Maurizio Dàrdano e le proposizioni concessive

Spazio di discussione su questioni che non rientrano nelle altre categorie, o che ne coinvolgono piú d’una

Moderatore: Cruscanti

Intervieni
Avatara utente
umanista89
Interventi: 39
Iscritto in data: lun, 14 ago 2006 22:22

Maurizio Dàrdano e le proposizioni concessive

Intervento di umanista89 »

1. Quanto mi accingo a scrivere è il frutto di una ragionata ed annosa analisi, perpetrata anche alla luce di comparazioni con altri autorevoli testi, della definizione che un noto ed affermato manuale di grammatica italiana, quello di Maurizio Dàrdano e Pietro Trifone (M. Dàrdano, P. Trifone, Grammatica italiana, Zanichelli, Bologna, 1995), molto diffuso nelle scuole e tra gli studiosi, riporta a proposito delle proposizioni concessive. Non è nelle mie intenzioni – lo chiarisco in via preliminare – fare una valutazione complessiva del valore scientifico e didattico di questo manuale (non ne avrei la capacità né le competenze), ma soltanto rilevare una definizione, a mio modesto avviso imprecisa, presente nel testo.

2. Cosí Dàrdano-Trifone (ib., pag. 464, § 12.11) definisce le proposizioni concessive:[/size]

Indicano il mancato verificarsi dell'effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa:

benché abbia fame, non mangerò.

In altri termini: c'è un fattore (la fame) che normalmente produce un certo effetto (la fame spinge a mangiare); ma nel caso specifico accade il contrario di quanto ci aspettiamo.


A questa definizione contesto sostanzialmente tre cose:

1) Il fatto che a sostegno della propria tesi riporti un esempio negativo («benché abbia fame, non mangerò»).
2) Il fatto, conseguente al primo, che parli di «mancato verificarsi dell'effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa», mentre invece l'effetto, ancorché ostacolato da una causa impediente, si verifica.
3) Il fatto, piú grave dei precedenti, che essa muova dal pregiudicante errore di attribuire (peraltro in maniera imprecisa, come argomenterò piú avanti) alla proposizione subordinata (concessiva) una caratteristica («il mancato verificarsi dell'effetto») che invece afferisce, indiscutibilmente, alla proposizione sovraordinata.

Procedo, di seguito, ad analizzare piú diffusamente le tre obiezioni.


3.Come già detto, la proposizione concessiva riportata come esempio dal Dàrdano-Trifone («benché abbia fame») dipende da una proposizione in forma negativa («non mangerò»). Ora, per analogo ragionamento a quello del Dàrdano-Trifone, dovremmo dire, p. es., che le proposizioni causali esprimono la causa per la quale non si verifica il processo verbale della sovraordinata: «poiché sono sazio, non mangerò». Ma le cose non stanno proprio cosí. La proposizione causale, com'è noto (ne conviene anche lo stesso Dàrdano-Trifone; cfr. M. Dàrdano, P. Trifone, ib., pag. 453, § 12.5: «[le proposizioni causali] indicano la causa per cui avviene quanto è espresso nella principale»), esprimono la circostanza a causa della quale avviene il processo verbale della sovraordinata (es.: «poiché ho fame, mangerò»). Se proprio vogliamo considerare un esempio di forma negativa, la definizione resterà, com'è ovvio, immutata, ma dovremo dire che l'azione che si verifica (e di cui nella subordinata si esprime la causa) è, tout court, quella del non-mangiare. Insomma, la scelta di riportare, quale esempio esplicativo, una frase in forma negativa, anzitutto è quanto meno sconsigliabile in un manuale, che per sua natura, essendo destinato alla divulgazione, oltre a contenere informazioni corrette dovrebbe avere un'esposizione chiara e limpida; in secondo luogo, ha indotto i due studiosi a parlare di «mancato verificarsi dell'effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa».

