Salutz!
In primo luogo mi scuso per la mia latitanza e per la mia lentezza a rispondere al cortese
compellare di Bubu7, di Miku e di Infarinato, il cui intervento è davvero prezioso per documentazione e acribia e aggiunge ulteriori e più accurate informazioni per quanto attiene alle dinamiche recenziori di definizione della fisionomia della flessione nominale delle lingue romanze.
Sono tuttora rintracciabile all'indirizzo di posta elettronica da me fornito, ma da un po' latito anche dal controllare la posta. Sarà una reazione dovuta a iperesposizione alla rete nei mesi precedenti...
Quanto all'origine dei casi dell'indeuropeo, la questione è complessa. Se ho ben compreso, Bubu7 sembra abbracciare l'ipotesi che l'indeuropeo, nella sua fase originaria possedesse quattro casi e che in effetti alcuni di essi, come l'ablativo o lo strumentale, sono nati successivamente, in alcune aree ben definite.
Fondamentalmente giusta è l'idea che le lingue flessive derivino, per erosione fonetica, da lingue agglutinanti use a determinare i rapporti logici nella frase tramite l'univerbazione sistematica delle radici dei nomi e dei pronomi con posposizioni o preposizioni.
Molto perplesso mi lascia invece l'idea della non originarietà degli otto casi nominali dell'indeuropeo. La questione andrebbe esaminata con cura; dato però che per essere chiari
est brevitate opus , esaminerò alcuni aspetti essenziali del problema, partendo proprio dagli elementi che sembrerebbero confutare la visione tradizionale di un sistema ad otto casi comune alla lingua madre.
In primo luogo l'apparente debolezza della distinzione fra genitivo e ablativo. In tutte le forme di declinazione ricostruibili, il genitivo singolare e l'ablativo paiono contrassegnati dalla stessa desinenza che si presenta (per apofonia) ora come
*-s, ora come
*-es/os (varianti diasistemiche). L'unica forma di flessione che distingua con desinenze di appariscente salienza fonica genitivo e ablativo nel singolare è quella dei maschili in
*-os (la forma originaria della declinazione tematica maschile del sanscrito -tipo
vrkah- e della seconda declinazione latina e greca (
lykos e
lupus, per limitarci alle lingue più "gloriose"). I maschili col tema in
*-o- hanno un genitivo /*-osjo/ e un ablativo /*-o:d/. Sembrerebbe dunque che l'ablativo sia una "eccezione" dei maschili in
*-o-, dovendosi ricondurre in generale il genitivo e l'ablativo a un'unica funzione logica originaria comune, l'appartenenza come sfumatura semantica della provenienza (ciò spiegherebbe per altro, sul piano sintattico, il genitivo del greco, con funzioni ablativali, e la diffusione universale dei genitivi partitivi).
In realtà il retroscena delle dinamiche che portano allo stato di genitivo e ablativo singolare nel cosiddetto "spaetindogermanisch" appare più complesso e articolato di quanto sembrerebbe a prima vista.
La desinenza /*-o:d/ dell'ablativo dei maschili in
*-os deriva, secondo una ricostruzione molto accreditata, dalla contrazione della vocale *-o-/ *-e- (terminazione di radice poi risegmentata, estesa e trasformata in supporto vocalico della flessione), con la posposizione *ed, caratterizzata da funzione ablativale. Si tratterebbe dunque di uno degli ultimi relitti riconoscibili della struttura del protoindeuropeo preflessivo.
Ricordiamo che la declinazione atematica, più arcaica, caratterizzata dalla desinenza
*-s di genitivo e ablativo, non è più altrettanto produttiva della declinazione tematica (rimane fortemente produttivo solo il suo "sottoprodotto" dei femminili in -a e -i -questi ultimi livellati in tutto o in parte, o ridimensionati fortemente, in molte lingue, come il latino e il greco, ad esempio).
