Etimologia
Moderatore: Cruscanti
Etimologia
Ripropongo qui, sperando che sia il gruppo (di filoni) giusto, il quesito che ho posto alcuni giorni addietro nel forum dell'Accademia.
Tra gli utenti, vi è qualcuno che sappia indicarmi il motivo per cui la maggior parte dei termini italiani derivi dall'accusativo latino?
Grazie e buona giornata
LCS
Tra gli utenti, vi è qualcuno che sappia indicarmi il motivo per cui la maggior parte dei termini italiani derivi dall'accusativo latino?
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Re: Etimologia
Il suo quesito non m’era affatto sfuggito, caro LCS, e ho appunto chiesto a [quel santo di] Marco un aiuto bibliografico in modo da poterLe offrire una risposta la piú completa possibile…LCS ha scritto:Ripropongo qui, sperando che sia il gruppo (di filoni) giusto, il quesito che ho posto alcuni giorni addietro nel forum dell'Accademia.
Tra gli utenti, vi è qualcuno che sappia indicarmi il motivo per cui la maggior parte dei termini italiani derivi dall'accusativo latino?
Comunque, visto che Amicus eius è in «volontario esilio» dal Forum dell’Accademia, ma non da questo, potrà magari essere lui a fornirLe nel frattempo la risposta che cerca.
LCS ha scritto:Grazie mille.
Nel frattempo sto cercando anche io della documentazione.
Adesso intercedo: Amicus sta scrivendo la voce "Indoeuropeo" per Wikipedia e visita poco di conseguenza Cruscate.
Date un po' uno sguardo al suo lavoro: Indoeuropeo.
Un saluto a tutti.
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Evocato da remote plaghe ( ), cerco di dare una sintetica risposta alla domanda.
Nell'ambito della famiglia delle lingue indoeuropee, il latino si colloca in un'area geolinguistica, quella delle cosiddette lingue kentum, caratterizzata dal fenomeno del sincretismo dei casi, una deriva linguistica in atto da almeno cinquemila anni.
In cosa consiste il sincretismo dei casi? Si ha sincretismo di casi quando una lingua va incontro alla semplificazione del suo sistema di casi, in séguito all'erosione fonetica delle desinenze e al conseguente ricadere sotto uno stesso caso di funzioni logiche che in precedenza erano espresse con terminazioni di caso diverse. Per esempio, nell'indoeuropeo il complemento di moto da luogo era espresso in ablativo (*yugod: dal giogo) e il complemento di mezzo o strumento era reso con lo strumentale (*yugo: per mezzo del giogo); in latino la distinzione fra ablativo e strumentale va perduta, e l'ablativo riveste anche la funzione dello strumentale. Così dagli otto casi dell'indeuropeo (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, locativo, ablativo, strumentale), si passa ai sei del latino (nominativo, genitivo, dativo, accusativo,vocativo, ablativo, con un relitto semisistematico di locativo). Tuttavia la deriva morfosintattica del sincretismo dei casi non si è mai fermata. Noi conosciamo per lo più il volto pulito e terso del latino dei classici, ma quello è solo uno dei latini possibili. Le varietà di registro e le inflessioni dialettali del latino parlato, nate sia per evoluzione interna, sia per interazione con le lingue di substrato, prelatine, erano abbastanza diverse dal latino di Cicerone e Virgilio. Il latino classico è il frutto di una rigida selezione di varianti, rispetto al latino volgare (del popolino) e rustico (delle campagne intorno a Roma). Le varianti del latino volgare, tuttavia, avevano alcuni tratti in comune, che erano principalmente: 1) a livello fonetico l'erosione delle desinenze m ed s nella flessione nominale e verbale -con conseguente erosione delle desinenze (e ciò accade già nella fase più arcaica della repubblica: nelle iscrizioni in versi saturni delle tombe degli Scipioni, III-II sec. a. C., Samnio, Taurasia, Cisaunia, aide sono accusativi senza m finale, che si confondono con nominativi e ablativi); 2) sul piano morfosintattico, il prevalere dell'accusativo sull'ablativo e sugli altri casi.