4. Come già detto, l'aver riportato un esempio in forma negativa ha indotto gli autori del Dàrdano-Trifone a parlare di «mancato verificarsi dell'effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa». Per confutare questa definizione basterà analizzare qualsiasi altro esempio di proposizione concessiva che non contenga negazioni. Ne riporterò una tratta proprio dal Dàrdano-Trifone (ib.): «sebbene la temperatura fosse torrida, le due squadre hanno giocato una bella partita di calcio». Il periodo c'informa che, sebbene la temperatura fosse torrida (causa impediente), le due squadre hanno giocato (effetto) quella partita . Vale a dire che la causa impediente non è stata di ostacolo al verificarsi del processo verbale espresso dalla sovraordinata: in altre parole, l'effetto si è verificato. Del tutto improprio, dunque, è parlare di «mancato verificarsi», poiché la definizione decadrebbe se applicata ad un esempio non negativo. Perciò, riferendoci all'esempio iniziale («benché abbia fame, non mangerò») dovremo dire, diversamente dal Dàrdano-Trifone, che l'«effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa» si verifica eccome, perché esso è costituito dall'intero processo verbale del «non-mangiare»: in altri termini è l'azione del non-mangiare, nonostante la causa impediente (benché abbia fame), a verificarsi. Perciò il Dàrdano-Trifone non soltanto ha operato una scelta didatticamente sconsigliabile (quella, cioè, di riportare un esempio in forma negativa), ma ha anche dato alle proposizioni concessive una definizione diversa dalla loro natura.


5. Analizziamo piú nel dettaglio la forma in cui è espresso l'enunciato del Dàrdano-Trifone: «[le proposizioni concessive] indicano il mancato verificarsi dell'effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa». Riportiamo ancora l'esempio iniziale: «benché abbia fame, non mangerò». Come si nota inequivocabilmente, l'effetto (a prescindere del fatto che, come ho argomentato prima, esso, diversamente da quel che sostiene il Dàrdano-Trifone, si verifica) è contenuto non già nella proposizione subordinata concessiva (benché abbia fame), bensí nella sovraordinata (non mangerò). La proposizione concessiva, invece, contiene la «concessione», cioè la causa nonostante la quale avviene il processo verbale espresso nella sovraordinata: l'effetto, dunque, si trova in quest'ultima.


6. Il Dàrdano-Trifone, insomma, anche sulla falsariga d'un esempio un po' infelice (in quanto espresso in forma negativa), secondo me adombra nella definizione della proposizione concessiva due imprecisioni: quella di riferire a quest'ultima (e non, come sarebbe giusto, alla sovraordinata) l'«effetto» della causa impediente; e quella di parlare di un «mancato verificarsi» di tale effetto, quando invece esso si verifica. Quale, dunque, la retta definizione delle proposizioni concessive? Quella riportata, con parole lievemente diverse che esprimono però sempre lo stesso concetto, da molti autorevoli manuali di grammatica e dizionarî della lingua italiana. Citerò, su tutte, le seguenti definizioni:

1) «La proposizione concessiva esprime una circostanza che, pur essendo di ostacolo a quanto si asserisce nella proposizione principale o reggente, tuttavia non ne impedisce né pregiudica il compimento. Ed è detta "concessiva" perché in essa si ammette, e perciò si "concede", un motivo d'opposizione rispetto alla principale» (S. Battaglia, V. Pernicone, Grammatica italiana, Loescher, Torino, 1970, pag. 340, § 32).
2) «[La proposizione concessiva è una] proposizione subordinata indicante una circostanza nonostante la quale ciò che è detto nella reggente conserva la sua validità» (N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Dodicesima edizione, Zanichelli, Bologna, 1999, pag. 418).

