti dall'inglese.
Tuttavia, secondo quale criterio si sarà fatta questa scelta? Non c'è bumerango, ad esempio, perciò deve dipendere da una maggiore frequenza, riscontrata però non so come, visto che è difficile stilare classifiche fra forme tanto rare: forse è stata trovata in qualche pubblicazione?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Computiere è nelle pubblicazioni del Castellani; e forse anche – poiché i lessicografi usano ormai anche Google – le accresciute attestazioni in rete (in buona parte dovute a noi :D) avranno contribuito alla sua inclusione.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Non so, mi sembra strano: appena supera le 100-150 ricorrenze lo mettono? Mi sembra troppo semplice.
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Incarcato
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Intervento di Incarcato »

Nel caso sia vero che si avvalgono di google, speriamo lo facciano assennatamente.
Non oso pensare cosa potrebbe capitare altrimenti...
I' ho tanti vocabuli nella mia lingua materna, ch'io m'ho piú tosto da doler del bene intendere le cose, che del mancamento delle parole colle quali io possa bene esprimere il concetto della mente mia.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Che i lessicografi usino Google è un dato di fatto, lo dice lo stesso De Mauro nell’introduzione al GRADIT.

Per rispondere a Federico: non tengono conto soltanto delle occorrenze in rete.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Federico
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Intervento di Federico »

Marco1971 ha scritto:Per rispondere a Federico: non tengono conto soltanto delle occorrenze in rete.
Appunto per questo mi piacerebbe sapere qual è il motivo che li ha convinti a inserire computiere.
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

L’importante è che ci sia, per quanto mi riguarda.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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bubu7
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Intervento di bubu7 »

La dicitura “raro” è, in questo caso, addirittura eccessiva, perché essa è usata nei vocabolari per termini che hanno avuto, o hanno, una diffusione maggiore di quella minima di computiere.
Comprendo quindi le perplessità di Federico ma l’inserimento della variante sarebbe dovuta, oltre alla particolare impostazione dell’opera, alla forma multimediale del prodotto, che permette di largheggiare nell’indicazione delle varianti, e al fatto che ne esisterebbero (?) rare occorrenze sulla stampa.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Federico »

bubu7 ha scritto:Comprendo quindi le perplessità di Federico ma l’inserimento della variante sarebbe dovuta, oltre alla particolare impostazione dell’opera, alla forma multimediale del prodotto, che permette di largheggiare nell’indicazione delle varianti, e al fatto che ne esisterebbero (?) rare occorrenze sulla stampa.
E di bumerango no (tanto per riprendere l'esempio precedente, che non è il migliore possibile)?
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Marco1971
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Intervento di Marco1971 »

Vorrei ricordare, per chi scordato se ne fosse, che per quanto riguarda le forme lessicali, tutto è possibile e sono i parlanti a fare la lingua. Se qualcuno ha il coraggio di promuovere e computiere e bumerango lo faccia liberamente, ché non commetterà certo un errore; al contrario, contribuirà a riaggiustare le storte gambe della lingua d’oggi.

I dizionari registreranno le forme diffuse, da bravi collezionisti. O forse no (è piú importante accogliere extraweight piuttosto che dosasapone, che pure avevo segnalato).
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Federico ha scritto:
bubu7 ha scritto:Comprendo quindi le perplessità di Federico ma l’inserimento della variante sarebbe dovuta, oltre alla particolare impostazione dell’opera, alla forma multimediale del prodotto, che permette di largheggiare nell’indicazione delle varianti, e al fatto che ne esisterebbero (?) rare occorrenze sulla stampa.
E di bumerango no (tanto per riprendere l'esempio precedente, che non è il migliore possibile)?
Avevo infatti espresso i miei dubbi (mettendoci un punto interrogativo) sull'esistenza di occorrenze sulla stampa (occorrenze pesate in maniera opportuna) e sull’opportunità del solitario accoglimento della variante nel DOP.
Marco1971 ha scritto:Se qualcuno ha il coraggio di promuovere e computiere e bumerango lo faccia liberamente, ché non commetterà certo un errore; al contrario, contribuirà a riaggiustare le storte gambe della lingua d’oggi.
Condivido in parte quest’invito. Varianti così eccentriche vanno usate tenendo conto del co(n)testo, anche da coloro che intendono promuoverle, altrimenti si rischia di incorrere in sanzioni linguistiche e sociali.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
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Intervento di Marco1971 »

bubu7 ha scritto:Condivido in parte quest’invito. Varianti così eccentriche vanno usate tenendo conto del co(n)testo, anche da coloro che intendono promuoverle, altrimenti si rischia di incorrere in sanzioni linguistiche e sociali.
Ma se non si supera la paura del che-penserà-la-gente, se ci s’intirizzisce e ci si blocca per téma di apparire ‘diversi’, non sembra possibile innescare alcun processo graduale di mutamento delle abitudini linguistiche, non crede? Ci vuole coraggio, ma sono ben conscio che un tale coraggio non è dato a tutti.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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Intervento di bubu7 »

Caro Marco, questo discorso l’abbiamo affrontato innumerevoli volte.

Quel che lei considera coraggio io la definirei in-coscienza, cioè mancata consapevolezza (o meglio, considerazione) delle molteplici e sottili variabili che entrano in gioco nel processo comunicativo.
Nelle diverse situazioni comunicative esistono limiti differenti entro i quali possiamo e dovremmo dispiegare il nostro ventaglio di scelte linguistiche.
In un forum linguistico o nel linguaggio familiare lei può legittimamente adottare un suo lessico particolare. Invece in una comunicazione tecnica, oppure in una comunicazione impersonale, l’uso di termini così marcati contravviene ai più elementari principi della comunicazione interpersonale. In questi ultimi casi se lei insiste ad usare varianti così eccentriche (mentre possono essere ammissibili, in alcuni casi, scelte meno marcate come calcolatore, elaboratore…) commette, come ricordavamo in un’altra discussione, un errore stilistico o di registro.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Intervento di Marco1971 »

Mentre chi infarcisce i propri discorsi di new company, peer education, safe zone, strapping, ultimate frisbee, viral marketing, watermark, ecc. si esprime in un italiano neutro, non marcato? Nel caso di adattamenti non vistosi, mi affranco dal giogo delle convenzioni e non temo «errori di stile/registro», ché tali non li considero.
Ma quella lingua si chiama d’una patria, la quale convertisce i vocaboli ch’ella ha accattati da altri nell’uso suo, et è sí potente che i vocaboli accattati non la disordinano, ma ella disordina loro.
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