Il fenomeno del prevalere dell'accusativo viene via via affermandosi nel corso dell'età imperiale, fino a giungere al culmine in autori tardi di aree periferiche, come Lucifero di Cagliari, che usa un de + accusativo di provenienza o partitivo. La situazione del tardo latino era aggravata anche dal fatto che molti parlanti erano bilingui (greco-latini) o parlavano un latino con sintassi grecizzante, e il greco di casi ne ha cinque (non ha l'ablativo) e in età tardoellenistica (già dal primo secolo avanti Cristo), aveva praticamente perso il dativo, le cui funzioni erano sempre più divenute appannaggio di genitivi e accusativi. Da quello che abbiamo detto finora si deduce che il latino parlato (non solo da analfabeti) del V-IV secolo d. C., impiegava di fatto solo quattro dei sei casi normativi, cioè nominativo, genitivo, (vocativo), accusativo. A ciò si aggiunga che, sul piano fonetico della pronuncia reale, s ed m non si sentivano più (erano già deboli in età alto-repubblicana, intorno all'epoca di Scipione l'Africano, quindi figuriamoci in età tardo-antica). La debole distinzione fra nominativo e accusativo era poi aggravata dalla presenza dei neutri (che hanno nominativo e accusativo uguali). L'altra deriva a cui il latino volgare e tardo va incontro è la semplificazione del genere, dal sistema a tre indoeuropeo (maschile, femminile, neutro), al sistema a due delle lingue neolatine (maschile e femminile), passando per una fase di confusione in cui la stessa parola ha una forma neutra e una maschile (coelus maschile è attestato accanto a coelum femminile già in Lucrezio... e alla base di questa duplice forma esiste probabilmente un fattore etimologico, coelus-coelum era in origine un aggettivo, "vuoto", cfr il greco koilos; dunque alle radici della confusione maschile-neutro agiscono dinamiche antiche e profonde). In ogni modo, quali che fossero le dinamiche particolari di evoluzione, alla fine si giunge anche a una confusione di generi, che aggrava il sincretismo. Alla fine di questa parabola evolutiva, si perviene alla struttura dei volgari del medioevo. In Francia, la lingua d'oil e la linga d'oc conservano ancora una distinzione fra relitto del nominativo e relitto dell'accusativo (caso retto e obliquo), e rimasugli di genitivo plurale in -or nei nomi etnici, mentre il genitivo va perduto. In Italia, il placito capuano, attorno al 1000, attesta un relitto di genitivo (Sancti Benedicti). Tuttavia si tratta di situazioni instabili o fenomeni marginali, che tendono infine alla perdita del caso come categoria sistematica e alla fusione di tutte le antiche forme nell'onnipresente accusativo, versatilissimo in latino volgare, e confuso con nominativo e ablativo per l'erosione delle desinenze.
Spero di non essere stato troppo involuto e prolisso. Del resto, c'è tutto il tempo di leggere, chiarirsi le idee e fare domande. Valete.
Nell'ambito della famiglia delle lingue indoeuropee, il latino si colloca in un'area geolinguistica, quella delle cosiddette lingue kentum, caratterizzata dal fenomeno del sincretismo dei casi, una deriva linguistica in atto da almeno cinquemila anni.