Paradossale, poi, è il fatto che lo stesso Maurizio Dàrdano, nel suo dizionario della lingua italiana (M. Dardano, Nuovissimo dizionario della lingua italiana, Armando Curcio Editore, Roma, 1982, pag. 417) cosí definisce la proposizione concessiva: «proposizione subordinata che indica una circostanza oppositiva, nonostante la quale si verifica il contenuto della proposizione reggente: "benché io sia ammalato, partirò ugualmente"». Tale ineccepibile definizione è, come si vede, in netto contrasto con quella presente nel manuale di grammatica scritto da lui stesso con Pietro Trifone.


7. Ad alcuni parrà forse eccessivo aver sviluppato una cosí ampia ed articolata disquisizione su quest'argomento. In realtà, se si fosse trattato d'un manuale di second'ordine (come tanti di quelli in commercio, che contengono imprecisioni ben piú gravi), io stesso non mi sarei sobbarcato ad una cosí minuziosa analisi. Tuttavia, proprio perché quella di Maurizio Dàrdano e Pietro Trifone è una grammatica di consolidato successo e d'indiscutibile valore, molto diffusa e apprezzata nelle scuole italiane, mi è sembrato doveroso trattare in maniera approfondita l'argomento.

In conclusione, però, va anche osservato che, nell'ottica della «grammatica descrittiva» (invece che normativa), la definizione presa in esame, con qualche modifica, avrebbe una sua ragion d'essere. Se, cioè, la formulassimo diversamente (p. es.: «il periodo che contiene una proposizione concessiva indica il verificarsi o il mancato verificarsi dell'effetto che potrebbe o dovrebbe conseguire a una determinata causa»), potrebbe a buon diritto considerarsi una valida ed efficace descrizione di questo fenomeno sintattico. Tuttavia, anche in tal caso, resterebbe una definizione un po' complessa; perciò sarebbe opportuno, a mio avviso, che un manuale divulgativo la riportasse, oltre che in maniera diversa, solo, integrativamente, a mo' di descrizione, piú che di definizione, del fenomeno, e che la facesse precedere dalla definizione tradizionale, che mantiene una sua limpida scorrevolezza e un'innegabile veridicità.

Ultima modifica di umanista89 in data sab, 16 mag 2009 23:02, modificato 2 volte in totale.
Ladim
Interventi: 216
Iscritto in data: lun, 08 nov 2004 14:36

Intervento di Ladim »

In effetti la subordinazione concessiva – in questa prospettiva – andrebbe considerata entro una più generale rottura del rapporto di 'causa ed effetto'... Ma un solo suggerimento, per la Sua bella e accurata riflessione: non si darebbe un'analisi normativa delle strutture logiche, e cioè non si può imporre al pensiero un determinato percorso strutturale: seppure proponiamo una definizione, ci troviamo ad ogni modo nel campo della descrizione, una descrizione che comunque rischia di macchiarsi d'empirismo; il Dardano-Trifone, qui, paga lo scotto di aver reso assoluta una sola 'combinazione' tra le tante (lasciamo stare l'errore vero e proprio) – ché, ad esempio, la concessiva spezza anche la consuetudine, e la consuetudine è solo una mascheratura di un probabile rapporto di causa-effetto... D'altra parte, l'«ostacolo» può essere non esattamente pacifico o del tutto fittizio: cfr. «ho letto il giornale, sebbene facesse freddo», oppure «parlai con Mario, sebbene a Tegucigalpa un turista si coricò all'ombra»: la forma sintattica suggerisce una qualche idea di frustrazione logica, e la concretezza dell'«ostacolo» va comunque inferita e interpretata... Sicché la subordinata concessiva non andrebbe analizzata per il suo contenuto empirico, indicandone gli «ostacoli» e le «circostanze» effettuali; semmai ne andrebbe spiegata la struttura formale di opposizione problematizzata. Il più della logica è nel valore semantico veicolato proprio dalla struttura sintattica: parlare di 'circostanze oppositive' (pensando al mondo dell'esperienza) è limitativo, ancorché didatticamente utile.
Intervieni

Chi c’è in linea

Utenti presenti in questa sezione: Nessuno e 0 ospiti