La declinazione più produttiva conserva la distinzione più chiara fra questi due casi. Dunque la distinzione fra ablativo e genitivo appare essere fondamentale, e verosimilmente si deve parlare, in origine, di una distinzione fra un possessivo (caso indicante non una generica appartenenza, ma una determinazione di proprietà) e un ablativo. L'erosione del possessivo sul piano fonetico ha determinato il riequilibrio del sistema, che ha sopperito al vuoto di funzioni generatosi in séguito alla perdita del caso del possesso, attuando due dinamiche parallele: l'ampliamento, sul piano semantico, della funzione dell'ablativo e il tentativo di recuperare il possessivo perduto, distinguendolo, in alcuni nomi, da un nuovo ablativo formato con l'univerbazione di *-ed alla radice. Così è venuta precisandosi una nuova categoria, all'interno della nozione del caso, quella del genitivo, che appunto contraddistingue il concetto di appartenenza inteso in origine come parte o oggetto, proveniente da un tutto o da una sfera di pertinenza.
Perché considerare in ogni caso l'ablativo come originario? In primo luogo, è una considerazione di ordine tipologico che ci spinge a preferire questa ipotesi all'altra, che il genitivo sia originario e l'ablativo un suo derivato. Lingue di struttura estremamente arcaica, come i dialetti dell'area caucasica (contigua o coincidente, se dobbiamo credere alla soluzione Ivanov-Gamkrelidze al'interrogativo
'Urheimat indogermanica, con la patria originaria, degli Indoerupei), sono caratterizzati da un enorme sviluppo di casi indicanti relazioni spaziali (un esempio è il tabassarano, in cui si riconoscono ben quarantasei casi distinti (!), dedicati a determinare con precisione le relazioni spaziali; un' altra situzione analoga è quella dell'urdu, con il suo ampio sviluppo di casi "spaziali", fra cui si distinguono un allativo, un ablativo e un locativo).
Inoltre, il genitivo non è l'unica categoria "astratta" di caso ricavabile
in modo trasparente dallo scavo semantico di una precedente determinazione spaziale. Esempi interessanti in tal senso sono dati dall'accusativo singolare e plurale e dal dativo plurale. L'accusativo dei maschili sembra essere formato a partire da un'antica posposizione *em *m, il cui significato è dal più al meno quello di "verso, a". Nessuna meraviglia se in latino arcaico l'accusativo semplice è usato diffusamente per il moto a luogo: la desinenza dell'accusativo è appunto una desinenza di allativo, di caso del moto a luogo! La trasformazione dell'allativo in accusativo è poi frutto di un complesso riorientamento del sistema dei casi e della sintassi,
che portò l'indoeuropeo originario a evolvere da lingua ergativa, a lingua accusativa. E qui, mi perdoni il lasso interlocutore (se mi avrà mandato a quel paese già da qualche riga, non gliene vorrò punto
), devo aprire un'altra piccola -si fa per dire- parentesi.
Un elemento che contraddistingue la flessione nominale indeuropea è il fatto che i neutri hanno nominativo e accusativo uguali. I neutri sono nomi di enti inanimati o comunque non concepiti come dotati di iniziativa propria: enti che non potrebbero mai compiere un'azione. Alcune lingue (ad esempio il basco o i dialetti caucasici, idiomi per altro ambedue riconoscibili in Eurasia sin dal mesolitico) distinguono il caso del soggetto che compie l'azione (ergativo) dal caso che indica il soggetto che l'azione la patisce o che ha come predicato un verbo di stato o una copula (il caso assolutivo). Naturalmente, in una lingua ergativa, statisticamente saranno più spesso i nomi indicanti enti dotati di intenzionalità (nomi di persona) a compiere l'azione, e a mostrare più spesso, nell'uso, un caso ergativo distinto da un assolutivo. La situazione dell'indeuropeo, con i neutri che non hanno nominativo e accusativo distinti,
è molto probabilmente l'ultimo relitto o vestigio di un'ergatività originaria dell'indeuropeo nella sua fase più primitiva.
Questa considerazione permette indirettamente di spiegare come l'allativo possa aver dato origine a un accusativo. Si consideri una frase banale come
*wlkòm *gwhènmi, "io colpisco il lupo", in indeuropeo ricostruito. Nella forma verbale
*gwhen-mi, alla prima persona, gli indeuropeisti riconoscono: 1) una radice nominale; 2) un pronome personale (la desinenza essendo facilmente confrontabilie con il pronome di prima persona
*em, che compare ampliato come
*egh-òm al nominativo, caso forte con grado apofonico forte, e puro negli altri casi, es. dativo
*em-èi, con grado zero in alcune forme -acc.