In cosa consiste il sincretismo dei casi? Si ha sincretismo di casi quando una lingua va incontro alla semplificazione del suo sistema di casi, in séguito all'erosione fonetica delle desinenze e al conseguente ricadere sotto uno stesso caso di funzioni logiche che in precedenza erano espresse con terminazioni di caso diverse. Per esempio, nell'indoeuropeo il complemento di moto da luogo era espresso in ablativo (*yugod: dal giogo) e il complemento di mezzo o strumento era reso con lo strumentale (*yugo: per mezzo del giogo); in latino la distinzione fra ablativo e strumentale va perduta, e l'ablativo riveste anche la funzione dello strumentale. Così dagli otto casi dell'indeuropeo (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, vocativo, locativo, ablativo, strumentale), si passa ai sei del latino (nominativo, genitivo, dativo, accusativo,vocativo, ablativo, con un relitto semisistematico di locativo). Tuttavia la deriva morfosintattica del sincretismo dei casi non si è mai fermata. Noi conosciamo per lo più il volto pulito e terso del latino dei classici, ma quello è solo uno dei latini possibili. Le varietà di registro e le inflessioni dialettali del latino parlato, nate sia per evoluzione interna, sia per interazione con le lingue di substrato, prelatine, erano abbastanza diverse dal latino di Cicerone e Virgilio. Il latino classico è il frutto di una rigida selezione di varianti, rispetto al latino volgare (del popolino) e rustico (delle campagne intorno a Roma). Le varianti del latino volgare, tuttavia, avevano alcuni tratti in comune, che erano principalmente: 1) a livello fonetico l'erosione delle desinenze m ed s nella flessione nominale e verbale -con conseguente erosione delle desinenze (e ciò accade già nella fase più arcaica della repubblica: nelle iscrizioni in versi saturni delle tombe degli Scipioni, III-II sec. a. C., Samnio, Taurasia, Cisaunia, aide sono accusativi senza m finale, che si confondono con nominativi e ablativi); 2) sul piano morfosintattico, il prevalere dell'accusativo sull'ablativo e sugli altri casi.
Il fenomeno del prevalere dell'accusativo viene via via affermandosi nel corso dell'età imperiale, fino a giungere al culmine in autori tardi di aree periferiche, come Lucifero di Cagliari, che usa un de + accusativo di provenienza o partitivo. La situazione del tardo latino era aggravata anche dal fatto che molti parlanti erano bilingui (greco-latini) o parlavano un latino con sintassi grecizzante, e il greco di casi ne ha cinque (non ha l'ablativo) e in età tardoellenistica (già dal primo secolo avanti Cristo), aveva praticamente perso il dativo, le cui funzioni erano sempre più divenute appannaggio di genitivi e accusativi. Da quello che abbiamo detto finora si deduce che il latino parlato (non solo da analfabeti) del V-IV secolo d. C., impiegava di fatto solo quattro dei sei casi normativi, cioè nominativo, genitivo, (vocativo), accusativo. A ciò si aggiunga che, sul piano fonetico della pronuncia reale, s ed m non si sentivano più (erano già deboli in età alto-repubblicana, intorno all'epoca di Scipione l'Africano, quindi figuriamoci in età tardo-antica). La debole distinzione fra nominativo e accusativo era poi aggravata dalla presenza dei neutri (che hanno nominativo e accusativo uguali). L'altra deriva a cui il latino volgare e tardo va incontro è la semplificazione del genere, dal sistema a tre indoeuropeo (maschile, femminile, neutro), al sistema a due delle lingue neolatine (maschile e femminile), passando per una fase di confusione in cui la stessa parola ha una forma neutra e una maschile (coelus maschile è attestato accanto a coelum femminile già in Lucrezio... e alla base di questa duplice forma esiste probabilmente un fattore etimologico, coelus-coelum era in origine un aggettivo, "vuoto", cfr il greco koilos; dunque alle radici della confusione maschile-neutro agiscono dinamiche antiche e profonde). In ogni modo, quali che fossero le dinamiche particolari di evoluzione, alla fine si giunge anche a una confusione di generi, che aggrava il sincretismo. Alla fine di questa parabola evolutiva, si perviene alla struttura dei volgari del medioevo. In Francia, la lingua d'oil e la linga d'oc conservano ancora una distinzione fra relitto del nominativo e relitto dell'accusativo (caso retto e obliquo), e rimasugli di genitivo plurale in -or nei nomi etnici, mentre il genitivo va perduto. In Italia, il placito capuano, attorno al 1000, attesta un relitto di genitivo (Sancti Benedicti). Tuttavia si tratta di situazioni instabili o fenomeni marginali, che tendono infine alla perdita del caso come categoria sistematica e alla fusione di tutte le antiche forme nell'onnipresente accusativo, versatilissimo in latino volgare, e confuso con nominativo e ablativo per l'erosione delle desinenze.
Spero di non essere stato troppo involuto e prolisso. Del resto, c'è tutto il tempo di leggere, chiarirsi le idee e fare domande. Valete.
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La derivazione dei nomi italiani dall’accusativo
All’ottima risposta di Amicus eius non ci sarebbe bisogno d’aggiungere altro; tuttavia, siccome Marco -anima pia- s’è sobbarcato l’onere di scandirmi diversi paragrafi del Rohlfs, mi sembrerebbe uno spreco non riportarli.
In ogni caso, qualora si ravvisino delle discrepanze con quanto scritto sopra, si tengano senz’altro per buone le considerazioni di Amicus eius, che rispecchiano un punto di vista sicuramente piú aggiornato: anzi, sarei grato a chiunque mi volesse segnalare alcunché di palesemente errato, o comunque datato, nei brani che seguono.
Il tutto è tratto da Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. 2 (Morfologia), traduzione di Temistocle Franceschi, «Einaudi», Torino 1968 (tutti i neretti [e le note in calce] sono miei).
A questo punto, è forse opportuno chiarire col Franceschi un aspetto morfologico dell’italiano intimamente connesso a quello in oggetto (nota 6, p. 27):
Un altro riferimento utile (che purtroppo non ho) potrebbe essere il recente libro di Giuseppe Patota, Lineamenti di grammatica storica dell'italiano, «Mulino», Bologna 2002.
_____________
¹Il perché è ovvio: nominativo e accusativo sono i casi piú importanti/fondamentali e [quindi] piú comuni/ricorrenti, essendo l’uno il caso del soggetto, del nome del predicato e del relativo complemento predicativo; l’altro quello del complemento oggetto, del suo complemento predicativo nonché quello retto da una miriade di preposizioni.
²L’esempio classico è quello del dativo rimpiazzato da ad + accusativo.
³In realtà, già in latino [classico] la m finale (residuo della sonante nasale bilabiale indoeuropea, che -in questa posizione- in greco passa a ni per ragioni fonotattiche) indicava semplicemente la nasalizzazione della vocale precedente. Si veda anche http://venus.unive.it/canipa/pdf/HPh_22 ... guages.pdf, §§22.1–3 e 22.52–53.
⁴Coerentemente, i pronomi personali soggetto derivano dal caso nominativo: ego > *eo > io, tu > tu, ille > *illi > egli, etc.
⁵Nel latino tardo centroitalico la u breve del latino classico passa a o chiusa [o] attraverso : e.g., lupum ['lUpU~] > *lupu ['lUpU, 'lu:-] > lupo ['lu:po].
In ogni caso, qualora si ravvisino delle discrepanze con quanto scritto sopra, si tengano senz’altro per buone le considerazioni di Amicus eius, che rispecchiano un punto di vista sicuramente piú aggiornato: anzi, sarei grato a chiunque mi volesse segnalare alcunché di palesemente errato, o comunque datato, nei brani che seguono.
Il tutto è tratto da Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, vol. 2 (Morfologia), traduzione di Temistocle Franceschi, «Einaudi», Torino 1968 (tutti i neretti [e le note in calce] sono miei).
Per alcune considerazioni «d’annata» sul perché sempre di accusativo si tratti, e non di ablativo, si veda: http://culturitalia.uibk.ac.at/s_spina/ ... /CASO.HTML.343. Nominativo e accusativo. La flessione latina a cinque casi fu presto sostituita, nel latino volgare, da una flessione a due casi. A conservarsi – quando fra loro esistevano differenze fonetiche – in forme distinte furono soprattutto il nominativo e l’accusativo¹ (mentre gli altri casi venivano espressi a mezzo d’una preposizione²): népos‑nepóte, múlier‑muliére, ínfans‑infánte, sóror‑soróre, cívitas‑civitáte, murus‑muru, clavis‑clave. In molti vocaboli tuttavia venne a mancare, grazie alla precoce caduta di -m finale³, anche la distinzione tra nominativo e accusativo (almeno nel singolare): capra, poeta potevano essere cosí nominativi come accusativi. In seguito, quando cadde anche -s finale […], il numero delle parole a forma unica si accrebbe grandemente: oculu, fide, manu potevano essere nominativi non meno che accusativi.