*m-em,
*me). Il pronome personale è verosimilmente al caso ergativo. Dunque la frase
*wlkòm *gwhènmi, in cui si ha la polisintesi di nome e pronome al caso ergativo, significherebbe, dal più al meno: "un colpo diretto al lupo da parte mia", cioè "io colpisco il lupo". La pressoché immediata generalizzazione di frasi come questa determina: 1) la nascita, nella nozione caso, della categoria dell'accusativo inteso come marca morfologica del punto o ambito terminale di un'azione (dunque la trasformazione tipologica in lingua accusativa del protoindeuropeo); 2) la nascita della marca del genere neutro come "ergativamente" indefinito, in opposizione al genere degli enti animati, che più tardi, con la formazione, tramite risegmentazione ed estensione analogica, di classi di femminili morfologicamente ben distinte, si articolerà appunto in maschile e femminile.
Veniamo al dativo, e in particolare al dativo plurale, contrassegnato, nell'indoario e nell'italico, dall'elemento morfologico
*-bhyos e nell'area slava e germanica dall'elemento morfologico
*-mos. La differenza fra questi due allomorfi non deve far pensare a innovazioni tarde: bisogna ricordare che l'indoeuropeo è sin dall'inizio un diasistema, con varianti diacoriche e diatopiche (un po' come sono diasistemi le lingue neolatine e il tedesco). Siamo dunque di fronte a varianti diacoriche. La forma *-bhyos si riconduce facilemente all'unione fra una posposizione
*ebhi, "verso, a" ancora riconoscibile in vedico, a cui si unisce il tipico elemento
*-s del plurale. Si tratta dunque di un allativo (e del resto si pensi come, alla scomparsa del dativo, questo venga sopperito, nelle lingue moderne, da costrutti analitici con preposizioni allative tipo "ad"). La forma
*-mos è altrettanto facile da riconoscere: lo stesso elemento
*-s del plurale innestato su
*-m, la posposizione allativale che dà origine all'accusativo e che evidentemente, nel momento in cui le varianti diacoriche del tardo indoeuropeo flessivo finiscono per strutturarsi, gioca i ruoli più disparati.
(Il fatto che
*-bhyos,
*-mos sia anche desinenza di ablativo è dovuto probabilmente a scontro omofonico, o ad altri, meno trasparenti, processi di mutamento determinatisi nell'evoluzione linguistica, un po' come accade per
-ae genitivo e
-ae dativo nella prima declinazione latina -a qualcun altro meglio documentato in merito, l'onere di intervenire).
In ogni caso è verisimile che un dativo a sé, distinto da un allativo, esistesse: la deriva che tende a sostituire dativi con forme allativali è troppo diffusa e profonda fino agli albori della modernità, per non essere mossa da processi di ristrutturazione sistemica antichi, profondi e latenti.
Si deve inoltre considerare che lo strumentale, là dove è assente come categoria sistemica a sé, lascia pesanti tracce negli avverbi, dunque era antico e originario, così come è antico e originario il locativo, che sembra derivato dall'univerbazione delle radici nominali con un avverbio di luogo (il cui relitto, presente anche nelle desinenze primarie dei verbi, è
*-i).
Non è escluso che l'indeuropeo, agli albori della definizione della sua fisionomia come gruppo di dialetti, avesse un sistema di casi alquanto complesso, così composto:
ergativo
assolutivo
vocativo
possessivo
dativo
strumentale
allativo
ablativo
locativo
Con la ristrutturazione del sistema: gli ergativi e gli assolutivi ricaddero in nominativi maschili e femminili e in nominativi accusativi neutri; l'allativo divenne accusativo; il possessivo, forse perduto per erosione fonica dei morfi, fu sostituito dallo sviluppo del genitivo; strumentale, ablativo e locativo rimasero come uniche vestigia funzionali della situazione precedente. Le radici del sincretismo e della semplificazione vanno dunque rintracciate nella trasformazione tipologica del protoindeuropeo che, verosimilmente nel neolitico, si mutò in lingua flessiva da lingua agglutinante che era, e da lingua accusativa in lingua ergativa, e subì in concomitanza con questi riorientamenti tipologici una articolata ridefinizione, sul piano semantico, dei casi indicanti in origine determinazioni di natura spaziale.
Spero di non avervi stancati troppo. Sarà più che gradita ogni segnalazione di errori di metodo o di inesattezze da me perpetrate nel tentativo, improbo, di mettere insieme, dai pochi dati in mio possesso, una spiegazione verosimile.
Alla prossima.