Dato che moltissime parole s’erano ridotte a una forma unica, era naturale che lo sviluppo in tal senso prendesse ognor piú piede. Poiché capra, oculu, fide, manu, col loro unico caso, non offrivano alcuna difficoltà alla comprensione, la flessione a due casi venne sentita come non piú necessaria anche in altre parole (virtus‑virtute, pons‑ponte). E poiché nei concetti inanimati e impersonali l’accusativo veniva impiegato piú frequentemente del nominativo, quest’ultimo andò sempre piú perdendosi. In generale è dunque la forma accusativa che si è conservata: nipote, imperatore, città(te), monte, dente, fiore, traditore.
344. Casi di conservazione del nominativo. Da quanto s’è detto appar chiaro che troviamo casi di conservazione del nominativo essenzialmente nei concetti personali, capaci di presentarsi come soggetto agente⁴. Dalla lingua nazionale citiamo: uomo, moglie, sarto, ladro, prete (ant. lomb. prèvido, it. merid. prèvite) < praebyter, il re. [Segue discussione di altri nomi di piú incerta derivazione nominativale (NdI).]
348. Ablativo o accusativo? I neutri della terza declinazione latina uscenti in consonante (sal, mel, vimen, cor, lac, genus) dànno in italiano forme con uscita vocalica: sale, miele, vimine, cuore, latte, genere. Queste forme posson riguardarsi come ablativi, ovvero come accusativi formati analogicamente. La seconda ipotesi è confortata dal fatto che l’italiano non sopporta uscita consonantica: cfr. tempo, quattro, nome. La consonante finale poteva semplicemente venir eliminata, come in tempo, nome, petto, seme, pepe, capo. Ma questo principio non era il piú adatto alle parole monosillabiche, che ne risultavano troppo accorciate. Si poté cosi far seguire un e alla consonante finale (core), ovvero creare un accusativo analogico latte, sale, vimine, su de latte, de vimine, secondo altri modelli (de flore, acc. flore). Sviluppo che venne favorito dall’esistenza già nel latino d’una forma sale accanto a quella sal. In alcuni dialetti anche examen ha sviluppato una tal forma analogica dell’accusativo, cfr. il marchigiano assáminu, umbro ssáməno ‘sciame’ (AIS, 1155), calabrese sámina ‘esame’. Che non si tratti dell’ablativo è in ogni modo chiaramente dimostrato da miele, meridionale mèle, che non continua l’ablativo melle, bensí un accusativo analogico mele(m). A tale evoluzione contribuí il fatto che il concetto del genere neutro andò sempre piú perdendosi nel latino volgare, sí che il neutro veniva spostato in altre declinazioni (tempus secondo murus, far secondo carrus). […]
A questo punto, è forse opportuno chiarire col Franceschi un aspetto morfologico dell’italiano intimamente connesso a quello in oggetto (nota 6, p. 27):
[Si legga però qui («Forma del plurale»).]Si pone qui il problema del perché l’italiano (col romeno) concordi col resto della Romània nell’adozione dei vocaboli all’accusativo (cfr. magro, nipote, monte, neve) nel singolare, e al plurale continui invece le forme nominative. Problema che richiede una soluzione strutturale: data l’innovazione della caduta delle consonanti finali avvenuta nel tardo latino dell’Italia centrale (da cui deriva certo il romeno), si sarebbe avuta identità fra singolare e plurale in capra/capra(s), lupo/lupo(s)⁵. Durante il periodo in cui perdurò il sistema bicasuale (nominativo/accusativo) ci si dové quindi accorgere della convenienza d’assumer le coppie capra/capre e lupo/lupi come massimamente distintive. Una volta consolidatasi come caratteristica del femminile l’uscita -e, facile diveniva anche il trapasso da cane(s) a cani, analogico a lupi (con qualche resto di -e […]); mentre lo sviluppo di noce […] doveva restar contrastato fra l’analogia a capre e quella a cani (sing. cane/noce, pl. cani/noci). – Nell’Italia settentrionale, dove la caduta di -s fu certo seriore, la vittoria dello forme nominative fu indubbiamente piú combattuta, specialmente nella declinazione in -a, dove -as dovette estendersi al nominativo […].
Un altro riferimento utile (che purtroppo non ho) potrebbe essere il recente libro di Giuseppe Patota, Lineamenti di grammatica storica dell'italiano, «Mulino», Bologna 2002.
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¹Il perché è ovvio: nominativo e accusativo sono i casi piú importanti/fondamentali e [quindi] piú comuni/ricorrenti, essendo l’uno il caso del soggetto, del nome del predicato e del relativo complemento predicativo; l’altro quello del complemento oggetto, del suo complemento predicativo nonché quello retto da una miriade di preposizioni.
²L’esempio classico è quello del dativo rimpiazzato da ad + accusativo.
³In realtà, già in latino [classico] la m finale (residuo della sonante nasale bilabiale indoeuropea, che -in questa posizione- in greco passa a ni per ragioni fonotattiche) indicava semplicemente la nasalizzazione della vocale precedente. Si veda anche http://venus.unive.it/canipa/pdf/HPh_22 ... guages.pdf, §§22.1–3 e 22.52–53.
⁴Coerentemente, i pronomi personali soggetto derivano dal caso nominativo: ego > *eo > io, tu > tu, ille > *illi > egli, etc.
⁵Nel latino tardo centroitalico la u breve del latino classico passa a o chiusa [o] attraverso : e.g., lupum ['lUpU~] > *lupu ['lUpU, 'lu:-] > lupo ['lu:po].
Un saluto a tutti!
L'esposizione di amicus_eius è stata molto interessante.
Vista la sua competenza, vorrei chiedergli se mi può fornire qualche chiarimento sul periodo storico precedente quello da lui preso in considerazione.
Infatti non possiamo pensare che l'indoeuropeo sia nato con otto casi.
Il fenomeno del sincretismo dei casi sarà cominciato circa cinquemila anni fa (quali evidenze abbiamo di questa datazione?), ma prima avrà agito sicuramente un fenomeno che li avrà creati tutti questi casi.
Abbiamo qualche informazione su questo periodo e sulle forze che hanno agito? Partendo da radicali, con agglutinazioni o che so altro...
Vi è qualche ipotesi sul perché, cinquemila anni fa c'è stata quest'inversione di tendenza?
Per ora mi fermo, ma le domande che ho lasciato nella penna sono tante.
P.s.
Sicuramente l'avrà già notato, non si può proprio eliminare?
L'esposizione di amicus_eius è stata molto interessante.
Vista la sua competenza, vorrei chiedergli se mi può fornire qualche chiarimento sul periodo storico precedente quello da lui preso in considerazione.
Infatti non possiamo pensare che l'indoeuropeo sia nato con otto casi.
Il fenomeno del sincretismo dei casi sarà cominciato circa cinquemila anni fa (quali evidenze abbiamo di questa datazione?), ma prima avrà agito sicuramente un fenomeno che li avrà creati tutti questi casi.
Abbiamo qualche informazione su questo periodo e sulle forze che hanno agito? Partendo da radicali, con agglutinazioni o che so altro...
Vi è qualche ipotesi sul perché, cinquemila anni fa c'è stata quest'inversione di tendenza?
Per ora mi fermo, ma le domande che ho lasciato nella penna sono tante.
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Sicuramente l'avrà già notato, non si può proprio eliminare?
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
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Benvenuto!bubu7 ha scritto:Un saluto a tutti!
No, non l’avevo notato, ma mentirei se le dicessi che non me l’aspettavo: gli orrori di traduzione sono molti (refusi a parte).bubu7 ha scritto:P.s.
Per Infarinato:Questo Forum usa i cookies per conservare informazioni sul tuo computer locale. Questi cookies non contengono le informazioni che hai inserirai, servono soltanto per velocizzarne il processo.
Sicuramente l'avrà già notato, non si può proprio eliminare?
Sia cosí gentile da ricopiare la sua osservazione in questa sezione del forum, onde «metterla agli atti». Grazie.
Solo una «noterella a piè di pagina» persino fuori tema, ma mi sembra che questo evidenze sia un anglismo per prove, testimonianze, indizi, tracce, ecc. Il GRADIT riporta sí «fatto che mostra con certezza qcs., prova», ma è un uso che lo stesso dizionario definisce limitato al linguaggio filosofico, e sarebbe forse opportuno non sovraestendere l’uso di parole confinate a precisi ambiti specialistici. Scusate la parentesi.bubu7 ha scritto:quali evidenze abbiamo di questa datazione?
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Los amigos, las amigas, però non so cosa voglia dire con sos montes. Esos montes, los montes?Dell'influenza dell'accusativo abbiamo una prova nel plurale di alcune delle lingue occidentali come nello spagnuolo e nel francese. Nello spagnuolo si trova: los amicos, las amicas, sos montes ed altre forme che ci manifestano chiaro l'accusativo latino ed anche in francese troviamo un resto di questo accusativo nell's che prende il plurale.
Brazilian dude
Caro bubu7, visto che amicus_eius tarda a risponderle, proverò io a fornirle qualche chiarimento.bubu7 ha scritto: Infatti non possiamo pensare che l'indoeuropeo sia nato con otto casi.
Il fenomeno del sincretismo dei casi sarà cominciato circa cinquemila anni fa (quali evidenze abbiamo di questa datazione?), ma prima avrà agito sicuramente un fenomeno che li avrà creati tutti questi casi.
Lei ha ragione, l’indoeuropeo non è nato con otto casi ed infatti probabilmente è accaduto quello a cui fumosamente accenna lei quando parla di un fenomeno che ha creato i casi.
Infatti le lingue flessive derivano da lingue pre-/post- posizionali, con preposizioni e particelle posposte, che col tempo si sono saldate al sostantivo, trasformandosi in prefissi e suffissi. In seguito, queste flessioni vengono erose foneticamente dall’uso e si perde la loro capacità discriminativa. Nuove particelle dovranno essere aggiunte per rispecificare le funzioni del sostantivo e così via in un andamento ciclico.
Veniamo adesso alla questione del numero dei casi. Quella degli otto casi attribuibili all’indoeuropeo è una ricostruzione che risale al diciannovesimo secolo e che è stata ripetuta dogmaticamente almeno fino alla metà del ventesimo secolo.
Oggi molti dubbi vengono avanzati su questa ricostruzione. Ad esempio, per quanto riguarda il caso strumentale, esso molto probabilmente è nato in ambito dialettale (cioè in maniera indipendente nelle singole lingue originatesi dalla lingua comune) e non nella lingua comune. Anche l’ablativo non era perfettamente sviluppato, neppure nell’indoeuropeo postanatolico (cioè successivo al distacco del ramo anatolico). Da questo si può desumere che il sincretismo dei casi cominciò più tardi di quanto affermato da amicus_eius. Infatti il distacco del ramo anatolico viene fatto risalire dalla Gimbutas tra il 3500 e il 3000 a. C. In quel periodo molti casi erano ancora in formazione.
Possiamo infine ipotizzare che il sistema flessivo più antico dell’indoeuropeo fosse costituito da quattro casi: nominativo, genitivo, dativo e accusativo; bisogna naturalmente specificare che in questi casi erano incluse le funzioni che più tardi verranno attribuite ai casi che nasceranno successivamente.
In conclusione le devo però far presente l’ovvia constatazione che più risaliamo a periodi remoti, più le posizioni dei vari indoeuropeisti divergono tra di loro. Tutto questo senza voler escludere che anche per questi tempi si siano fatti notevoli progressi nella comprensione del nostro passato.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Può anche provare a dare un'occhiata qui.
Grazie, miku. Avevo già seguito il suo suggerimento in una precedente occasione.miku ha scritto:Può anche provare a dare un'occhiata qui.
Davvero molto interessante ed encomiabile lo sforzo di amicus_eius.
Forse lei, che sembra avere un canale preferenziale col sunnominato, potrebbe chiedergli di venire a discutere con noi in questo filone.
La lingua è un guado attraverso il fiume del tempo. Essa ci conduce alla dimora dei nostri antenati.
V. M. Illič-Svitič
V. M. Illič-Svitič
Chi c’è in linea
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